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Paulus PP. VI
Mysterium fidei

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Nel sacrificio della messa Cristo si fa presente sacramentalmente

Quello che abbiamo detto brevemente intorno al sacrificio della messa ci porta a dire qualche cosa anche del sacramento dell’eucaristia, facendo parte sacrificio e sacramento dello stesso mistero sicché non è possibile separare l’uno dall’altro. Il Signore s’immola in modo incruento nel sacrificio della messa, che rappresenta il sacrificio della croce, applicandone la virtù salutifera, nel momento in cui per le parole della consacrazione comincia ad essere sacramentalmente presente, come spirituale alimento dei fedeli, sotto le specie del pane e del vino.

Tutti ben sappiamo che vari sono i modi secondo i quali Cristo è presente alla sua chiesa. È utile richiamare un po’ più diffusamente questa bellissima verità che la costituzione della sacra liturgia ha esposto brevemente. Cristo è presente alla sua chiesa che prega, essendo egli colui che "prega per noi, prega in noi ed è pregato da noi: prega per noi come nostro Sacerdote; prega in noi come nostro Capo; è pregato da noi come nostro Dio"; è lui stesso che ha promesso: "Dove sono due o tre riuniti in nome mio là sono io in mezzo a loro". Egli è presente alla sua chiesa che esercita le opere di misericordia non solo perché quando facciamo un po’ di bene a uno dei suoi più umili fratelli lo facciamo allo stesso Cristo, ma anche perché è Cristo stesso che fa queste opere per mezzo della sua chiesa, soccorrendo sempre con divina carità gli uomini. È presente alla sua chiesa pellegrina anelante al porto della vita eterna, giacché egli abita nei nostri cuori mediante la fede, e in essi diffonde la carità con l’azione dello Spirito Santo, da lui donatoci. In altro modo, ma verissimo anch’esso, egli è presente alla sua chiesa che predica, essendo l’evangelo che essa annunzia parola di Dio, che viene annunziata in nome e per autorità di Cristo Verbo di Dio incarnato e con la sua assistenza, perché sia "un solo gregge sicuro in virtù di un solo pastore". È presente alla sua chiesa che regge e governa il popolo di Dio, poiché la sacra potestà deriva da Cristo e Cristo, "Pastore dei pastori", assiste i pastori che la esercitano, secondo la promessa fatta agli apostoli.

Inoltre in modo ancora più sublime Cristo è presente alla sua chiesa che in suo nome celebra il sacrificio della messa e amministra i sacramenti. Riguardo alla presenza di Cristo nell’offerta del sacrificio della messa, ci piace ricordare ciò che s. Giovanni Crisostomo pieno d’ammirazione disse con verità ed eloquenza: "Voglio aggiungere una cosa veramente stupenda, non vi meravigliate e non vi turbate. Che cosa è? l’oblazione è la medesima, chiunque sia l’offerente, o Paolo o Pietro; quella stessa che Cristo affidò ai discepoli e che ora compiono i sacerdoti: questa non è affatto minore di quella, perché non gli uomini la fanno santa, ma colui che la santificò. Come le parole che Dio pronunziò, sono quelle stesse che ora il sacerdote dice, così medesima è l’oblazione". Nessuno poi ignora che i sacramenti sono azioni di Cristo, il quale li amministra per mezzo degli uomini. Perciò i sacramenti sono santi per se stessi e per virtù di Cristo, mentre toccano i corpi, infondono grazia alle anime. Queste varie maniere di presenza riempiono l’animo di stupore e offrono alla contemplazione il mistero della chiesa. Ma ben altro è il modo, veramente sublime, con cui Cristo è presente alla sua chiesa nel sacramento dell’eucaristia, che perciò è tra gli altri sacramenti "più soave per la devozione, più bello per l’intelligenza, più santo per il contenuto "; contiene infatti lo stesso Cristo ed è "quasi la perfezione della vita spirituale e il fine di tutti i Sacramenti".

Tale presenza si dice "reale" non per esclusione, quasi che le altre non siano "reali", ma per antonomasia perché è anche corporale e sostanziale, e in forza di essa Cristo, Uomo-Dio, tutto intero si fa presente. Malamente dunque qualcuno spiegherebbe questa forma di presenza, immaginando il corpo di Cristo glorioso di natura "pneumatica" onnipresente; oppure riducendola ai limiti di un simbolismo, come se questo augustissimo sacramento in niente altro consistesse che in un segno efficace "della spirituale presenza di Cristo e della sua intima congiunzione con i fedeli membri del Corpo Mistico". Invero del simbolismo eucaristico, specialmente in rapporto all’unità della chiesa, molto trattarono i padri e gli scolastici; il concilio di Trento ne ha compendiata la dottrina insegnando che il nostro Salvatore ha lasciato l’eucaristia alla sua chiesa "come simbolo della sua unità e della carità con la quale egli volle intimamente uniti tra loro tutti i cristiani", "e perciò simbolo di quell’unico corpo, di cui egli è il capo".

