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Commissione Teologica Internazionale
Il Cristianesimo e le religioni

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B) Motivi della tradizione raccolti nel recente magistero della chiesa

40. Il significato universale di Cristo è stato espresso in modi diversi nella tradizione della chiesa fin dai tempi più antichi. Scegliamo alcuni temi che hanno trovato eco nei recenti documenti magisteriali, soprattutto nel concilio Vaticano II.

41. I 'semina Verbi'. Fuori dei confini della chiesa visibile, e in concreto nelle diverse religioni, si possono trovare "semi del Verbo"; il motivo si combina spesso con quello della luce che illumina ogni uomo e con quello della preparazione evangelica ('Ad gentes', nn. 11 e 15; 'Lumen gentium', nn. 16-17; 'Nostra aetate', n. 2; Giovanni Paolo II, lett. enc. 'Redemptoris missio', n. 56).

42. La teologia dei semi del Verbo inizia con san Giustino. Di fronte al politeismo del mondo greco, Giustino vede nella filosofia un'alleata del cristianesimo, perché ha seguito la ragione; ma ora questa ragione si trova nella sua totalità soltanto in Gesù Cristo, il 'Logos' in persona. Solamente i cristiani lo conoscono nella sua integrità 3. Di questo 'Logos' però è partecipe tutto il genere umano; perciò da sempre c'è stato chi è vissuto in conformità con il 'Logos', e in questo senso ci sono stati "cristiani", pur avendo essi avuto soltanto una conoscenza parziale del 'Logos' seminale 4. C'è molta differenza tra il seme di una cosa e la cosa stessa; ma in ogni modo la presenza parziale e seminale del 'Logos' è dono e grazia di Dio. Il 'Logos' è il seminatore di questi "semi di verità" 5.

43. Per Clemente Alessandrino l'uomo è razionale in quanto partecipa della vera ragione che governa l'universo, il 'Logos', e ha pieno accesso a questa ragione se si converte e segue Gesù, il 'Logos' incarnato 6. Con l'incarnazione il mondo si è riempito dei semi di salvezza 7. Esiste però anche una semina divina dall'inizio dei tempi, che ha fatto sì che varie parti della verità si trovino tra i greci e tra i barbari, specialmente nella filosofia considerata nel suo insieme 8, anche se insieme alla verità non è mancata la zizzania 9.
La filosofia ha avuto per i greci una funzione simile a quella della legge per gli ebrei: è stata una preparazione per la pienezza di Cristo 10. C'è però una chiara differenza tra l'azione di Dio in questi filosofi e nell'Antico Testamento. D'altra parte, soltanto in Gesù, luce che illumina ogni uomo, si può contemplare il 'Logos' perfetto, la verità intera: i frammenti di verità appartengono al tutto 11.

44. Giustino e Clemente coincidono nel segnalare che questi frammenti della verità totale conosciuti dai greci provengono, almeno in parte, da Mosè e dai profeti, i quali sono più antichi dei filosofi 12. Da loro, secondo i piani della Provvidenza, hanno "rubato" i greci, che non hanno saputo essere riconoscenti per quello che hanno ricevuto 13. Questa conoscenza della verità non è pertanto senza relazione con la rivelazione storica, che troverà la sua pienezza nell'incarnazione di Gesù.

45. Ireneo non usa direttamente l'idea dei semi del Verbo; però sottolinea fortemente che in tutti i momenti della storia il 'Logos' è stato unito agli uomini e li ha accompagnati, in previsione dell'incarnazione 14: con questa, portando se stesso nel mondo, Gesù vi ha portato tutta la novità. La salvezza è legata pertanto all'apparizione di Gesù, anche se questa era stata già annunciata e i suoi effetti in qualche modo erano stati anticipati 15.

46. Il Figlio di Dio si è unito a ogni uomo (cf. 'Gaudium et spes', n. 22; 'Redemptoris missio', n. 6, tra molti altri testi). L'idea si ripete spesso nei padri, che si ispirano ad alcuni testi del Nuovo Testamento. Uno di quelli che hanno dato luogo a tale interpretazione è la parabola della pecora smarrita (cf. Mt 18,12-24; Lc 15,1-7): questa è identificata con il genere umano sviato, che Gesù è venuto a cercare. Assumendo la natura umana, il Figlio ha messo sulle sue spalle l'intera umanità per presentarla al Padre. Così si esprime Gregorio di Nissa: "Questa pecora siamo noi, gli uomini (...), il Salvatore prende sulle spalle la pecora intera, quindi (...), poiché si era perduta tutta intera, tutta intera viene ricondotta. Il pastore la prende sulle sue spalle, cioè nella sua divinità (...). Avendola presa su di sé, ne fa una cosa sola con sé" 16. Anche Gv 1,14, "il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi", è stato interpretato in diverse occasioni nel senso di abitare "dentro di noi", cioè nell'intimo di ogni uomo; dallo stare lui in noi si passa facilmente al nostro stare in lui 17. Contenendoci tutti in sé, può riconciliarci tutti con Dio Padre 18. Nella sua umanità glorificata tutti possiamo trovare la risurrezione e il riposo 19.

47. I padri non dimenticano che tale unione degli uomini con il corpo di Cristo si produce soprattutto nel battesimo e nell'eucaristia. L'unione di tutti in Cristo però, grazie alla sua assunzione della nostra natura, costituisce un presupposto oggettivo a partire dal quale il credente cresce nell'unione personale con Gesù. Il significato universale di Cristo si mostra anche per i primi cristiani nel fatto che libera l'uomo dai principi di questo mondo che lo tengono prigioniero come singolo e come popolo 20.

