28 "La Chiesa fermamente crede che la vita umana, anche se debole e sofferente, è sempre uno splendido dono del Dio della bontà. Contro il pessimismo e l'egoismo, che oscurano il mondo, la Chiesa sta dalla parte della vita: e in ciascuna vita umana sa scoprire lo splendore di quel "Sì", di quell'"Amen", che è Cristo stesso. Al "no" che invade ed affligge il mondo, contrappone questo vivente "Sì", difendendo in tal modo l'uomo e il mondo da quanti insidiano e mortificano la vita" (GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. 'Familiaris Consortio', 22 novembre 1981, n. 30). "Occorre tornare a considerare la famiglia come il 'santuario della vita'. Essa, infatti, è sacra: è il luogo in cui la vita, dono di Dio, può essere adeguatamente accolta e protetta contro i molteplici attacchi a cui è esposta, e può svilupparsi secondo le esigenze di un'autentica crescita umana. Contro la cosiddetta cultura della morte, la famiglia costituisce la sede della cultura della vita" (GIOVANNI PAOLO II, Enc. 'Centesimus Annus', 1° maggio 1991, n. 39).
29 GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle Famiglie 'Gratissimam Sane', 2 febbraio 1994, n. 9.
30 "Lo stesso Dio che disse: "non è bene che l'uomo sia solo" ('Gen' 2, 18) e che "creò all'inizio l'uomo maschio e femmina" ('Mt' 19, 4), volendo comunicare all'uomo una certa speciale partecipazione nella sua opera creatrice, benedisse l'uomo e la donna, dicendo loro: "crescete e moltiplicatevi" ('Gen' 1, 28). Di conseguenza la vera pratica dell'amore coniugale e tutta la struttura della vita familiare che ne nasce, senza posporre agli altri fini del matrimonio, a questo tendono: che i coniugi, con fortezza di animo, siano disposti a cooperare con l'amore del Creatore e del Salvatore, che attraverso di loro continuamente dilata e arricchisce la sua famiglia" (CONC. ECUM. VATICANO II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo 'Gaudium et Spes', 7 dicembre 1965, n. 50). "La famiglia cristiana è una comunione di persone, segno e immagine della comunione del Padre e del Figlio nello Spirito Santo. La sua attività procreatrice ed educativa è il riflesso dell'opera creatrice del Padre" ('Catechismo della Chiesa Cattolica', n. 2205). "Cooperare con Dio nel chiamare alla vita nuovi esseri umani significa contribuire alla trasmissione di quell'immagine e somiglianza divina di cui ogni "nato di donna" è portatore" (GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle Famiglie 'Gratissimam Sane', 2 febbraio 1994, n. 8).
31 GIOVANNI PAOLO II, Enc. 'Evangelium Vitae', 25 marzo 1995, n. 43; cfr. CONC. ECUM. VATICANO II, Cost. Past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo 'Gaudium et Spes', 7 dicembre 1965, n. 50.