Fin dai primordi della letteratura cristiana l’ignoto autore della Didaché così scrive in proposito: "Per quanto riguarda l’eucaristia così rendete grazie... come questo pane spezzato era prima disperso sui monti e raccolto diventò uno, così si raccolga la tua chiesa dai confini della terra nel tuo regno". Parimenti s. Cipriano difendendo l’unità della chiesa contro lo scisma, scrive: "Finalmente gli stessi sacrifici del Signore mettono in luce l’unanimità dei cristiani cementata con solida e indivisibile carità. Giacché quando il Signore chiama suo corpo il pane composto dall’unione di molti granelli, indica il nostro popolo adunato, che egli sostentava; e quando chiama suo sangue il vino spremuto dai molti grappoli e acini e fuso insieme, indica similmente il nostro gregge composto di una moltitudine unita insieme". Del resto prima di tutti l’aveva detto l’apostolo ai Corinzi: "Poiché molti siamo un solo pane, un solo corpo tutti noi che partecipiamo di un solo pane".

Ma se il simbolismo eucaristico ci fa comprendere bene l’effetto proprio di questo sacramento, che è l’unità del corpo mistico, tuttavia non spiega e non esprime la natura del sacramento, per la quale esso si distingue dagli altri. Giacché la costante istruzione impartita dalla chiesa ai catecumeni, il senso del popolo cristiano, la dottrina definita dal concilio di Trento e le stesse parole con cui Cristo istituì la ss. eucaristia ci obbligano a professare "che l’eucaristia è la carne del nostro salvatore Gesù Cristo, che ha patito per i nostri peccati e che il Padre per sua benignità ha risuscitato". Alle parole del martire s. Ignazio ci piace aggiungere le parole di Teodoro di Mopsuestia, in questa materia testimone attendibile della fede della chiesa: "Poiché il Signore non disse: questo è il simbolo del mio corpo e questo è il simbolo del mio sangue, ma: questo è il mio corpo e il mio sangue, insegnandoci a non considerare la natura della cosa presentata, ma [a credere] che essa con l’azione di grazia si è tramutata in carne e sangue". Il Concilio Tridentino, appoggiato a questa fede della chiesa "apertamente e semplicemente afferma che nell’almo sacramento della ss. eucaristia, dopo la consacrazione del pane e del vino, nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo, è contenuto veramente, realmente e sostanzialmente sotto l’apparenza di quelle cose sensibili". Pertanto il nostro Salvatore nella sua umanità è presente non solo alla destra del Padre, secondo il modo di esistere naturale, ma insieme anche nel sacramento dell’eucaristia "secondo un modo di esistere, che, sebbene sia inesprimibile per noi a parole, tuttavia con la mente illustrata dalla fede possiamo intercedere e dobbiamo fermissimamente credere che è possibile a Dio".

Cristo Signore è presente nel sacramento dell’eucaristia per la transustanziazione

Ma perché nessuno fraintenda questo modo di presenza, che supera le leggi della natura e costituisce nel suo genere il più grande dei miracoli, è necessario ascoltare docilmente la voce della chiesa docente e orante. Ora questa voce, che riecheggia continuamente la voce di Cristo, ci assicura che Cristo non si fa presente in questo sacramento se non per la conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo di Cristo e di tutta la sostanza del vino nel suo sangue; conversione singolare e mirabile che la chiesa cattolica chiama giustamente e propriamente transustanziazione. Avvenuta la transustanziazione, le specie del pane e del vino senza dubbio acquistano un nuovo fine, non essendo più l’usuale pane e l’usuale bevanda, ma il segno di una cosa sacra e il segno di un alimento spirituale; ma intanto acquistano nuovo significato e nuovo fine in quanto contengono una nuova "realtà", che giustamente denominiamo ontologica. Giacché sotto le predette specie non c’è più quel che c’era prima, ma un’altra cosa del tutto diversa; e ciò non soltanto in base al giudizio della fede della chiesa, ma per la realtà oggettiva, poiché convertita la sostanza o natura del pane e del vino nel corpo e sangue di Cristo, nulla rimane più del pane e del vino che le sole specie, sotto le quali Cristo tutto intero è presente nella sua fisica "realtà" anche corporalmente, sebbene non allo stesso modo con cui i corpi sono nel luogo.

