Seconda tappa
L’uomo soprannaturale è schiavo del dovere, e
perciò, parsimonioso col suo tempo, l’impiega con ordine e vive secondo una
regola. Egli comprende che altrimenti dominerebbero il naturalismo, la vita
comoda e capricciosa, dal mattino fino alla sera.
L’uomo di azione privo di base soprannaturale
non tarda a farne l’esperienza. La mancanza dello spirito di fede nell’uso del
tempo lo conduce a tralasciare la lettura spirituale; oppure legge ancora, ma
non studia più. Per i Padri della Chiesa, era d’obbligo preparare l’omelia per
la domenica lungo l’intera settimana. Lui invece, a meno che non sia in gioco
la vanità, preferisce improvvisare, e lo fa sempre con inusuale fortuna, a
sentir lui. Preferisce le riviste ai libri, rinuncia alla sistematicità,
svolazza qua e là. Alla legge del lavoro, che è legge di preservazione, di
moralizzazione e di penitenza, egli si sottrae dissipando le ore di libertà e
desiderando disordinatamente di procurarsi delle distrazioni.
Egli trova faticoso e puramente teorico quel che
potrebbe imprigionare la sua libertà di movimento. Il tempo non gli basta per
tante opere e doveri sociali, e nemmeno per ciò che considera necessario alla
sua salute e ai suoi svaghi. Satana gli dice: «Dedichi ancora troppo tempo agli
esercizi di pietà: meditazione, Ufficio, Messa, atti di ministero...; bisogna
sfoltire!». E immancabilmente comincia ad abbreviare la meditazione, a farla
con irregolarità e, ahimé, a poco a poco arriva forse a sopprimerla del tutto.
La sveglia ad ora fissa, condizione indispensabile per rimanere fedeli
all’orazione, l’ha anch’essa ovviamente abbandonata, dato che egli si corica
sempre tardi e per giusti motivi.
Orbene, nella vita attiva, abbandonare la
meditazione equivale a gettare a terra le armi davanti al nemico. «A meno di un
miracolo – dice sant’Alfonso – senza la preghiera si finisce col cadere nel
peccato mortale». E san Vincenzo de’ Paoli: «Un uomo senza preghiera non è
capace di nulla, nemmeno di rinunciare a se stesso in qualsiasi cosa: è la vita
animale pura e semplice». Alcuni autori attribuiscono a santa Teresa queste
parole: «Senza la preghiera, uno diventa ben presto o un bruto o un demonio. Se
voi non pregate, non avete più bisogno che il diavolo vi getti all’inferno: vi
ci gettate da soli! Il più grande peccatore, invece, se prega anche solo per un
quarto d’ora al giorno, si convertirà e, se persevererà, sarà sicuro della
salvezza eterna».
L’esperienza di anime sacerdotali o religiose
votate all’azione basta per stabilire questo: se un operaio apostolico, col
pretesto di occupazioni o di stanchezza, oppure per disgusto, pigrizia o
illusione, riduce facilmente la sua orazione a dieci o quindici minuti, invece
d’attenersi a mezz’ora di seria preghiera per riceverne lo slancio e la forza
necessarie per la giornata, egli cadrà fatalmente nella tiepidezza della
volontà.
Qui evidentemente non si tratta più
d’imperfezioni da evitare, ma di peccati veniali che brulicano.
L’impossibilità, in cui si è caduti, di vigilare alla custodia del cuore,
nasconde alla coscienza la maggior parte di tali mancanze: l’anima si è messa
nello stato di non vedere più. Come potrà allora combattere ciò che non
discerne più come difettoso? La malattia di languore è già molto avanzata ed è
la conseguenza di questa seconda tappa, che è caratterizzata dall’abbandono
dell’orazione e di ogni regolamento.
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