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Commissione Teologica Internazionale
Il Cristianesimo e le religioni

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B) Il senso dell'uomo

109. Nel dialogo interreligioso è coinvolta anche un'antropologia implicita, e questo per due motivi principali. Da una parte, il dialogo mette in comunicazione due persone, ognuna delle quali è il soggetto della sua parola e del suo comportamento. D'altra parte, quando dialogano credenti di religioni diverse, ha luogo un evento molto più profondo della comunicazione verbale: un incontro tra esseri umani, ciascuno dei quali si avvia a esso portando il peso della sua condizione umana.

110. In un dialogo interreligioso, le parti hanno la stessa concezione della 'persona'? La questione non è teorica, ma interpella gli uni e gli altri. La parte cristiana sa senz'altro che la persona umana è stata creata "a immagine di Dio", cioè con una chiamata costante di Dio essenzialmente relazionale e capace di apertura "all'altro". I partecipanti al dialogo però sono tutti coscienti del mistero della persona umana e di quello di Dio, che è "più in " di tutto? 35 Anche il cristiano è indotto a porsi la domanda: a partire da dove parla, quando dialoga? dallo scenario del suo personaggio sociale o religioso? dall'alto del suo "superego" o della sua immagine ideale? Posto che egli deve dare testimonianza del suo Signore e Salvatore, in quale "dimora" della sua anima questi si trova? Nel dialogo interreligioso, più che in ogni altra relazione interpersonale, è implicata la relazione di ogni persona con il Dio vivente.

111. Qui appare l'importanza della preghiera nel dialogo interreligioso: "L'uomo è alla ricerca di Dio. (...) Tutte le religioni testimoniano questa essenziale ricerca" 36. Pertanto la preghiera, come relazione viva e personale con Dio, è l'atto stesso della virtù della religione e trova espressione in tutte le religioni. Il cristiano sa che Dio "chiama incessantemente ogni persona al misterioso incontro della preghiera" 37. Se Dio non può essere meglio conosciuto che quando egli stesso prende l'iniziativa di rivelarsi, la preghiera appare come assolutamente necessaria, perché mette l'uomo in condizione di ricevere la grazia della rivelazione. Così, nella ricerca comune della verità che deve motivare il dialogo interreligioso, "vi è sinergia tra la preghiera e il dialogo. (...) Se da una parte la preghiera è la condizione per il dialogo, dall'altra essa ne diventa, in forma sempre più matura, il frutto" 38. Nella misura in cui il cristiano vive il dialogo in stato di preghiera, è docile alla mozione dello Spirito che opera nel cuore dei due interlocutori. Allora il dialogo diventa più che uno scambio: diventa incontro.

112. Più in profondità, a livello del non detto, il dialogo interreligioso è effettivamente un 'incontro' tra esseri creati "a immagine di Dio", anche se questa immagine si trova in loro offuscata dal peccato e dalla morte. In altre parole, i cristiani e quelli che non lo sono vivono tutti nella speranza di essere salvati. Per questo motivo ciascuna delle loro religioni si presenta come una 'ricerca di salvezza' e propone vie per giungere a essa. Questo incontro nella comune condizione umana colloca le parti su un piano di parità, molto più vero del loro discorso religioso puramente umano. Tale discorso è già un'interpretazione dell'esperienza e passa per il filtro delle mentalità confessionali. Al contrario, i problemi della maturazione personale, l'esperienza della comunità umana (uomo e donna, famiglia, educazione, ecc.) e tutte le questioni che gravitano attorno al lavoro "per guadagnarsi la vita", lungi dall'essere temi che distraggono dal dialogo religioso, costituiscono il terreno "allo scoperto" per tale dialogo. Allora in questo dialogo diventa chiaro che il "luogo" di Dio è l'uomo.

113. Ebbene, la costante che soggiace a tutti gli altri problemi della condizione umana non è altro che la 'morte'. Sofferenza, peccato, sventura, delusione, incomunicabilità, conflitti, ingiustizie... la morte è costantemente presente dappertutto e in ogni momento come la trama oscura della condizione umana. Certamente l'uomo, incapace di esorcizzare la morte, fa tutto il possibile per non pensare a essa, benché vi risuoni con maggiore intensità la chiamata del Dio vivente. È il segno permanente dell'alterità divina, poiché soltanto chi chiama dal nulla all'essere può dare la vita ai morti. Nessuno può vedere Dio senza passare attraverso la morte, questo luogo ardente dove il Trascendente raggiunge l'abisso della condizione umana. L'unica domanda seria, in quanto esistenziale e ineludibile, senza la quale i discorsi religiosi sono "alibi", è questa: il Dio vivente si fa carico o no della morte dell'uomo? Non mancano le risposte teoriche, però queste non possono evitare lo scandalo che rimane: come può Dio restare nascosto e silenzioso davanti all'innocente ferito e al giusto oppresso? È il grido di Giobbe e di tutta l'umanità. La risposta è "cruciale", ma è al di di tutte le parole: sulla croce il Verbo è silenzio. Dipendente dal Padre, gli affida il suo spirito. Qui tuttavia c'è l'incontro di tutti gli esseri umani: l'uomo è con la sua morte, e Dio si unisce a lui in essa. Soltanto il Dio amore è il vincitore della morte, e solamente con la fede in lui l'uomo è liberato dalla schiavitù della morte. Il roveto ardente della croce è così il luogo nascosto dell'incontro: il cristiano vi contempla "colui che hanno trafitto" e ne riceve "uno spirito di grazia e di consolazione" (Gv 19,37; Zc 12,10). La testimonianza della sua nuova esperienza sarà quella del Cristo risorto, vincitore della morte attraverso la morte. Il dialogo interreligioso riceve allora senso nell'economia della salvezza: non si limita a continuare il messaggio dei profeti e la missione del Precursore, ma si fonda sull'evento della salvezza compiuto da Cristo e tende al secondo avvento del Signore. Il dialogo interreligioso avviene nella chiesa in situazione escatologica.




35 GREGORIO NAZIANZENO, 'Carminum liber', sectio I, 29 ('PG' 37, 507).



36 'Catechismo della chiesa cattolica', n. 2566.



37 'Ivi', n. 2567.



38 GIOVANNI PAOLO II, lett. enc. 'Ut unum sint', 25.5.1995, n. 33.





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