Commento 2
“PERESTROJKA” E “GLASNOST”: SMANTELLAMENTO DELLA
III RIVOLUZIONE O METAMORFOSI DEL COMUNISMO?
Al tramonto dell’anno 1989 ai massimi dirigenti del comunismo
internazionale parve, infine, giunto il momento di fare un’enorme mossa
politica, la maggiore nella storia del comunismo. Sarebbe consistita nell’abbattere
la Cortina di Ferro e il Muro di Berlino, il che, producendo i propri effetti
in modo simultaneo all’esecuzione dei programmi “liberaleggianti” della Glasnost
(1985) e della Perestrojka (1986), avrebbe accelerato l’apparente
smantellamento della III Rivoluzione nel mondo sovietico.
A sua volta lo smantellamento avrebbe attirato sul suo sommo
promotore ed esecutore, Mikhail Gorbaciov, la simpatica carica di enfasi e la
fiducia senza riserve delle potenze occidentali e di molti fra i poteri
economici privati del Primo Mondo.
A partire da ciò, il Cremlino avrebbe potuto attendere un flusso
meraviglioso di risorse finanziarie per le sue casse vuote. Queste speranze
sono state molto ampiamente confermate dai fatti, dando a Gorbaciov e alla sua équipe
la possibilità di continuare a navigare, con in mano il timone, sul mare di
miseria, d’indolenza e d’inazione di fronte a cui l’infelice popolazione russa,
soggetta fino a poco fa al capitalismo di Stato integrale, si sta comportando
fino a questo momento con una passività sconcertante. Si tratta di una passività
favorevole alla generalizzazione del marasma, del caos e, forse, al
concretizzarsi di una crisi conflittuale interna suscettibile, a sua volta, di
degenerare in una guerra civile... o mondiale.
In questo quadro hanno fatto irruzione gli avvenimenti
sensazionali e brumosi dell’agosto del 1991, che hanno avuto come protagonisti
Gorbaciov, Eltsin e altri coautori di questa mossa, che hanno aperto la strada
alla trasformazione dell’URSS in una debole confederazione di Stati e poi al
suo smantellamento.
Si parla dell’eventuale caduta del regime di Fidel Castro a Cuba e
della possibile invasione dell’Europa Occidentale da parte di orde di affamati
provenienti dall’Oriente e dal Magreb. I diversi tentativi di albanesi bisognosi
de penetrare in Italia sarebbero stati come un primo saggio di questa nuova “invasione
barbarica” in Europa.
Non manca chi, nella Penisola Iberica come in altri paesi d’Europa,
collega queste ipotesi con la presenza di moltitudini di maomettani,
irresponsabilmente ammessi in anni precedenti in diversi punti di questo
continente e con i progetti di costruzione di un ponte sullo stretto di
Gibilterra, che collegherebbe l’Africa Settentrionale al territorio spagnolo,
il che favorirebbe a sua volta altre invasioni di musulmani in Europa.
Curiosa somiglianza di effetti della caduta della Cortina di Ferro
e della costruzione di questo ponte: entrambi aprirebbero il continente europeo
a invasioni analoghe a quelle respinte vittoriosamente da Carlo Magno, cioè
quelle da parte di orde barbariche o semi-barbariche provenienti dall’Oriente e
di orde maomettane provenienti da regioni a sud del continente europeo.
Si direbbe quasi che si ricompone il quadro pre-medioevale. Ma
manca qualcosa: è l’ardore di fede primaverile delle popolazioni cattoliche
chiamate a far fronte simultaneamente a entrambi gli impatti. Ma, soprattutto,
manca qualcuno: dove trovare attualmente un uomo della statura di Carlo Magno?
Se immaginiamo lo sviluppo delle ipotesi sopra enunciate, il cui
principale scenario sarebbe l’Occidente, indubbiamente ci spaventeranno la
dimensione e la drammaticità delle conseguenze che le stesse porterebbero con sé.
Tuttavia questa visione d’insieme non comprende neppur
lontanamente la totalità degli effetti che in questi giorni ci annunciano voci
autorizzate, provenienti da circoli intellettuali in palese opposizione fra
loro e da imparziali strumenti di comunicazione.
Per esempio, il crescente contrasto fra paesi consumisti e paesi
poveri. Oppure, in altri termini, fra nazioni ricche e industrializzate e altre
che sono semplici produttrici di materie prime.
Ne nascerebbe uno scontro di proporzioni mondiali fra ideologie
diverse, raccolte da un lato attorno all’arricchimento indefinito e dall’altro
al sottoconsumo miserabilista. Di fronte a questo eventuale scontro è
impossibile non ricordare la lotta di classe auspicata da Marx. E da questo
nasce naturalmente una domanda: tale lotta di classe sarà una proiezione, in
termini mondiali, di uno scontro analogo a quello concepito da Marx soprattutto
come un fenomeno socio-economico all’interno delle nazioni, conflitto al quale
parteciperebbe ognuna di esse con caratteristiche proprie?
In questa ipotesi la lotta fra il Primo e il Terzo Mondo servirà
da travestimento attraverso il quale il marxismo, svergognato dal suo
catastrofico fallimento socio-economico e trasformato, cercherebbe di ottenere,
con rinnovate possibilità di successo, la vittoria finale? Una vittoria fino a
questo momento sfuggita dalle mani di Gorbaciov, il quale, benché certamente
non ne sia il dottore, è almeno un insieme di bardo e di prestidigitatore della
perestrojka...
Proprio della perestroijka, della quale non è possibile
dubitare che sia una realizzazione del comunismo dal momento che lo confessa il
suo stesso autore nel saggio propagandistico Perestrojka : il nuovo pensiero
per il nostro paese e per il mondo (trad. it., Mondadori, Milano 1987, p.
37): “Lo scopo di questa riforma è assicurare [...] la transizione da una
direzione eccessivamente centralizzata, e basata sugli ordini, a una direzione
democratica, basata su una combinazione tra il centralismo democratico e l’autogestione”.
Autogestione che, per altro, era, “l’obiettivo supremo dello Stato sovietico”,
come stabiliva la stessa Costituzione dell’ex-URSS nel suo Preambolo.
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