3. La vita
interiore moltiplica le energie e i meriti dell’apostolo
«Tu dunque, figlio mio, rinvigorisciti nella
grazia» (2 Tim. 2, 1). La grazia è una partecipazione alla vita dell’Uomo-Dio.
La creatura possiede una certa misura di forza – e in un certo senso la si può
anche qualificare e definire una forza – ma Gesù è la Forza per essenza:
in Lui risiede la pienezza della forza del Padre, l’onnipotenza dell’azione
divina, e il suo Spirito lo si definisce Spirito di fortezza.
«O Gesù, solo in Voi sta tutta la mia forza»,
esclamava san Gregorio di Nazianzo. «Fuori di Cristo non sono che impotenza»,
diceva a sua volta san Gerolamo.
Il serafico dottore San Bonaventura, nel quarto
libro del suo Compendium Theologiae, enumera i cinque principali
caratteri che ci dona la forza di Gesù.
Il primo è l’intraprendere le cose difficili e
l’affrontare con decisione gli ostacoli: «Agite da forti e il cuor vostro si
rinvigorisca» (Ps. 30).
Il secondo è il disprezzo delle cose della
terra: «Mi sono privato di tutte le cose, ritenendole sterco» (Fil. 3, 8).
Il terzo è la pazienza nelle tribolazioni:
«L’amore è forte almeno quanto la morte» (Ct. 7, 6).
Il quarto è la resistenza alle tentazioni: «Qual
leone ruggente, il diavolo si aggira intorno a voi cercando di divorarvi: ma voi
resistetegli forti nella fede» (1 Pt. 5, 8-9).
Il quinto è il martirio interiore, ossia la
testimonianza, non del sangue ma della vita stessa, che grida al Signore:
«voglio essere tutta vostra»; ciò consiste nel combattere le concupiscenze, nel
domare i vizi e nel lavorare energicamente per l’acquisto delle virtù: «Ho
combattuto la buona battaglia» (2 Tim. 4, 7).
Mentre l’uomo esteriore conta sulle proprie
forze naturali, l’uomo interiore le considera solo come aiuti, certamente utili
ma insufficienti. Il sentimento della sua debolezza e la sua fede nella potenza
di Dio gli danno, come a san Paolo, la giusta misura della sua forza. Di fronte
agli ostacoli che gli si oppongono da ogni parte, esclama con umile fierezza:
«Quando sono debole, è proprio allora che divento potente» (2 Cor., 12, 10).
Senza la vita interiore, disse San Pio X,
mancheranno le forze per sopportare con perseveranza le molestie che trascina
con sé ogni apostolato, la freddezza e la scarsa collaborazione dei buoni, le
calunnie degli avversari, talvolta perfino le gelosie degli amici e dei
compagni d’armi! Solo una virtù paziente, radicata nel bene e al tempo stesso
soave e delicata, è capace di evitare o diminuire queste difficoltà10.
Con la vita di orazione, simile alla linfa che
dalla vite scorre nei tralci, la forza divina discende nell’apostolo per
fortificarne l’intelligenza, radicandolo sempre più nella fede. Egli
progredisce perché questa virtù rischiara il suo cammino con luci sempre più
vive e avanza risolutamente perché sa dove andare e come raggiungere la meta.
Questa illuminazione è accompagnata da una tale
energia soprannaturale di volontà, che anche il carattere più debole ed
instabile diviene capace di atti eroici.
Il «manete in me», l’unione con l’Immutabile,
con Colui che è il Leone di Giuda e il Pane dei forti, spiega quindi il
prodigio della costanza invincibile e della fermezza così perfetta che,
nell’ammirabile apostolo san Francesco di Sales, s’univano a una dolcezza e a
un’umiltà senza pari. Lo spirito e la volontà si fortificano con la vita
interiore, perché ne è fortificato l’amore. Gesù lo purifica, lo dirige e
l’accresce progressivamente, lo fa partecipare ai sentimenti di compassione, di
dedizione, di abnegazione e di disinteresse del suo adorabile Cuore. Se questo
amore cresce fino a divenire passione, allora esalta fino al massimo sviluppo e
utilizza a suo vantaggio tutte le forze naturali e soprannaturali dell’uomo.
E’ quindi facile giudicare l’accrescimento dei
meriti che risulta dal moltiplicarsi delle energie fornite dalla vita di
orazione, se si tiene a mente che il merito non consiste tanto nella difficoltà
richiesta per compiere un atto, quanto nella intensità della carità portata al
suo compimento.
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