CAPITOLO
III COSTITUZIONE GERARCHICA DELLA CHIESA E IN PARTICOLARE DELL'EPISCOPATO
Proemio
18. Cristo Signore, per
pascere e sempre più accrescere il popolo di Dio, ha stabilito nella sua Chiesa
vari ministeri, che tendono al bene di tutto il corpo. I ministri infatti che
sono rivestiti di sacra potestà, servono i loro fratelli, perché tutti coloro
che appartengono al popolo di Dio, e perciò hanno una vera dignità cristiana,
tendano liberamente e ordinatamente allo stesso fine e arrivino alla salvezza.
Questo santo Sinodo, sull'esempio del Concilio Vaticano primo, insegna e
dichiara che Gesù Cristo, pastore eterno, ha edificato la santa Chiesa e ha
mandato gli apostoli, come egli stesso era stato mandato dal Padre (cfr. Gv
20,21), e ha voluto che i loro successori, cioè i vescovi, fossero nella sua
Chiesa pastori fino alla fine dei secoli. Affinché poi lo stesso episcopato
fosse uno e indiviso, prepose agli altri apostoli il beato Pietro e in lui
stabilì il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell'unità di fede e
di comunione. Questa dottrina della istituzione, della perpetuità, del valore e
della natura del sacro primato del romano Pontefice e del suo infallibile
magistero, il santo Concilio la propone di nuovo a tutti i fedeli come oggetto
certo di fede. Di più proseguendo nel disegno incominciato, ha stabilito di
enunciare ed esplicitare la dottrina sui vescovi, successori degli apostoli, i
quali col successore di Pietro, vicario di Cristo e capo visibile di tutta la
Chiesa, reggono la casa del Dio vivente.
L'istituzione dei dodici
19. Il Signore Gesù, dopo
aver pregato il Padre, chiamò a sé quelli che egli volle, e ne costituì dodici
perché stessero con lui e per mandarli a predicare il regno di Dio (cfr. Mc
3,13-19; Mt 10,1-42); ne fece i suoi apostoli (cfr. Lc 6,13) dando loro la
forma di collegio, cioè di un gruppo stabile, del quale mise a capo Pietro,
scelto di mezzo a loro (cfr. Gv 21 15-17). Li mandò prima ai figli d'Israele e
poi a tutte le genti (cfr. Rm 1,16) affinché, partecipi del suo potere,
rendessero tutti i popoli suoi discepoli, li santificassero e governassero
(cfr. Mt 28,16-20; Mc 16,15; Lc 24,45-48), diffondendo così la Chiesa e, sotto
la guida del Signore, ne fossero i ministri e i pastori, tutti i giorni sino
alla fine del mondo (cfr. Mt 28,20). In questa missione furono pienamente
confermati il giorno di Pentecoste (cfr. At 2,1-36) secondo la promessa del
Signore: « Riceverete una forza, quella dello Spirito Santo che discenderà su
di voi, e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria, e
sino alle estremità della terra » (At 1,8). Gli apostoli, quindi, predicando
dovunque il Vangelo (cfr. Mc 16,20), accolto dagli uditori grazie all'azione
dello Spirito Santo, radunano la Chiesa universale che il Signore ha fondato su
di essi e edificato sul beato Pietro, loro capo, con Gesù Cristo stesso come
pietra maestra angolare (cfr. Ap 21,14; Mt 16,18; Ef 2,20).
I vescovi, successori degli apostoli
20. La missione divina
affidata da Cristo agli apostoli durerà fino alla fine dei secoli (cfr. Mt
28,20), poiché il Vangelo che essi devono predicare è per la Chiesa il
principio di tutta la sua vita in ogni tempo. Per questo gli apostoli, in
questa società gerarchicamente ordinata, ebbero cura di istituire dei
successori.
Infatti, non solo ebbero vari collaboratori
nel ministero ma perché la missione loro affidata venisse continuata dopo la loro
morte, affidarono, quasi per testamento, ai loro immediati cooperatori
l'ufficio di completare e consolidare l'opera da essi incominciata
raccomandando loro di attendere a tutto il gregge nel quale lo Spirito Santo li
aveva posti a pascere la Chiesa di Dio (cfr. At 20,28). Perciò si scelsero di
questi uomini e in seguito diedero disposizione che dopo la loro morte altri
uomini subentrassero al loro posto Fra i vari ministeri che fin dai primi tempi
si esercitano nella Chiesa, secondo la testimonianza della tradizione, tiene il
primo posto l'ufficio di quelli che costituiti nell'episcopato, per successione
che decorre ininterrotta fin dalle origini sono i sacramenti attraverso i quali
si trasmette il seme apostolico. Così, come attesta S. Ireneo, per mezzo di
coloro che gli apostoli costituirono vescovi e dei loro successori fino a noi,
la tradizione apostolica in tutto il mondo è manifestata e custodita .
