Anche se i cristiani slavi,
più degli altri, sentono volentieri i santi Fratelli come «Slavi di cuore»,
questi tuttavia restano uomini di cultura ellenica e di formazione bizantina,
uomini cioè in tutto appartenenti alla tradizione dell'Oriente cristiano, sia
civile che ecclesiastico.
Già ai loro tempi le
differenze tra Costantinopoli e Roma avevano cominciato a profilarsi come
pretesti di disunione, anche se la deplorevole scissione tra le due parti della
stessa cristianità era ancora lontana. Gli evangelizzatori e maestri degli
Slavi si avviarono alla volta della Grande Moravia, compresi di tutta la
ricchezza della tradizione e dell'esperienza religiosa che caratterizzava il
cristianesimo orientale e che trovava un peculiare riflesso nell'insegnamento
teologico e nella celebrazione della sacra liturgia.
Per quanto ormai da tempo
tutti gli uffici sacri si celebrassero in greco in tutte le Chiese comprese nei
confini dell'impero bizantino, le tradizioni proprie di molte Chiese nazionali
d'Oriente - quali la Georgiana e la Siriaca -, che nel servizio divino usavano
la lingua del loro popolo, erano ben note alla cultura superiore di
Costantinopoli e, specialmente, a Costantino Filosofo grazie agli studi e ai
ripetuti contatti che aveva avuto con cristiani di quelle Chiese sia nella
capitale che nel corso dei suoi viaggi.
Entrambi i Fratelli,
consapevoli dell'antichità e della legittimità di queste sacre tradizioni, non
ebbero dunque timore di usare la lingua slava per la liturgia, facendone uno
strumento efficace per avvicinare le verità divine a quanti parlavano in tale
lingua. Ciò fecero con coscienza aliena da ogni spirito di superiorità o di
dominio, per amore di giustizia e con evidente zelo apostolico verso popoli che
si stavano sviluppando.
Il cristianesimo
occidentale, dopo le migrazioni dei popoli nuovi, aveva amalgamato i gruppi
etnici sopraggiunti con le popolazioni latine residenti, estendendo a tutti,
nell'intento di unirli, la lingua, la liturgia e la cultura latina, trasmesse
dalla Chiesa di Roma. Dall'uniformità così raggiunta derivava a società
relativamente giovani ed in piena espansione un sentimento di forza e di
compattezza, che contribuiva sia ad una loro più stretta unione, sia ad una
loro più energica affermazione in Europa. Si può capire come in tale situazione
ogni diversità venisse talvolta intesa come minaccia ad un'unità ancora in
fieri, e come potesse diventare grande la tentazione di eliminarla, ricorrendo
anche a forme di coercizione.
Avendo intrapreso la loro
missione per mandato di Costantinopoli, essi cercarono poi, in un certo senso,
che fosse confermata volgendosi alla Sede Apostolica di Roma, centro visibile
dell'unità della Chiesa. Essi così edificarono la Chiesa mossi dal senso della
sua universalità come Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica. Questo
risulta nella forma più trasparente ed esplicita da tutto il loro
comportamento. Si può dire che l'invocazione di Gesù nella preghiera
sacerdotale - ut unum sint - rappresenti la loro divisa missionaria secondo le
parole del Salmista: «Lodate il Signore, tutte le genti, e lodatelo, popoli
tutti». Per noi uomini di oggi il loro apostolato possiede anche l'eloquenza di
un appello ecumenico: è un invito a riedificare, nella pace della
riconciliazione, l'unità che è stata gravemente incrinata dopo i tempi dei
santi Cirillo e Metodio e, in primissimo luogo, l'unità tra Oriente ed
Occidente.
La convinzione dei santi
Fratelli di Salonicco, secondo cui ogni Chiesa locale è chiamata ad arricchire
con i propri doni il «pleroma» cattolico, era in perfetta armonia con la loro
intuizione evangelica che le diverse condizioni di vita delle singole Chiese
cristiane non possono mai giustificare dissonanze, discordie, lacerazioni nella
professione dell'unica fede e nella pratica della carità.
La fervente sollecitudine
dimostrata da entrambi i Fratelli e, specialmente, da Metodio, in ragione della
sua responsabilità episcopale, nel conservare l'unità della fede e dell'amore
tra le Chiese, delle quali erano membri, e cioè la Chiesa di Costantinopoli e
la Chiesa Romana, da una parte, e le Chiese nascenti nelle terre slave,
dall'altra, fu e resterà sempre il loro grande merito. Questo è tanto maggiore,
se si tiene presente che la loro missione si svolge negli anni 863-885, dunque
negli anni critici, in cui emersero e cominciarono ad approfondirsi il fatale
dissidio e l'aspra controversia tra le Chiese dell'Oriente e dell'Occidente. La
divisione si accentuò per la questione dell'appartenenza canonica della
Bulgaria, che proprio allora aveva accettato ufficialmente il cristianesimo.
In questo periodo
burrascoso, segnato anche da conflitti armati tra popoli cristiani confinanti,
i santi Fratelli di Salonicco conservarono una fedeltà ferma e piena di
vigilanza alla retta dottrina e alla tradizione della Chiesa perfettamente
unita e, in particolare, alle «istituzioni divine» e alle «istituzioni
ecclesiastiche», sulle quali. secondo i canoni degli antichi Concili,
poggiavano la sua struttura e la sua organizzazione. Questa fedeltà permise
loro di portare a termine i grandi compiti missionari e di rimanere in piena
unità spirituale e canonica con la Chiesa Romana, con la Chiesa di
Costantinopoli e con le nuove Chiese, da essi fondate fra i popoli slavi.
Facendo così, egli ricorreva
sempre, come Costantino Filosofo, al dialogo con coloro che erano contrari alle
sue idee o alle sue iniziative pastorali e mettevano in dubbio la loro
legittimità. In questo modo rimarrà per sempre maestro per tutti coloro che, in
qualsiasi tempo, cercano di attenuare i dissidi rispettando la pienezza
multiforme della Chiesa, la quale, conformemente alla volontà del suo fondatore
Gesù Cristo, deve essere sempre una, santa, cattolica ed apostolica: tale
consegna trovò piena risonanza nel Simbolo dei 150 padri del II Concilio
ecumenico di Costantinopoli, che costituisce l'intangibile professione di fede
di tutti i cristiani.