32 "Nel compito di trasmettere la vita umana e di educarla, che deve essere considerato come la loro propria missione, i coniugi sanno di essere cooperatori dell'amore di Dio creatore e come suoi interpreti. E perciò adempiranno il loro dovere con umana e cristiana responsabilità, e con docile riverenza verso Dio, con riflessione e impegno comune si formeranno un retto giudizio, tenendo conto sia del proprio bene personale che di quello dei figli, tanto di quelli nati che di quelli che si prevede nasceranno, valutando le condizioni di vita del proprio tempo e del proprio stato di vita, tanto nel loro aspetto materiale, che spirituale; e, infine, salvaguardando la scala dei valori del bene della comunità familiare, della società temporale e della Chiesa. Questo giudizio in ultima analisi lo devono formulare, davanti a Dio, gli sposi stessi. Però nella loro linea di condotta i coniugi cristiani siano consapevoli che non possono procedere a loro arbitrio, ma devono sempre essere retti da una coscienza che si deve conformare alla legge divina stessa, docili al Magistero della Chiesa, che in modo autentico quella legge interpreta alla luce del Vangelo. Tale legge divina manifesta il significato pieno dell'amore coniugale, lo salvaguarda e lo sospinge verso la sua perfezione veramente umana" (CONC. ECUM. VATICANO II, Cost. Past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo 'Gaudium et Spes', 7 dicembre 1965, n. 50). "Perciò quando si tratta di comporre l'amore coniugale con la trasmissione responsabile della vita, il carattere morale del comportamento non dipende solo dalla sincera intenzione e dalla valutazione dei motivi, ma va determinato da criteri oggettivi, che hanno il loro fondamento nella natura stessa della persona umana e dei suoi atti che sono destinati a mantenere in un contesto di vero amore l'integro senso della mutua donazione e della procreazione umana; e tutto ciò non sarà possibile se non venga coltivata con sincero animo la virtù della castità coniugale. I figli della Chiesa, fondati su questi principi, nel regolare la procreazione non potranno seguire strade che sono condannate dal Magistero" (CONC. ECUM. VATICANO II, Cost. Past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo 'Gaudium et Spes', 7 dicembre 1965, n. 51). "In rapporto alle condizioni fisiche, economiche, psicologiche e sociali, la paternità responsabile si esercita, sia con la deliberazione ponderata e generosa di far crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione, presa per gravi motivi e nel rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente o anche a tempo indeterminato, una nuova nascita. Paternità responsabile comporta ancora e soprattutto un più profondo rapporto all'ordine morale oggettivo, stabilito da Dio, e di cui la retta coscienza è fedele interprete. L'esercizio responsabile della paternità implica dunque che i coniugi riconoscano pienamente i propri doveri verso Dio, verso se stessi, verso la famiglia e verso la società, in una giusta gerarchia dei valori. Nel compito di trasmettere la vita, essi non sono quindi liberi di procedere a proprio arbitrio, come se potessero determinare in modo del tutto autonomo le vie oneste da seguire, ma devono conformare il loro agire all'intenzione creatrice di Dio, espressa nella stessa natura del matrimonio e dei suoi atti, e manifestata dall'insegnamento costante della Chiesa" (PAOLO VI, Enc. 'Humanae Vitae', 25 luglio 1968, n. 10).
33 L'Enciclica 'Humanae Vitae' dichiara illecita "ogni azione che, o in previsione dell'atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di rendere impossibile la procreazione". E aggiunge: "Né, a giustificazione degli atti coniugali resi intenzionalmente infecondi, si possono invocare, come valide ragioni, il minor male o il fatto che tali atti costituirebbero un tutto con gli atti fecondi che furono posti o poi seguiranno, e quindi ne condividerebbero l'unica ed identica bontà morale. In verità, se è lecito, talvolta, tollerare un minor male morale a fine di evitare un male maggiore o di promuovere un bene più grande, non è lecito, neppure per ragioni gravissime, fare il male, affinché ne venga il bene, cioè fare oggetto di un atto positivo di volontà ciò che è intrinsecamente disordine e quindi indegno della persona umana, anche se nell'intento di salvaguardare o promuovere beni individuali, familiari o sociali. È quindi errore pensare che un atto coniugale, reso volutamente infecondo, e perciò intrinsecamente non onesto, possa essere coonestato dall'insieme di una vita coniugale feconda" (PAOLO VI, Enc. 'Humanae Vitae', 25 luglio 1968, n. 14). "Quando i coniugi, mediante il ricorso alla contraccezione, scindono questi due significati che Dio Creatore ha inscritti nell'essere dell'uomo e della donna e nel dinamismo della loro comunione sessuale, si comportano come "arbitri" del disegno divino e "manipolano" e avviliscono la sessualità umana, e con essa la persona propria e del coniuge, alterandone il valore di donazione "totale". Così, al linguaggio nativo che esprime la reciproca donazione totale dei coniugi, la contraccezione impone un linguaggio oggettivamente contraddittorio, quello cioè del non donarsi all'altro in totalità: ne deriva, non soltanto il positivo rifiuto all'apertura alla vita, ma anche una falsificazione dell'interiore verità dell'amore coniugale, chiamato a donarsi in totalità personale" (GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. 'Familiaris Consortio', 22 novembre 1981, n. 32).