I vescovi dunque hanno ricevuto il ministero
della comunità per esercitarlo con i loro collaboratori, sacerdoti e diaconi.
Presiedono in luogo di Dio al gregge di cui sono pastori quali maestri di
dottrina, sacerdoti del sacro culto, ministri del governo della Chiesa. Come
quindi è permanente l'ufficio dal Signore concesso singolarmente a Pietro, il
primo degli apostoli, e da trasmettersi ai suoi successori, cosi è permanente
l'ufficio degli apostoli di pascere la Chiesa, da esercitarsi in perpetuo dal
sacro ordine dei vescovi. Perciò il sacro Concilio insegna che i vescovi per
divina istituzione sono succeduti al posto degli apostoli quali pastori della
Chiesa, e che chi li ascolta, ascolta Cristo, chi li disprezza, disprezza
Cristo e colui che ha mandato Cristo (cfr. Lc 10,16).
Sacramentalità dell'episcopato
21. Nella persona quindi
dei vescovi, assistiti dai sacerdoti, è presente in mezzo ai credenti il
Signore Gesù Cristo, pontefice sommo. Pur sedendo infatti alla destra di Dio
Padre, egli non cessa di essere presente alla comunità dei suoi pontefici in
primo luogo, per mezzo dell'eccelso loro ministero, predica la parola di Dio a
tutte le genti e continuamente amministra ai credenti i sacramenti della fede;
per mezzo del loro ufficio paterno (cfr. 1 Cor 4,15) integra nuove membra al
suo corpo con la rigenerazione soprannaturale; e infine, con la loro sapienza e
prudenza, dirige e ordina il popolo del Nuovo Testamento nella sua
peregrinazione verso l'eterna beatitudine. Questi pastori, scelti a pascere il
gregge del Signore, sono ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio
(cfr. 1 Cor 4,1). Ad essi è stata affidata la testimonianza al Vangelo della
grazia di Dio (cfr. Rm 15,16; At 20,24) e il glorioso ministero dello Spirito e
della giustizia (cfr. 2 Cor 3,8-9).
Per compiere cosi grandi uffici, gli
apostoli sono stati arricchiti da Cristo con una effusione speciale dello
Spirito Santo disceso su loro (cfr. At 1,8; 2,4; Gv 20,22-23), ed essi stessi
con la imposizione delle mani diedero questo dono spirituale ai loro
collaboratori (cfr. 1 Tm 4,14; 2 Tm 1,6-7), dono che è stato trasmesso fino a
noi nella consacrazione episcopale. Il santo Concilio insegna quindi che con la
consacrazione episcopale viene conferita la pienezza del sacramento
dell'ordine, quella cioè che dalla consuetudine liturgica della Chiesa e dalla
voce dei santi Padri viene chiamata sommo sacerdozio, realtà totale del sacro
ministero. La consacrazione episcopale conferisce pure, con l'ufficio di
santificare, gli uffici di insegnare e governare; questi però, per loro natura,
non possono essere esercitati se non nella comunione gerarchica col capo e con
le membra del collegio. Dalla tradizione infatti, quale risulta specialmente
dai riti liturgici e dall'uso della Chiesa sia d'Oriente che d'Occidente,
consta chiaramente che dall'imposizione delle mani e dalle parole della
consacrazione è conferita la grazia dello Spirito Santo ed è impresso il sacro
carattere in maniera tale che i vescovi, in modo eminente e visibile, tengono
il posto dello stesso Cristo maestro, pastore e pontefice, e agiscono in sua
vece. È proprio dei vescovi assumere col sacramento dell'ordine nuovi eletti
nel corpo episcopale.
