Terza tappa
Tutto è maturo per la terza tappa di cui è
sintomo la negligenza nella recita del Breviario. La preghiera della Chiesa,
che doveva dare al soldato di Cristo gioia e forza per elevarsi ogni tanto a
Dio, ricevendone il mezzo per considerare dall’alto il mondo visibile, diviene
un peso insopportabile. La vita liturgica, sorgente di luce, di gioia, di
forza, di meriti e di grazie per lui e per i fedeli, ora non è altro che
l’occasione di un dovere spiacevole al quale si adatta a malincuore. La virtù
di religione è seriamente intaccata perché la febbre delle opere ha contribuito
a inaridirla. L’anima non considera il culto di Dio se non in quanto è legato a
rumorose manifestazioni esteriori. Il sacrificio personale e oscuro ma cordiale
della lode, della supplica, dell’azione di grazia, della riparazione, non le
dicono più nulla.
Fino a poco tempo fa, recitando le proprie
preghiere vocali, diceva con legittima fierezza, come volendo gareggiare con un
coro di monaci: «In presenza degli Angeli ti canterò inni» (Ps. 132). Il
santuario di quest’anima, in altri tempi imbalsamato di vita liturgica, è
divenuto una pubblica piazza in cui regnano il chiasso e il disordine.
L’esagerata sollecitudine per le opere e l’abituale dissipazione s’incaricano
di moltiplicare le distrazioni, che del resto vengono sempre meno combattute.
«Non è nell’agitazione che abita il Signore» (3 Reg., 19, 11). La vera
preghiera è sparita; precipitazione, interruzioni ingiustificate, negligenze,
sonnolenze, ritardi, rinvio all’ultim’ora col pericolo di essere vinti dal
sonno... e forse anche omissioni di quando in quando, trasformano la medicina
in veleno e il sacrificio di lode in una litania di peccati che forse finiranno
col non essere più semplicemente veniali.
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