48. 'La dimensione cristologica dell'immagine'. Secondo il concilio Vaticano II, Gesù è l'"uomo perfetto", seguendo il quale l'uomo si fa più uomo ('Gaudium et spes', n. 41; cf. 'ivi', nn. 22; 38; 45). Indica pure che soltanto 'in mysterio Verbi incarnati mysterium hominis vere clarescit' ('Gaudium et spes', n. 22; 'EV' 1/1385). Tra gli altri fondamenti di tale affermazione si segnala un testo di Tertulliano, secondo il quale plasmando Adamo con il fango della terra Dio pensava già a Cristo che doveva incarnarsi 21. Già Ireneo aveva segnalato che il Verbo, artefice di tutto, aveva prefigurato in Adamo la futura economia dell'umanità di cui egli stesso si sarebbe rivestito 22. Anche se le interpretazioni patristiche dell'immagine sono molto varie, non si può trascurare questa corrente che vede nel Figlio che deve incarnarsi (e morire, e risuscitare) il modello secondo il quale Dio ha fatto il primo uomo. Se il destino dell'uomo è di portare "l'immagine dell'uomo celeste" (1Cor 15,49), non sembra errato pensare che in ogni uomo ci dev'essere una certa disposizione interiore a questo fine.




3 Cf. GIUSTINO, 'Apol'. I 5,4; II 6, 7; 7,2-3 (BAC 116; 186s; 268; 269).



4 Cf. ID., 'Apol'. I 46, 2-4; II 7, 1-3 (BAC 232s; 269).



5 Cf. ID., 'Apol'. I 44, 10; II 10, 2; 13, 2-6 (BAC 230; 272; 276s).



6 Cf. CLEMENTE ALESSANDRINO, 'Protr'. I 6, 4; X 98, 4 ('SCh' 2 bis, 60; 166); ID., 'Ped'. I 96, 1 ('SCh' 70, 280).



7 Cf. ID., 'Protr'. X 110, 1-3 ('SCh' 2 bis, 178).



8 Cf. ID., 'Strom'. I 37, 1-7 ('SCh' 30, 73-74).



9 Cf. ID., 'Strom'. VI 67, 2 ('GCS' 15, 465).



10 Cf. ID., 'Strom'. I 28, 1-3; 32, 4 ('SCh' 30, 65; 69); VI 153-154 (GCS 15, 510 s).



11 ID., 'Strom'. I 56-57 ('SCh' 30, 89-92).



12 GIUSTINO, 'Apol'. I 44, 8-9; 59-60 (BAC 116, 230; 247-249).



13 CLEMENTE ALESSANDRINO, 'Protr'. VI 70 ('SCh' 2 bis, 135); ID., 'Strom'. I 59-60; 87, 2 ('SCh' 30,93s; 113); II 1, 1 ('SCh' 38, 32s).



14 Cf. IRENEO DI LIONE, 'Adv Haer'. III 16, 6; 18, 1 ('SCh' 211, 312; 342); VI 6, 7; 20,4; 28, 2 ('SCh' 100, 454; 634s; 758); V 16, 1 ('SCh' 153, 214); ID., 'Demons'. 12 ('SCh' 406, 100).



15 Cf. ID., 'Adv. Haer'. IV 34, 1 ('SCh' 100, 846s).



16 GREGORIO DI NISSA, 'Contra Apol'. XVI ('PG' 45, 1.153). Cf. anche IRENEO DI LIONE, 'Adv. Haer'. III 19, 3 ('SCh' 211, 380); V 12, 3 ('SCh' 153, 150); ID., 'Demons'. 33 ('SCh' 406, 130); ILARIO DI POITIERS, 'In Mt'. 18, 6 ('SCh' 258, 80s).



17 Cf. ILARIO DI POITIERS, 'Trin'. II 24-25 ('CCL' 62, 605); ATANASIO, 'Contra Ar'. III 25.3.34 ('PG' 26, 376; 393-397); CIRILLO DI ALESSANDRIA, 'In Joh'. I 9; V 2 ('PG' 73, 161; 753). Si potrebbe introdurre qui anche l'idea dello "scambio"; cf. IRENEO DI LIONE, 'Adv. Haer'. V prol. ('SCh' 153, 14), ecc.



18 CIRILLO DI ALESSANDRIA, 'In Joh'. I 9 ('PG' 73, 164).



19 Cf. ILARIO DI POITIERS, 'Tr. Ps'. 13, 14; 14, 5.17; 51, 3 ('CSEL' 22, 81; 87s; 96; 98).



20 Cf. ORIGENE, 'In Luc. hom'. 35 ('GCS' Orig. W. 9, 200s); ID., 'De Princ'. VI 11-12 (Orig. W. 5,339s); AGOSTINO, 'De Civ. Dei' V 13.19 ('CCL' 47, 146-148; 154-156).



21 TERTULLIANO, 'De carnis res'. ('De res. mort'.) 6 ('CCL' 2, 928; citato in 'Gaudium et spes', n. 22, nota 20): "Quodcumque enim limus exprimebatur, Christus cogitabatur, homo futurus"; e subito dopo si aggiunge: "Id utique quod finxit, ad imaginem Dei fecit illum, scilicet Christi (...). Ita limus ille, iam tunc imaginem induens Christi futuri in carne, non tantum Dei opus erat, sed et pignus". Lo stesso in ID., 'Adv. Prax'. XII 4 ('CCL' 2, 1.173).



22 IRENEO DI LIONE, 'Adv. Haer'. III 22, 3 ('SCh' 211, 438).






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