Il collegio dei vescovi e il suo capo
22. Come san Pietro e gli
altri apostoli costituiscono, per volontà del Signore, un unico collegio
apostolico, similmente il romano Pontefice, successore di Pietro, e i vescovi,
successori degli apostoli, sono uniti tra loro. Già l'antichissima disciplina,
in virtù della quale i vescovi di tutto il mondo vivevano in comunione tra loro
e col vescovo di Roma nel vincolo dell'unità, della carità e della pace e
parimenti la convocazione dei Concili per decidere in comune di tutte le
questioni più importanti mediante una decisione che l'opinione dell'insieme
permetteva di equilibrare significano il carattere e la natura collegiale
dell'ordine episcopale, che risulta manifestamente confermata dal fatto dei
Concili ecumenici tenuti lungo i secoli. La stessa è pure suggerita dall'antico
uso di convocare più vescovi per partecipare all elevazione del nuovo eletto al
ministero del sommo sacerdozio. Uno è costituito membro del corpo episcopale in
virtù della consacrazione sacramentale e mediante la comunione gerarchica col capo
del collegio e con le sue membra.
Il collegio o corpo episcopale non ha però
autorità, se non lo si concepisce unito al Pontefice romano, successore di
Pietro, quale suo capo, e senza pregiudizio per la sua potestà di primato su
tutti, sia pastori che fedeli. Infatti il romano Pontefice, in forza tutta la
Chiesa, ha su questa una potestà piena, suprema e universale, che può sempre
esercitare liberamente. D'altra parte, l'ordine dei vescovi, il quale succede
al collegio degli apostoli nel magistero e nel governo pastorale, anzi, nel
quale si perpetua il corpo apostolico, è anch'esso insieme col suo capo il
romano Pontefice, e mai senza questo capo, il soggetto di una suprema e piena
potestà su tutta la Chiesa sebbene tale potestà non possa essere esercitata se
non col consenso del romano Pontefice. Il Signore ha posto solo Simone come
pietra e clavigero della Chiesa (cfr. Mt 16,18-19), e lo ha costituito pastore
di tutto il suo gregge (cfr. Gv 21,15 ss); ma l'ufficio di legare e di
sciogliere, che è stato dato a Pietro (cfr. Mt 16,19), è noto essere stato pure
concesso al collegio degli apostoli, congiunto col suo capo (cfr. Mt 18,18;
28,16-20). Questo collegio, in quanto composto da molti, esprime la varietà e
l'universalità del popolo di Dio; in quanto poi è raccolto sotto un solo capo,
significa l'unità del gregge di Cristo. In esso i vescovi, rispettando
fedelmente il primato e la preminenza del loro capo, esercitano la propria
potestà per il bene dei loro fedeli, anzi di tutta la Chiesa, mente lo Spirito
Santo costantemente consolida la sua struttura organica e la sua concordia. La
suprema potestà che questo collegio possiede su tutta la Chiesa, è esercitata
in modo solenne nel Concilio ecumenico. Mai può esserci Concilio ecumenico, che
come tale non sia confermato o almeno accettato dal successore di Pietro; ed è
prerogativa del romano Pontefice convocare questi Concili, presiederli e
confermarli. La stessa potestà collegiale insieme col papa può essere
esercitata dai vescovi sparsi per il mondo, purché il capo del collegio li
chiami ad agire collegialmente, o almeno approvi o liberamente accetti l'azione
congiunta dei vescovi dispersi, così da risultare un vero atto collegiale.
Le relazioni all'interno del collegio
episcopale
23. L'unità collegiale
appare anche nelle mutue relazioni dei singoli vescovi con Chiese particolari e
con la Chiesa universale. Il romano Pontefice, quale successore di Pietro, è il
perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei vescovi sia della
massa dei fedeli. I singoli vescovi, invece, sono il visibile principio e
fondamento di unità nelle loro Chiese particolari queste sono formate ad
immagine della Chiesa universale, ed è in esse e a partire da esse che esiste
la Chiesa cattolica una e unica. Perciò i singoli vescovi rappresentano la
propria Chiesa, e tutti insieme col Papa rappresentano la Chiesa universale in
un vincolo di pace, di amore e di unità. I singoli vescovi, che sono preposti a
Chiese particolari, esercitano il loro pastorale governo sopra la porzione del
popolo di Dio che è stata loro affidata, non sopra le altre Chiese né sopra la
Chiesa universale. Ma in quanto membri del collegio episcopale e legittimi
successori degli apostoli, per istituzione e precetto di Cristo sono tenuti ad
avere per tutta la Chiesa una sollecitudine che, sebbene non sia esercitata con
atti di giurisdizione, contribuisce sommamente al bene della Chiesa universale.
