III. La vita interiore, base della santità dell’operaio
apostolico
La santità altro non è che la vita interiore
portata fino alla strettissima unione della volontà con quella di Dio.
Ordinariamente e salvo un miracolo della grazia, quindi, l’anima non arriva a
questo termine se non dopo essere passata, con molteplici e penosi sforzi, per
tutti i gradi della via purgativa ed illuminativa. Si noti che è legge della
vita spirituale che, nel corso della santificazione, l’azione di Dio e quella
dell’anima seguano un cammino inverso: le operazioni di Dio vanno di giorno in
giorno acquistando un ruolo sempre più considerevole, l’anima invece va agendo
sempre meno.
Una è l’azione di Dio nei perfetti, un’altra nei
principianti: meno appariscente in questi, essa soprattutto provoca e mantiene
in loro la vigilanza e la supplica, offrendo a loro anche il mezzo d’ottenere
la grazia mediante nuovi sforzi. Nei perfetti, invece, Dio agisce in maniera
più completa e talvolta esige solo un semplice consenso che unisca l’anima alla
sua azione soprannaturale.
Il principiante, come il tiepido e il peccatore,
che il Signore vuole avvicinare a Sé, si sentono da principio portati a cercare
Dio, poi a dimostrargli sempre più il desiderio che hanno di piacere a Lui,
infine a gioire di tutte le provvidenziali occasioni in cui possono
detronizzare l’amor proprio e stabilire al suo posto il regno del solo Gesù. In
tal caso, l’azione di Dio si limita ad incitamenti e a soccorsi.
Nel santo, invece, quest’azione è molto più
potente e più completa. In mezzo alle fatiche e alle sofferenze, saziato di
umiliazioni o schiacciato dalla malattia, il santo non deve fare altro, per
così dire, che abbandonarsi all’azione divina, senza la quale sarebbe incapace
di sopportare le agonie che, secondo i disegni di Dio, devono terminare di
maturarlo. Nel santo si realizzano pienamente quelle parole: «Dio ha sottomesso
a sé ogni cosa affinché Dio sia tutto in tutti» (1 Cor. 15, 28). Egli vive
talmente di Gesù che sembra di non vivere più per se stesso, come testimoniava
l’apostolo Paolo: «Non son più io che vivo, ma è Cristo che vive in me» (Gal.
2, 20). E’ solo lo spirito di Gesù che pensa, decide e agisce. Certo, la
divinizzazione è ancora lontana dal possedere l’intensità che avrà nella
gloria, ma questo stato riflette già i caratteri dell’unione beatifica.
Vale la pena di dire che ben diversa è la
condizione del principiante, del tiepido ed anche del semplice fervoroso? Al
loro stato s’adatta tutta una serie di mezzi che possono d’altronde servire
ugualmente all’uno come all’altro. Ma il principiante, simile ad un
apprendista, troverà maggiore difficoltà, avanzerà più lentamente e, alla fine,
otterrà minori risultati. Il fervoroso invece, come un operaio qualificato,
lavorerà rapidamente e bene e, con minor difficoltà, otterrà maggiori
risultati.
Però, di qualunque categoria di apostoli si
tratti, le intenzioni della Provvidenza a loro riguardo rimangono invariabili:
Iddio vuole che, sempre e per tutti, le opere siano un mezzo di santificazione.
Mentre però l’apostolato non presenta alcun serio pericolo per l’anima giunta
alla santità, non ne esaurisce le forze e anzi le fornisce abbondanti occasioni
di crescere nella virtù e nei meriti, abbiamo invece visto con quanta facilità
esso causi l’anemia spirituale e, di conseguenza, la retrocessione nella via
della perfezione a quelle persone debolmente unite a Dio e nelle quali il gusto
dell’orazione, lo spirito di sacrificio e soprattutto l’abitudine alla custodia
del cuore sono poco sviluppati.
Tale abitudine, Dio non la rifiuta mai a una
preghiera insistente e a prove reiterate di fedeltà. La diffonde senza misura
nell’anima generosa che, ricominciando di continuo, ha trasformato a poco a
poco le sue facoltà rendendole docili alle ispirazioni celesti e capaci di
accettare con gioia contraddizioni e insuccessi, perdite e delusioni.
Esaminando sei caratteristiche principali,
vediamo ora come la vita interiore, penetrando in un’anima, la stabilisce nella
vera virtù.
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