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Ioannes Paulus PP. II Veritatis splendor IntraText CT - Lettura del testo |
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III. La scelta fondamentale e i componenti concreti
«Purché questa libertà non divenga pretesto per vivere secondo la carne» ( [link] Gal 5,13)
Alcuni autori, tuttavia, propongono una revisione ben più radicale del rapporto tra persona e atti. Essi parlano di una «libertà fondamentale», più profonda e diversa dalla libertà di scelta, senza la cui considerazione non si potrebbero né comprendere né valutare correttamente gli atti umani. Secondo tali autori, il ruolo chiave nella vita morale sarebbe da attribuire ad una «opzione fondamentale», attuata da quella libertà fondamentale mediante la quale la persona decide globalmente di se stessa, non attraverso una scelta determinata e consapevole a livello riflesso, ma in forma «trascendentale» e «atematica». Gli atti particolari derivanti da questa opzione costituirebbero soltanto dei tentativi parziali e mai risolutivi per esprimerla, sarebbero solamente «segni» o sintomi di essa. Oggetto immediato di questi atti — si dice — non è il Bene assoluto (di fronte al quale si esprimerebbe a livello trascendentale la libertà della persona), ma sono i beni particolari (detti anche «categoriali»). Ora, secondo l'opinione di alcuni teologi, nessuno di questi beni, per loro natura parziali, potrebbe determinare la libertà dell'uomo come persona nella sua totalità, anche se solamente mediante la loro realizzazione o il loro rifiuto l'uomo potrebbe esprimere la propria opzione fondamentale. Si giunge così ad introdurre una distinzione tra l'opzione fondamentale e le scelte deliberate di un comportamento concreto, una distinzione che in alcuni autori assume la forma di una dissociazione, allorché essi riservano espressamente il «bene» e il «male» morale alla dimensione trascendentale propria dell'opzione fondamentale, qualificando come «giuste» o «sbagliate» le scelte di particolari comportamenti «intramondani», riguardanti cioè le relazioni dell'uomo con se stesso, con gli altri e con il mondo delle cose. Sembra così delinearsi all'interno dell'agire umano una scissione tra due livelli di moralità: l'ordine del bene e del male, dipendente dalla volontà, da una parte, e i comportamenti determinati, dall'altra, i quali vengono giudicati come moralmente giusti o sbagliati solo in dipendenza da un calcolo tecnico della proporzione tra beni e mali «premorali» o «fisici», che effettivamente seguono all'azione. E ciò fino al punto che un comportamento concreto, anche liberamente scelto, viene considerato come un processo semplicemente fisico, e non secondo i criteri propri di un atto umano. L'esito al quale si giunge è di riservare la qualifica propriamente morale della persona all'opzione fondamentale, sottraendola in tutto o in parte alla scelta degli atti particolari, dei comportamenti concreti.
66. Non c'è dubbio che la dottrina morale cristiana, nelle sue stesse radici bibliche, riconosce la specifica importanza di una scelta fondamentale che qualifica la vita morale e che impegna la libertà a livello radicale di fronte a Dio. Si tratta della scelta della fede, dell'obbedienza della fede (cf [link] Rm 16,26), «con la quale l'uomo si abbandona tutto a Dio liberamente, prestando "il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà"«.112 Questa fede, che «opera mediante la carità» ( [link] Gal 5,6), proviene dal centro dell'uomo, dal suo «cuore» (cf [link] Rm 10,10), e da qui è chiamata a fruttificare nelle opere (cf [link] Mt 12,33-35; [link] Lc 6,43-45; [link] Rm 8,5-8; [link] Gal 5, 22). Nel Decalogo si trova, in capo ai diversi comandamenti, la clausola fondamentale: «Io sono il Signore, tuo Dio...» ( [link] Es 20,2) che, imprimendo il senso originale alle molteplici e varie prescrizioni particolari, assicura alla morale dell'Alleanza una fisionomia di globalità, di unità e di profondità. La scelta fondamentale di Israele riguarda allora il comandamento fondamentale (cf [link] Gs 24,14-25; [link] Es 19,3-8; [link] Mic 6,8). Anche la morale della Nuova Alleanza è dominata dall'appello fondamentale di Gesù alla sua «sequela» — così anche al giovane egli dice: «Se vuoi essere perfetto... vieni e seguimi» ( [link] Mt 19,21) —: a tale appello il discepolo risponde con una decisione e scelta radicale. Le parabole evangeliche del tesoro e della perla preziosa, per la quale si vende tutto ciò che si possiede, sono immagini eloquenti ed efficaci del carattere radicale e incondizionato della scelta che il Regno di Dio esige. La radicalità della scelta di seguire Gesù è meravigliosamente espressa nelle sue parole: «Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà» ( [link] Mc 8,35). L'appello di Gesù «vieni e seguimi» segna la massima esaltazione possibile della libertà dell'uomo e, nello stesso tempo, attesta la verità e l'obbligazione di atti di fede e di decisioni che si possono dire di opzione fondamentale. Analoga esaltazione della libertà umana troviamo nelle parole di san Paolo: «Voi, fratelli, siete stati chiamati a libertà» ( [link] Gal 5, 13). Ma l'Apostolo immediatamente aggiunge un grave monito: «Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne». In questo monito riecheggiano le sue precedenti parole: «Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù» ( [link] Gal 5,1). L'apostolo Paolo ci invita alla vigilanza: la libertà è sempre insidiata dalla schiavitù. Ed è proprio questo il caso di un atto di fede — nel senso di un'opzione fondamentale — che viene dissociato dalla scelta degli atti particolari, secondo le tendenze sopra ricordate.