Tutti i vescovi, infatti, devono promuovere e difendere l'unità della fede e la
disciplina comune all'insieme della Chiesa, formare i fedeli all'amore per
tutto il corpo mistico di Cristo, specialmente delle membra povere, sofferenti
e di quelle che sono perseguitate a causa della giustizia (cfr. Mt 5,10), e
infine promuovere ogni attività comune alla Chiesa, specialmente nel procurare
che la fede cresca e sorga per tutti gli uomini la luce della piena verità. Del
resto è certo che, reggendo bene la propria Chiesa come una porzione della
Chiesa universale, contribuiscono essi stessi efficacemente al bene di tutto il
corpo mistico, che è pure il corpo delle Chiese.
La cura di annunziare il Vangelo in ogni
parte della terra appartiene al corpo dei pastori, ai quali tutti, in comune,
Cristo diede il mandato, imponendo un comune dovere, come già papa Celestino
ricordava ai Padri del Concilio Efesino. Quindi i singoli vescovi, per quanto
lo permette l'esercizio del particolare loro dovere, sono tenuti a collaborare
tra di loro e col successore di Pietro, al quale in modo speciale fu affidato
l'altissimo ufficio di propagare il nome cristiano. Con tutte le forze devono
fornire alle missioni non solo gli operai della messe, ma anche aiuti
spirituali e materiali, sia da sé direttamente, sia suscitando la fervida
cooperazione dei fedeli. I vescovi, infine, in universale comunione di carità,
offrano volentieri il loro fraterno aiuto alle altre Chiese, specialmente alle
più vicine e più povere, seguendo in questo il venerando esempio dell'antica
Chiesa.
Per divina Provvidenza è avvenuto che varie
Chiese, in vari luoghi stabilite dagli apostoli e dai loro successori, durante
i secoli si sono costituite in vari raggruppamenti, organicamente congiunti, i
quali, salva restando l'unità della fede e l'unica costituzione divina della
Chiesa universale, godono di una propria disciplina, di un proprio uso
liturgico, di un proprio patrimonio teologico e spirituale. Alcune fra esse,
soprattutto le antiche Chiese patriarcali, quasi matrici della fede, ne hanno
generate altre a modo di figlie, colle quali restano fino ai nostri tempi
legate da un più stretto vincolo di carità nella vita sacramentale e nel mutuo
rispetto dei diritti e dei doveri. Questa varietà di Chiese locali tendenti
all'unità dimostra con maggiore evidenza la cattolicità della Chiesa indivisa.
In modo simile le Conferenze episcopali possono oggi portare un molteplice e
fecondo contributo acciocché il senso di collegialità si realizzi
concretamente.
Il ministero episcopale
24. I vescovi, quali
successori degli apostoli, ricevono dal Signore, cui è data ogni potestà in
cielo e in terra, la missione d'insegnare a tutte le genti e di predicare il
Vangelo ad ogni creatura, affinché tutti gli uomini, per mezzo della fede, del
battesimo e dell'osservanza dei comandamenti, ottengano la salvezza (cfr. Mt
28,18-20; Mc 16,15-16; At 26,17 ss). Per compiere questa missione, Cristo
Signore promise agli apostoli lo Spirito Santo e il giorno di Pentecoste lo
mandò dal cielo, perché con la sua forza essi gli fossero testimoni fino alla
estremità della terra, davanti alle nazioni e ai popoli e ai re (cfr. At 1,8;
2,1 ss; 9,15). L'ufficio poi che il Signore affidò ai pastori del suo popolo, è
un vero servizio, che nella sacra Scrittura è chiamato significativamente «
diaconia », cioè ministero (cfr. At 1,17 e 25; 21,19; Rm 11,13; 1 Tm 1,12).
La missione canonica dei vescovi può essere
data per mezzo delle legittime consuetudini, non revocate dalla suprema e
universale potestà della Chiesa, o per mezzo delle leggi fatte dalla stessa
autorità o da essa riconosciute, oppure direttamente dallo stesso successore di
Pietro; se questi rifiuta o nega la comunione apostolica, i vescovi non possono
essere assunti all'ufficio.
