4. La vita
interiore dà all’apostolo gioia e consolazione
Solo un amore ardente ed incrollabile è capace
di ravvivare un’esistenza, perché l’amore possiede il segreto di far sbocciare
il cuore in mezzo ai più grandi dolori e alle fatiche più opprimenti.
La vita dell’uomo apostolico è un intreccio di
sofferenze e di fatiche. Per quanto giocondo possa essere il suo carattere, se
l’apostolo non ha la convinzione di essere amato da Gesù Cristo, quali ore
tristi, inquiete e buie per lui... a meno che l’infernale cacciatore non gli
faccia luccicare innanzi lo specchietto delle consolazioni umane e degli
apparenti successi, per meglio attirare quest’ingenua allodola nei suoi
inestricabili lacci. Solamente l’Uomo-Dio può far sgorgare dall’anima quel
grido sovrumano: «sovrabbondo di gioia in mezzo a tutte le nostre tribolazioni»
(2 Cor. 76, 4). In mezzo alle mie interiori sofferenze, dice l’Apostolo,
nonostante l’agonia della parte inferiore dell’anima, il suo vertice, come
quello di Gesù nel Getsemani, gioisce di una felicità che per certo non ha
nulla di sensibile, ma che è talmente vera che non la scambierei con tutte le
gioie umane.
Arrivano la prova, il contrasto, l’umiliazione,
la sofferenza, la perdita dei beni, anche quella delle persone amate; ma
l’anima accetterà queste croci in tutt’altro modo da come faceva al principio
della sua conversione. Di giorno in giorno essa cresce nella carità. Il suo
amore sarà forse senza splendore; il Maestro potrà trattarla da anima forte,
conducendola per le vie di un annientamento sempre più profondo o per l’arduo
sentiero dell’espiazione, a beneficio proprio o altrui; ma che importa!
Favorito del raccoglimento, alimentato dall’Eucaristia, l’amore cresce sempre
più e se ne ha la prova in quella generosità con cui l’anima si sacrifica e si
abbandona, in quella dedizione che la spinge a correre, senza preoccuparsi
delle fatiche, alla ricerca delle anime, verso le quali il suo apostolato si
esercita con una pazienza, una prudenza, un tatto, una compassione ed un
ardore, che si spiegano soltanto con la penetrazione della vita di Gesù in lei:
«Vivit vero in me Christus».
Il sacramento dell’amore dev’essere il
sacramento della gioia. L’anima non può essere interiore senza essere
eucaristica, senza quindi gustare intimamente il dono di Dio, senza godere
della sua presenza, senza assaporare la dolcezza dell’essere amato che possiede
e che adora.
La vita dell’uomo apostolico è una vita di
preghiera. «La vita di preghiera – disse il santo Curato d’Ars – è la grande
felicità di questa vita. Oh bella vita! Bella unione dell’anima col Signore!
L’eternità non sarà abbastanza lunga per comprendere questa felicità. La vita
interiore è un bagno d’amore in cui l’anima s’immerge; essa è come affogata
nell’amore. Dio tiene l’anima interiore, come una mamma tiene nella mano la
testa del suo bimbo per coprirla di baci e di carezze».
Un’altra fonte di gioia consiste nel contribuire
a far servire e far onorare l’oggetto del proprio amore. L’uomo apostolico
conosce tutte queste felicità. Mentre si serve dell’azione per aumentare il suo
amore, egli sente al tempo stesso accrescere la sua gioia e la sua
consolazione. «Venator animarum», cacciatore di anime, egli ha la gioia di
contribuire alla salvezza di esseri che sarebbero finiti dannati, e quindi ha
la gioia di consolare Dio nel dargli dei cuori che sarebbero stati eternamente
separati da Lui; infine, ha la gioia di sapere che in tal modo egli procura a
se stesso una delle più solide assicurazioni di progresso nel bene e di gloria
eterna.
|