Separare l'opzione fondamentale dai comportamenti concreti significa contraddire l'integrità sostanziale o l'unità personale dell'agente morale nel suo corpo e nella sua anima. Un'opzione fondamentale, intesa senza considerare esplicitamente le potenzialità che mette in atto e le determinazioni che la esprimono, non rende giustizia alla finalità razionale immanente all'agire dell'uomo e a ciascuna delle sue scelte deliberate. In realtà, la moralità degli atti umani non si evince solo dall'intenzione, dall'orientazione o opzione fondamentale, interpretata nel senso di un'intenzione vuota di contenuti impegnativi ben determinati o di un'intenzione alla quale non corrisponde uno sforzo fattivo nei diversi obblighi della vita morale. La moralità non può essere giudicata se si prescinde dalla conformità o dalla contrarietà della scelta deliberata di un comportamento concreto rispetto alla dignità e alla vocazione integrale della persona umana. Ogni scelta implica sempre un riferimento della volontà deliberata ai beni e ai mali, indicati dalla legge naturale come beni da perseguire e mali da evitare. Nel caso dei precetti morali positivi, la prudenza ha sempre il compito di verificarne la pertinenza in una determinata situazione, per esempio tenendo conto di altri doveri forse più importanti o urgenti. Ma i precetti morali negativi, cioè quelli che proibiscono alcuni atti o comportamenti concreti come intrinsecamente cattivi, non ammettono alcuna legittima eccezione; essi non lasciano alcuno spazio moralmente accettabile per la «creatività» di una qualche determinazione contraria. Una volta riconosciuta in concreto la specie morale di un'azione proibita da una regola universale, il solo atto moralmente buono è quello di obbedire alla legge morale e di astenersi dall'azione che essa proibisce.
In realtà, l'uomo non si perde solo per l'infedeltà a quella opzione fondamentale, mediante la quale si è consegnato «tutto a Dio liberamente».113 Egli, con ogni peccato mortale commesso deliberatamente, offende Dio che ha donato la legge e pertanto si rende colpevole verso tutta la legge (cf [link] Gc 2,8-11); pur conservandosi nella fede, egli perde la «grazia santificante», la «carità» e la «beatitudine eterna».114 «La grazia della giustificazione — insegna il Concilio di Trento —, una volta ricevuta, può essere perduta non solo per l'infedeltà, che fa perdere la stessa fede, ma anche per qualsiasi altro peccato mortale».115
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112 Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Divina Rivelazione Dei Verbum, 5; cf Conc. Ecum. Vat. I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, cap. 3: DS, 3008.
113 Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Divina Rivelazione Dei Verbum, 5; cf S. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. su alcune questioni di etica sessuale Persona humana (29 dicembre 1975), 10: AAS 68 (1976), 88-90.
114 Cf Esort. ap. post-sinodale Reconciliatio et paenitentia (2 dicembre 1984), 17: AAS 77 (1985), 218-223.
115 Sess. VI, Decr. sulla giustificazione Cum hoc tempore, cap. 15: DS, 1544; can. 19: DS, 1569.
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