La funzione d'insegnamento dei vescovi
25. Tra i principali
doveri dei vescovi eccelle la predicazione del Vangelo. I vescovi, infatti,
sono gli araldi della fede che portano a Cristo nuovi discepoli; sono dottori
autentici, cioè rivestiti dell'autorità di Cristo, che predicano al popolo loro
affidato la fede da credere e da applicare nella pratica della vita, la
illustrano alla luce dello Spirito Santo, traendo fuori dal tesoro della
Rivelazione cose nuove e vecchie (cfr. Mt 13,52), la fanno fruttificare e vegliano
per tenere lontano dal loro gregge gli errori che lo minacciano (cfr. 2 Tm
4,1-4) . I vescovi che insegnano in comunione col romano Pontefice devono
essere da tutti ascoltati con venerazione quali testimoni della divina e
cattolica verità; e i fedeli devono accettare il giudizio dal loro vescovo dato
a nome di Cristo in cose di fede e morale, e dargli l'assenso religioso del
loro spirito. Ma questo assenso religioso della volontà e della intelligenza lo
si deve in modo particolare prestare al magistero autentico del romano
Pontefice, anche quando non parla « ex cathedra ». Ciò implica che il suo
supremo magistero sia accettato con riverenza, e che con sincerità si aderisca
alle sue affermazioni in conformità al pensiero e in conformità alla volontà di
lui manifestatasi che si possono dedurre in particolare dal carattere dei
documenti, o dall'insistenza nel proporre una certa dottrina, o dalla maniera
di esprimersi.
Quantunque i vescovi, presi a uno a uno, non
godano della prerogativa dell'infallibilità, quando tuttavia, anche dispersi
per il mondo, ma conservando il vincolo della comunione tra di loro e col
successore di Pietro, si accordano per insegnare autenticamente che una
dottrina concernente la fede e i costumi si impone in maniera assoluta, allora
esprimono infallibilmente la dottrina di Cristo. La cosa è ancora più manifesta
quando, radunati in Concilio ecumenico, sono per tutta la Chiesa dottori e
giudici della fede e della morale; allora bisogna aderire alle loro definizioni
con l'ossequio della fede.
Questa infallibilità, della quale il divino
Redentore volle provveduta la sua Chiesa nel definire la dottrina della fede e
della morale, si estende tanto, quanto il deposito della divina Rivelazione,
che deve essere gelosamente custodito e fedelmente esposto. Di questa
infallibilità il romano Pontefice, capo del collegio dei vescovi, fruisce in
virtù del suo ufficio, quando, quale supremo pastore e dottore di tutti i
fedeli che conferma nella fede i suoi fratelli (cfr. Lc 22,32), sancisce con atto
definitivo una dottrina riguardante la fede e la morale. Perciò le sue
definizioni giustamente sono dette irreformabili per se stesse e non in virtù
del consenso della Chiesa, essendo esse pronunziate con l'assistenza dello
Spirito Santo a lui promessa nella persona di san Pietro, per cui non hanno
bisogno di una approvazione di altri, né ammettono appello alcuno ad altro
giudizio. In effetti allora il romano Pontefice pronunzia sentenza non come
persona privata, ma espone o difende la dottrina della fede cattolica quale
supremo maestro della Chiesa universale, singolarmente insignito del carisma
dell'infallibilità della Chiesa stessa. L'infallibilità promessa alla Chiesa
risiede pure nel corpo episcopale quando esercita il supremo magistero col
successore di Pietro. A queste definizioni non può mai mancare l'assenso della
Chiesa, data l'azione dello stesso Spirito Santo che conserva e fa progredire
nell'unità della fede tutto il gregge di Cristo.
Quando poi il romano Pontefice o il corpo
dei vescovi con lui esprimono una sentenza, la emettono secondo la stessa
Rivelazione, cui tutti devono attenersi e conformarsi, Rivelazione che è
integralmente trasmessa per scritto o per tradizione dalla legittima
successione dei vescovi e specialmente a cura dello stesso Pontefice romano, e
viene nella Chiesa gelosamente conservata e fedelmente esposta sotto la luce
dello Spirito di verità. Perché poi sia debitamente indagata ed enunziata in
modo adatto, il romano Pontefice e i vescovi nella coscienza del loro ufficio e
della gravità della cosa, prestano la loro vigile opera usando i mezzi
convenienti però non ricevono alcuna nuova rivelazione pubblica come
appartenente al deposito divino della fede.
