II Il messaggio biblico ed ecclesiale sulla proprietà della terra e sullo sviluppo agricolo
Il messaggio biblico
La cura della creazione
22. La prima pagina della Bibbia racconta la creazione del mondo e della persona umana: "Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò" (Gen 1,27). Parole solenni esprimono il compito che Dio loro affida: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra" (Gen 1,28).
Il primo compito che Dio loro assegna - si tratta, evidentemente, di un compito fondamentale - riguarda l'atteggiamento che devono assumere di fronte alla terra e a tutte le creature. "Soggiogare" e "dominare" sono due verbi che possono essere facilmente fraintesi e addirittura sembrare una giustificazione di quel dominio dispotico e sfrenato che non si cura della terra e dei suoi frutti, ma ne fa scempio a proprio vantaggio. In realtà "soggiogare" e "dominare" sono verbi che, nel linguaggio biblico, servono a descrivere il dominio del re saggio, che si prende cura del benessere di tutti i suoi sudditi. L'uomo e la donna devono aver cura della creazione, perché questa serva a loro e rimanga a disposizione di tutti, non solo di alcuni.
23. La natura profonda della creazione è di essere un dono di Dio, un dono per tutti, e Dio vuole che tale rimanga. Per questo il primo imperativo rivolto da Dio è di conservare la terra nella sua natura di dono e benedizione e di non trasformarla invece in strumento di potere o in motivo di divisione.
Il diritto-dovere della persona umana di dominare la terra deriva dal suo essere immagine di Dio: spetta a tutti, non solo ad alcuni, la responsabilità della creazione. In Egitto e in Babilonia questa prerogativa era attribuita ad alcuni. Nel testo biblico, invece, il dominio appartiene alla persona umana come tale e, quindi, a tutti. Anzi è l'umanità nel suo insieme che deve sentirsi responsabile della creazione. L'uomo è posto nel giardino per coltivarlo e custodirlo (cfr. Gen 2,15), così da potersi nutrire dei suoi frutti. In Egitto e in Babilonia il lavoro è una dura necessità imposta agli uomini a beneficio degli dei: di fatto, a beneficio del re, dei funzionari, dei sacerdoti e dei grandi proprietari. Nel racconto biblico, invece, il lavoro è per la realizzazione della persona umana.
La terra è di Dio che la dona a tutti i suoi figli
24. L'israelita ha diritto alla proprietà della terra, che la legge protegge in molti modi. Prescrive il Decalogo: "Non bramerai la casa del tuo prossimo, né il suo campo né il suo servo né la sua serva né il suo bue né il suo asino e nulla di quanto è del tuo prossimo" (Dt 5,21). Si può dire che l'israelita si sente veramente libero, pienamente israelita, solo quando possiede il suo pezzo di terra. Ma la terra è di Dio, insiste l'Antico Testamento, e Dio l'ha data in eredità a tutti i figli di Israele. Dunque deve essere divisa fra tutte le tribù, clan e famiglie. E l'uomo non è il vero padrone della sua terra, ma piuttosto un amministratore. Il vero padrone è Dio. Si legge nel Levitico: "Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e inquilini" (25,23). In Egitto la terra apparteneva al faraone e i contadini erano suoi servi e sua proprietà. A Babilonia vigeva una struttura feudale: il re consegnava le terre in cambio di fedeltà e servizi. Nulla di simile in Israele. La terra è di Dio che la dona a tutti i suoi figli.
25. Ne derivano precise conseguenze. Da un lato, a nessuno è lecito privare del possesso della terra la persona che l'ha in uso, altrimenti si viola un diritto divino; neppure il re lo può fare 16. Dall'altro lato, viene negata ogni forma di possesso assoluto e arbitrario esclusivamente a proprio vantaggio: non si può fare ciò che si vuole dei beni che Dio ha dato a tutti.
È su questa base che la legislazione introduce di volta in volta, e sempre sotto la spinta di concrete situazioni, molte limitazioni al diritto di proprietà. Qualche esempio: il divieto di raccogliere frutti da un albero durante i primi quattro anni (cfr. Lv 19,23-25); l'invito a non mietere fino ai margini del campo e la proibizione di raccogliere frutti e spighe dimenticati o caduti per terra, perché appartengono ai poveri (cfr. Lv 19,9-10; 23,22; Dt 24,19-22). Alla luce di questa visione della proprietà si comprende la severità del giudizio morale espresso dalla Bibbia sulle prevaricazioni dei ricchi, che costringono i poveri e i contadini a cedere i loro fondi familiari. Sono particolarmente i Profeti a condannare con energia questi soprusi. "Guai a voi, che aggiungete casa a casa e unite campo a campo", grida Isaia (5,8). E il suo contemporaneo Michea: "Sono avidi di campi e li usurpano, di case, e se le prendono. Così opprimono l'uomo e la sua casa, il proprietario e la sua eredità" (2,2).
La prospettiva di libertà del Giubileo
26. Lo sforzo di legare stabilmente e in perpetuo la proprietà della terra al suo possessore e, nel contempo, lo sforzo di distribuire equamente le terre fra tutte le famiglie d'Israele, sono all'origine di uno degli istituti sociali più singolari di quel popolo: il Giubileo (cfr. Lv 25) 17. Questo istituto traduce direttamente sul piano sociale ed economico la signoria di Dio ed intende affermare, o difendere, tre libertà.
La prima libertà riguarda i campi e le case che, nell'anno giubilare, debbono ritornare agli antichi proprietari. Campi e case si possono vendere, ma la vendita è semplicemente un passaggio dei diritti di utilizzo, fermo restando il diritto del proprietario (o di un parente) a riscattare in qualsiasi momento il suo fondo. In ogni caso, ogni cinquant'anni le proprietà alienate torneranno alle antiche famiglie. La seconda libertà riguarda le persone che, nell'anno del Giubileo, devono tornare libere alle loro famiglie e alle loro proprietà. La terza libertà riguarda la terra che, nell'anno del Giubileo e nell'anno sabbatico, deve essere lasciata riposare per un anno. Particolarmente interessante è la motivazione di queste tre libertà: "Poiché io sono il Signore Dio vostro" (Lv 25,17); "La terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e inquilini" (Lv 25,23). La motivazione basilare, dunque, è la signoria di Dio, una signoria che si manifesta nel dono agli uomini: "Io sono il Signore vostro Dio, che vi ho fatto uscire dal paese d'Egitto, per darvi il paese di Canaan, per essere il vostro Dio" (Lv 25,38).
16 Emblematico è in proposito il racconto della vigna di Nabot (cfr. 1 Re 21).
17 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Tertio millennio adveniente, cit., nn. 12-13.