34 "L'essere umano va rispettato e trattato come una persona fin dal suo concepimento e, pertanto, da quello stesso momento gli si devono riconoscere i diritti della persona, tra i quali anzitutto il diritto inviolabile di ogni essere umano innocente alla vita" (CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione sul rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione 'Donum Vitae', 22 febbraio 1987, n. 1). "La stretta connessione che, a livello di mentalità, intercorre tra la pratica della contraccezione e quella dell'aborto emerge sempre di più e lo dimostra in modo allarmante anche la messa a punto di preparati chimici, di dispositivi intrauterini e di vaccini che, distribuiti con la stessa facilità dei contraccettivi, agiscono in realtà come abortivi nei primissimi stadi di sviluppo della vita del nuovo essere umano" (GIOVANNI PAOLO II, Enc. 'Evangelium Vitae', 25 marzo 1995, n. 13).
35 "Se dunque per distanziare le nascite esistono seri motivi, derivanti o dalle condizioni fisiche o psicologiche dei coniugi, o da circostanze esteriori, la Chiesa insegna essere allora lecito tener conto dei ritmi naturali immanenti alle funzioni generative per l'uso del matrimonio nei soli periodi infecondi e così regolare la natalità senza offendere i principi morali che abbiamo ora ricordati. La Chiesa è coerente con se stessa quando ritiene lecito il ricorso ai periodi infecondi, mentre condanna come sempre illecito l'uso dei mezzi direttamente contrari alla fecondazione, anche se ispirato da ragioni che possano apparire oneste e serie. In realtà, tra i due casi esiste una differenza essenziale: nel primo caso i coniugi usufruiscono legittimamente di una disposizione naturale; nell'altro caso essi impediscono lo svolgimento dei processi naturali. È vero che nell'uno e nell'altro caso, i coniugi concordano nella volontà positiva di evitare la prole per ragioni plausibili, cercando la sicurezza che essa non verrà; ma è altresì vero che soltanto nel primo caso essi sanno rinunciare all'uso del matrimonio nei periodi fecondi quando, per giusti motivi, la procreazione non è desiderabile, usandone, poi, nei periodi agenesiaci a manifestazione di affetto ed a salvaguardia della mutua fedeltà. Così facendo essi danno prova di amore veramente ed integralmente onesto" (PAOLO VI, Enc. 'Humanae Vitae', 25 luglio 1968, n. 16). "Quando i coniugi, mediante il ricorso a periodi di infecondità, rispettano la connessione inscindibile dei significati unitivo e procreativo della sessualità umana, si comportano come "ministri" del disegno di Dio ed "usufruiscono" della sessualità secondo l'originario dinamismo della donazione "totale", senza manipolazioni ed alterazioni" (GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. 'Familiaris Consortio', 22 novembre 1981, n. 32). "L'opera di educazione alla vita comporta la 'formazione dei coniugi alla procreazione responsabile'. Questa, nel suo vero significato, esige che gli sposi siano docili alla chiamata del Signore e agiscano come fedeli interpreti del suo disegno: ciò avviene con l'aprire generosamente la famiglia a nuove vite, e comunque rimanendo in atteggiamento di apertura e di servizio alla vita anche quando, per seri motivi e nel rispetto della legge morale, i coniugi scelgono di evitare temporaneamente o a tempo indeterminato una nuova nascita. La legge morale li obbliga in ogni caso a governare le tendenze dell'istinto e delle passioni e a rispettare le leggi biologiche iscritte nella loro persona. Proprio tale rispetto rende legittimo, a servizio della responsabilità nel procreare, 'il ricorso ai metodi naturali di regolazione della fertilità'" (GIOVANNI PAOLO II, Enc. 'Evangelium Vitae', 25 marzo 1995, n. 97).
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