La funzione di santificazione
26. Il vescovo, insignito
della pienezza del sacramento dell'ordine, è « l'economo della grazia del
supremo sacerdozio» specialmente nell'eucaristia, che offre egli stesso o fa
offrire e della quale la Chiesa continuamente vive e cresce. Questa Chiesa di
Cristo è veramente presente nelle legittime comunità locali di fedeli, le
quali, unite ai loro pastori, sono anch'esse chiamate Chiese nel Nuovo
Testamento. Esse infatti sono, ciascuna nel proprio territorio, il popolo nuovo
chiamato da Dio nello Spirito Santo e in una grande fiducia (cfr. 1 Ts 1,5). In
esse con la predicazione del Vangelo di Cristo vengono radunati i fedeli e si
celebra il mistero della Cena del Signore, « affinché per mezzo della carne e
del sangue del Signore siano strettamente uniti tutti i fratelli della
comunità». In ogni comunità che partecipa all'altare, sotto la sacra presidenza
del vescovo viene offerto il simbolo di quella carità e « unità del corpo
mistico, senza la quale non può esserci salvezza». In queste comunità, sebbene
spesso piccole e povere e disperse, è presente Cristo, per virtù del quale si
costituisce la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Infatti « la
partecipazione del corpo e del sangue di Cristo altro non fa, se non che ci
mutiamo in ciò che riceviamo ».
Ogni legittima celebrazione dell'eucaristia
è diretta dal vescovo, al quale è demandato il compito di prestare e regolare
il culto della religione cristiana alla divina Maestà, secondo i precetti del
Signore e le leggi della Chiesa, dal suo particolare giudizio ulteriormente
determinante per la propria diocesi. In questo modo i vescovi, con la preghiera
e il lavoro per il popolo, in varie forme effondono abbondantemente la pienezza
della santità di Cristo. Col ministero della parola comunicano la forza di Dio
per la salvezza dei credenti (cfr. Rm 1,16), e con i sacramenti, dei quali con
la loro autorità organizzano la regolare e fruttuosa distribuzione santificano
i fedeli. Regolano l'amministrazione del battesimo, col quale è concesso
partecipare al regale sacerdozio di Cristo. Sono i ministri originari della
confermazione, dispensatori degli ordini sacri e moderatori della disciplina
penitenziale, e con sollecitudine esortano e istruiscono le loro popolazioni,
affinché nella liturgia e specialmente nel santo sacrificio della messa
compiano la loro parte con fede e devozione. Devono, infine, coll'esempio della
loro vita aiutare quelli a cui presiedono, serbando i loro costumi immuni da
ogni male, e per quanto possono, con l'aiuto di Dio mutandoli in bene, onde
possano, insieme col gregge loro affidato, giungere alla vita eterna.
La funzione di governo
27. I vescovi reggono le
Chiese particolari a loro affidate come vicari e legati di Cristo, col
consiglio, la persuasione, l'esempio, ma anche con l'autorità e la sacra
potestà, della quale però non si servono se non per edificare il proprio gregge
nella verità e nella santità, ricordandosi che chi è più grande si deve fare
come il più piccolo, e chi è il capo, come chi serve (cfr. Lc 22,26-27). Questa
potestà, che personalmente esercitano in nome di Cristo, è propria, ordinaria e
immediata, quantunque il suo esercizio sia in ultima istanza sottoposto alla
suprema autorità della Chiesa e, entro certi limiti, in vista dell'utilità
della Chiesa o dei fedeli, possa essere ristretto. In virtù di questa potestà i
vescovi hanno il sacro diritto e davanti al Signore il dovere di dare leggi ai
loro sudditi, di giudicare e di regolare tutto quanto appartiene al culto e
all'apostolato.
Ad essi è pienamente affidato l'ufficio
pastorale ossia l'abituale e quotidiana cura del loro gregge; né devono essere
considerati vicari dei romani Pontefici, perché sono rivestiti di autorità
propria e con tutta verità sono detti « sovrintendenti delle popolazioni » che
governano. La loro potestà quindi non è annullata dalla potestà suprema e
universale, ma anzi è da essa affermata, corroborata e rivendicata, poiché è lo
Spirito Santo che conserva invariata la forma di governo da Cristo Signore stabilita
nella sua Chiesa.
Il vescovo, mandato dal padre di famiglia a
governare la sua famiglia, tenga innanzi agli occhi l'esempio del buon Pastore,
che è venuto non per essere servito ma per servire (cfr. Mt 20,28; Mc 10,45) e
dare la sua vita per le pecore (cfr. Gv 10,11). Preso di mezzo agli uomini e
soggetto a debolezza, può benignamente compatire gli ignoranti o gli sviati
(cfr. Eb 5,1-2). Non rifugga dall'ascoltare quelli che dipendono da lui,
curandoli come veri figli suoi ed esortandoli a cooperare alacremente con lui.