Per questo i padri ebbero gran cura di avvertire i fedeli che nel considerare questo augustissimo sacramento non si affidassero ai sensi, che rilevano le proprietà del pane e del vino, ma alle parole di Cristo, che hanno la forza di mutare, trasformare, "transelementare" il pane e il vino nel corpo e nel sangue di lui; invero, come spesso dicono i padri, la virtù che opera questo prodigio è la medesima virtù di Dio onnipotente, che al principio del tempo ha creato dal nulla l’universo. "Istruito in queste cose e munito di robustissima fede, dice s. Cirillo di Gerusalemme concludendo il discorso intorno ai misteri della fede, per cui quello che sembra pane, pane non è, nonostante la sensazione del gusto, ma è il corpo di Cristo; e quel che sembra vino, vino non è, a dispetto del gusto, ma è il sangue di Cristo... tu corrobora il tuo cuore mangiando quel pane come qualcosa di spirituale e rallegra il volto della tua anima". Insiste s. Giovanni Crisostomo: "Non è l’uomo che fa diventare le cose offerte corpo e sangue di Cristo, ma è Cristo stesso che è stato crocifisso per noi. Il sacerdote, figura di Cristo, pronunzia quelle parole, ma la loro virtù e la grazia sono di Dio. "Questo è il mio corpo": questa parola trasforma le cose offerte".

E col vescovo di Costantinopoli Giovanni è perfettamente d’accordo Cirillo vescovo di Alessandria, che nel commento all’evangelo di s. Matteo scrive: "[Cristo] in modo indicativo disse: Questo è il mio corpo e questo è il mio sangue, affinché tu non creda che siano semplice immagine le cose che si vedono; ma che le cose offerte sono trasformate, in modo misterioso da Dio onnipotente, nel corpo e nel sangue di Cristo realmente! partecipando a queste cose riceviamo la virtù vivificante e santificante di Cristo". E Ambrogio, vescovo di Milano, parlando chiaramente della conversione eucaristica, dice: "Persuadiamoci che questo non è ciò che la natura ha formato, ma ciò che la benedizione ha consacrato e che la forza della benedizione è maggiore della forza della natura, perché con la benedizione la stessa natura è mutata". E volendo confermare la verità del mistero, egli richiama molti esempi di miracoli narrati nella sacra scrittura, tra i quali la nascita di Gesù dalla vergine Maria, e poi passando all’opera della creazione così conclude: "La parola dunque di Cristo, che ha potuto fare dal nulla ciò che non esisteva, non può mutare le cose che esistono in ciò che non erano? Non è infatti meno dare alle cose la propria natura che mutargliela".

Ma non è necessario riportare molte testimonianze. È più utile richiamare la fermezza della fede con cui la chiesa, con unanime concordia, resistette a Berengario, il quale, cedendo alle difficoltà suggerite dalla ragione umana, osò per il primo negare la conversione eucaristica; la chiesa gli minacciò ripetutamente la condanna se non si ritrattasse. Perciò Gregorio VII, nostro predecessore, gli impose di prestare il giuramento in questi termini: "Intimamente credo e apertamente confesso che il pane e il vino posti sull’altare, per il mistero della orazione sacra e le parole del nostro Redentore, si convertono sostanzialmente nella vera e propria e vivificante carne e sangue di nostro Signore Gesù Cristo; e che dopo la consacrazione c’è il vero corpo di Cristo, che è nato dalla Vergine e per la salvezza del mondo fu offerto e sospeso sulla croce e ora siede alla destra del Padre; e c’è anche il vero sangue di Cristo, che uscì dal suo fianco, non soltanto come segno e virtù del sacramento, ma anche nella proprietà della natura e nella realtà della sostanza".

Con queste parole concordano (mirabile esempio della fermezza della fede cattolica!) i concili ecumenici Lateranense, Costanziense, Fiorentino e finalmente il Tridentino in ciò che costantemente hanno insegnato intorno al mistero della conversione eucaristica, sia esponendo la dottrina della chiesa sia condannando gli errori. Dopo il Concilio di Trento, il nostro predecessore Pio VI, contro gli errori del Sinodo di Pistoia, ammonì con parole gravi che i parroci, che hanno il compito d’insegnare, non tralascino di parlare della transustanziazione, che è uno degli articoli di fede. Parimenti il nostro predecessore Pio XII di f. m., richiamò i limiti che non devono sorpassare tutti coloro che discutono sottilmente del mistero della transustanziazione. Noi stessi nel recente Congresso nazionale italiano eucaristico di Pisa, secondo il nostro dovere apostolico, abbiamo reso pubblicamente e solennemente testimonianza della fede della chiesa.

Del resto la chiesa cattolica non solo ha sempre insegnato, ma anche vissuto la fede nella presenza del corpo e del sangue di Cristo nella eucaristia, adorando sempre con culto latreutico, che compete solo a Dio, un così grande sacramento. Di questo culto s. Agostino scrive: "In questa carne (il Signore) ha qui camminato e questa stessa carne ci ha dato da mangiare per la salvezza; e nessuno mangia quella carne senza averla prima adorata.. sicché non pecchiamo adorandola, ma anzi pecchiamo se non la adoriamo".




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