Con la vita interiore l’apostolo irradia
fermezza e dolcezza
Molte volte i Santi hanno attaccato con la
massima forza l’errore, lo scandalo e l’ipocrisia. San Bernardo, oracolo del
suo secolo, può essere considerato come uno dei Santi il cui zelo ha si è
irradiato con maggiore fermezza. Leggendo la sua vita, però, il lettore saprà
distinguere fino a qual punto la vita interiore avesse reso impersonale questo
uomo di Dio. Egli non ricorre mai alla fermezza, se non dopo aver constatato
con evidenza l’inefficacia degli altri mezzi. Spesso anzi li alterna: dopo aver
manifestato, per vendicare i princìpi, una santa indignazione e domandato
rimedi, riparazioni, garanzie e promesse, nel suo grande amore per le anime lo
si vede dedicarsi ben presto, con una dolcezza materna, alla conversione di
quelli che in coscienza aveva dovuto combattere. Pur spietato con gli errori di
Abelardo, sapeva farsi amico di colui che aveva vittoriosamente ridotto al
silenzio.
Se vede che i princìpi sono fuori questione e si
tratta solo dei mezzi da usare, egli si batte facendo il possibile per evitare
che gli ecclesiastici ricorrano a metodi violenti. Venuto a sapere che si vuol
mandare in rovina e massacrare gli ebrei in Germania, sùbito lascia il suo
chiostro per correre in loro difesa e predicare una crociata di pace. In un
memorabile documento riportato dal padre Ratisbonne nella sua vita di San
Bernardo11, il gran rabbino di quella nazione manifesta la
sua ammirazione per il monaco di Chiaravalle, «senza del quale – disse –
nessuno di noi sarebbe rimasto vivo in Germania»; egli invita le future
generazioni ebraiche a non dimenticare mai il debito di gratitudine che hanno
verso il santo abate. Diceva san Bernardo in quell’occasione: «Noi siamo i
soldati della pace, l’esercito dei pacifici: ‘Deo et paci militantibus’. La
persuasione, l’esempio e l’abnegazione sono le sole armi degne dei figli del
Vangelo».
Nulla potrà sostituire la vita interiore
nell’ottenere questo spirito impersonale che caratterizza lo zelo di tutti i
Santi.
Nel Chiablese, prima che vi giungesse San
Francesco di Sales, tutti gli sforzi erano falliti. I caporioni del
protestantesimo si preparavano ad una lotta accanita: la setta calvinista aveva
persino deciso di uccidere il santo vescovo di Ginevra. Ma questi si presentò
irradiando dolcezza e umiltà; in lui si vide un uomo in cui l’annientamento
dell’Io faceva risplendere l’amore di Dio e del prossimo. La storia riferisce i
rapidi e quasi inverosimili risultati di quell’apostolato.
Ma anche lui, il dolce San Francesco di Sales,
quando era necessario, sapeva dimostrare una fermezza inesorabile. Per
rafforzare i risultati ottenuti dalla soavità della sua parola e dall’esempio
delle sue virtù, egli non esitava ad invocare la forza delle leggi civili. Così
il santo vescovo consigliò al Duca di Savoia di prendere severe misure contro
la perfidia degli eretici.
I Santi non facevano che imitare il Maestro. Nel
Vangelo vediamo il Salvatore accogliere con misericordia i peccatori, mostrarsi
amico di Zaccheo e dei pubblicani e pieno di bontà per gl’infermi, gli afflitti
ed i piccoli. Tuttavia Egli stesso, la dolcezza e la mansuetudine incarnata,
non esita ad impugnare la sferza per scacciare i mercanti dal Tempio. E quando
parla di Erode o condanna i vizi degli Scribi e degli ipocriti Farisei, che
severità, che vigore nelle sue frasi!
Soltanto in certi casi rarissimi, dopo aver
adoperato inutilmente tutti i mezzi, oppure quando si vede chiaramente che
questi sarebbero inutili, soltanto allora e a malincuore, per impedire lo
scandalo, e perciò per carità, si può ricorrere a procedimenti che sembrano
violenti.
Fatte queste eccezioni, e sempre che non siano
in causa i princìpi, è la mansuetudine che deve dominare nella condotta
dell’operaio evangelico. «Si acchiappano più mosche con poche gocce di miele
che con un barile di aceto», diceva san Francesco di Sales.
Ricordiamo il rimprovero che il Signore fece ai
suoi Apostoli quando, irritati e umiliati nella loro umana dignità e non certo
spinti da zelo puro e disinteressato, volevano ricorrere alla violenza
domandando che discendesse fuoco dal cielo sulla regione di Samaria, che si era
rifiutata di accoglierli. «Voi non sapete di quale spirito siete!», rispose
Gesù (Lc. 9, 55).
Un vescovo francese, la cui fermezza sui
princìpi è citata come modello, visitava di recente, nella sua città
episcopale, famiglie in lutto in cui la grande guerra aveva fatto alcune
vittime. Facendosi tutto a tutti, andò a portare la sua consolazione ad un
calvinista che piangeva il figlio caduto in battaglia con onore, e gli rivolse
parole cordiali e commosse. Colpito da questo atto di umile carità, quel
protestante esclamava poi: «E’ possibile che un Vescovo tanto nobile per la sua
nascita e tanto distinto per la sua istruzione si sia degnato, nonostante la
nostra diversità di religione, a varcare la soglia della mia modesta dimora? Il
suo contegno e le sue parole mi hanno penetrato il cuore». L’industriale presso
il quale lavorava, nel raccontare questo fatto, aggiungeva: «Per me, questo
protestante è per metà convertito; o per lo meno il Vescovo, con la sua
dolcezza, ne ha avvicinato la conversione ben più d’interminabili e vivaci
discussioni».
Quel pastore d’anime aveva manifestato la
mansuetudine del Signore; il protestante aveva come visto davanti a sé il
Salvatore ed era costretto ad ammettere: «Una Chiesa nella quale vi sono
Vescovi che rispecchiano così perfettamente Colui che io ammiro nel Vangelo,
dev’essere la vera Chiesa».
La vita interiore mantiene nello stesso tempo
l’intelletto e la volontà al servizio del Vangelo. Né l’indolenza, né la
violenza ingiustificata faranno traviare l’anima che vede ed opera secondo il
Cuore di Gesù; soltanto da questo adorabile Cuore essa attinge la sua prudenza
ed il suo ardore; qui sta il segreto del suo successo. Al contrario, la
mancanza di vita interiore, e perciò la manifestazione delle umane passioni,
danno la spiegazione di tante sconfitte.
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