Dovendo render conto a Dio delle loro anime (cfr. Eb 13,17), abbia cura di loro
con la preghiera, la predicazione e ogni opera di carità; la sua sollecitudine
si estenda anche a quelli che non fanno ancor parte dell'unico gregge e li
consideri come affidatigli dal Signore. Essendo egli, come l'apostolo Paolo,
debitore a tutti, sia pronto ad annunziare il Vangelo a tutti (cfr. Rrn
1,14-15) e ad esortare i suoi fedeli all'attività apostolica e missionaria. I
fedeli poi devono aderire al vescovo come la Chiesa a Gesù Cristo e come Gesù
Cristo al Padre, affinché tutte le cose siano concordi e unite 61 e siano
feconde per la gloria di Dio (cfr. 2 Cor 4,15).
I sacerdoti e i loro rapporti con
Cristo, con i vescovi, con i confratelli e con il popolo cristiano
28. Cristo, santificato e
mandato nel mondo dal Padre (cfr. Gv 10,36), per mezzo degli apostoli ha reso
partecipi della sua consacrazione e della sua missione i loro successori, cioè
i vescovi a loro volta i vescovi hanno legittimamente affidato a vari membri
della Chiesa, in vario grado, l'ufficio del loro ministero. Così il ministero
ecclesiastico di istituzione divina viene esercitato in diversi ordini, da
quelli che già anticamente sono chiamati vescovi, presbiteri, diaconi. I
presbiteri, pur non possedendo l'apice del sacerdozio e dipendendo dai vescovi
nell'esercizio della loro potestà, sono tuttavia a loro congiunti nella dignità
sacerdotale e in virtù del sacramento dell'ordine ad immagine di Cristo, sommo
ed eterno sacerdote (cfr. Eb 5,1-10; 7,24; 9,11-28), sono consacrati per
predicare il Vangelo, essere i pastori fedeli e celebrare il culto divino,
quali veri sacerdoti del Nuovo Testamento. Partecipi, nel loro grado di
ministero, dell'ufficio dell'unico mediatore, che è il Cristo (cfr. 1 Tm 2,5)
annunziano a tutti la parola di Dio. Esercitano il loro sacro ministero
soprattutto nel culto eucaristico o sinassi, dove, agendo in persona di Cristo
e proclamando il suo mistero, uniscono le preghiere dei fedeli al sacrificio
del loro capo e nel sacrificio della messa rendono presente e applicano fino
alla venuta del Signore (cfr. 1 Cor 11,26), l'unico sacrificio del Nuovo
Testamento, quello cioè di Cristo, il quale una volta per tutte offrì se stesso
al Padre quale vittima immacolata (cfr. Eb 9,11-28). Esercitano inoltre il
ministero della riconciliazione e del conforto a favore dei fedeli penitenti o
ammalati e portano a Dio Padre le necessità e le preghiere dei fedeli (cfr. Eb
5,1-4). Esercitando, secondo la loro parte di autorità, l'ufficio di Cristo,
pastore e capo, raccolgono la famiglia di Dio, quale insieme di fratelli
animati da un solo spirito, per mezzo di Cristo nello Spirito li portano al
Padre e in mezzo al loro gregge lo adorano in spirito e verità (cfr. Gv 4,24).
Si affaticano inoltre nella predicazione e nell'insegnamento (cfr. 1 Tm 5,17),
credendo ciò che hanno letto e meditato nella legge del Signore, insegnando ciò
che credono, vivendo ciò che insegnano.
I sacerdoti, saggi collaboratori dell'ordine
episcopale e suo aiuto e strumento, chiamati a servire il popolo di Dio,
costituiscono col loro vescovo un solo presbiterio sebbene destinato a uffici
diversi. Nelle singole comunità locali di fedeli rendono in certo modo presente
il vescovo, cui sono uniti con cuore confidente e generoso, ne assumono secondo
il loro grado, gli uffici e la sollecitudine e li esercitano con dedizione
quotidiana. Essi, sotto l'autorità del vescovo, santificano e governano la
porzione di gregge del Signore loro affidata, nella loro sede rendono visibile
la Chiesa universale e portano un grande contributo all'edificazione di tutto
il corpo mistico di Cristo (cfr. Ef 4,12). Sempre intenti al bene dei figli di
Dio, devono mettere il loro zelo nel contribuire al lavoro pastorale di tutta
la diocesi, anzi di tutta la Chiesa. In ragione di questa loro partecipazione
nel sacerdozio e nel lavoro apostolico del vescovo, i sacerdoti riconoscano in
lui il loro padre e gli obbediscano con rispettoso amore. Il vescovo, poi,
consideri i sacerdoti, i suoi cooperatori, come figli e amici così come il
Cristo chiama i suoi discepoli non servi, ma amici (cfr. Gv 15,15). Per ragione
quindi dell'ordine e del ministero, tutti i sacerdoti sia diocesani che
religiosi, sono associati al corpo episcopale e, secondo la loro vocazione e
grazia, servono al bene di tutta la Chiesa.
In virtù della comunità di ordinazione e
missione tutti i sacerdoti sono fra loro legati da un'intima fraternità, che
deve spontaneamente e volentieri manifestarsi nel mutuo aiuto, spirituale e
materiale, pastorale e personale, nelle riunioni e nella comunione di vita, di
lavoro e di carità.
Abbiano poi cura, come padri in Cristo, dei
fedeli che hanno spiritualmente generato col battesimo e l'insegnamento (cfr. 1
Cor 4,15; 1 Pt 1,23). Divenuti spontaneamente modelli del gregge (cfr. 1 Pt
5,3) presiedano e servano la loro comunità locale, in modo che questa possa
degnamente esser chiamata col nome di cui è insignito l'unico popolo di Dio
nella sua totalità, cioè Chiesa di Dio (cfr. 1 Cor 1,2; 2 Cor 1,1). Si
ricordino che devono, con la loro quotidiana condotta e con la loro
sollecitudine, presentare ai fedeli e infedeli, cattolici e non cattolici,
l'immagine di un ministero veramente sacerdotale e pastorale, e rendere a tutti
la testimonianza della verità e della vita; e come buoni pastori ricercare
anche quelli (cfr. Lc 15,4-7) che, sebbene battezzati nella Chiesa cattolica,
hanno abbandonato la pratica dei sacramenti o persino la fede.
Siccome oggigiorno l'umanità va sempre più
organizzandosi in una unità civile, economica e sociale, tanto più bisogna che
i sacerdoti, consociando il loro zelo e il loro lavoro sotto la guida dei
vescovi e del sommo Pontefice, eliminino ogni causa di dispersione, affinché tutto
il genere umano sia ricondotto all'unità della famiglia di Dio.
I diaconi
29. In un grado inferiore
della gerarchia stanno i diaconi, ai quali sono imposte le mani « non per il
sacerdozio, ma per il servizio ». Infatti, sostenuti dalla grazia sacramentale,
nella « diaconia » della liturgia, della predicazione e della carità servono il
popolo di Dio, in comunione col vescovo e con il suo presbiterio. È ufficio del
diacono, secondo le disposizioni della competente autorità, amministrare
solennemente il battesimo, conservare e distribuire l'eucaristia, assistere e
benedire il matrimonio in nome della Chiesa, portare il viatico ai moribondi,
leggere la sacra Scrittura ai fedeli, istruire ed esortare il popolo, presiedere
al culto e alla preghiera dei fedeli, amministrare i sacramentali, presiedere
al rito funebre e alla sepoltura. Essendo dedicati agli uffici di carità e di
assistenza, i diaconi si ricordino del monito di S. Policarpo: « Essere
misericordiosi, attivi, camminare secondo la verità del Signore, il quale si è
fatto servo di tutti ».
E siccome questi uffici, sommamente
necessari alla vita della Chiesa, nella disciplina oggi vigente della Chiesa
latina in molte regioni difficilmente possono essere esercitati, il diaconato
potrà in futuro essere ristabilito come proprio e permanente grado della
gerarchia. Spetterà poi alla competenza dei raggruppamenti territoriali dei
vescovi, nelle loro diverse forme, di decidere, con l'approvazione dello stesso
sommo Pontefice, se e dove sia opportuno che tali diaconi siano istituiti per
la cura delle anime. Col consenso del romano Pontefice questo diaconato potrà
essere conferito a uomini di età matura anche viventi nel matrimonio, e così
pure a dei giovani idonei, per i quali però deve rimanere ferma la legge del
celibato.
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