Con la vita interiore l’apostolo irradia la
mortificazione
Un altro principio che feconda le opere è lo spirito
di mortificazione. Tutto si riassume nella Croce. Finché non avremo fatto
penetrare nelle anime il mistero della Croce, le avremo soltanto sfiorate. Ma
chi potrà far accettare un mistero che ripugna a quell’orrore della sofferenza
tanto naturale all’umana creatura? Solo colui che potrà dire col grande
Apostolo: «Sono crocifisso insieme a Cristo» (Gal. 2, 19), solo coloro che
portano in loro stessi Gesù mortificato: «Portiamo sempre nel nostro corpo il
martirio di Gesù, affinché anche la Sua vita si manifesti nel nostro corpo» (2
Cor. 4, 10). Mortificarsi è riprodurre il «Cristo non cercò la propria
soddisfazione» (Rom. 15, 3), significa rinunziare a se stessi in ogni
circostanza, significa giungere ad amare ciò che non piace, significa infine
tendere all’ideale di essere una vittima continuamente immolata.
Ma senza la vita interiore non è possibile
giungere a questo radicale rovesciamento dei nostri più tenaci istinti.
Mentre il Poverello di Assisi, attraversando in
silenzio le vie della città, predica col suo solo aspetto il mistero della
Croce, l’apostolo non mortificato ripeterebbe invano gli splendidi accenti di
Bossuet nel suo discorso sul Calvario. Il mondo è talmente impantanato nelle
concupiscenze che, per demolire la sua cittadella, non bastano davvero gli
argomenti comuni e neppure gli spunti grandiosi. Ci vuole la Passione resa come
percepibile per opera della mortificazione e del distacco del ministro di Dio.
«Inimicos Crucis Christi!», ripeterebbe San
Paolo, «nemici della Croce di Cristo» quei numerosi cristiani che concepiscono
la religione come una forma di snobismo, un’abitudine a pratiche esteriori
trasmesse per tradizione, compiute regolarmente e con rispetto, certo, ma senza
collegarle affatto all’emendazione della vita, alla lotta contro le passioni e
all’introduzione dello spirito del Vangelo nei costumi. «Questo popolo fa finta
di onorarmi – potrebbe ripetere il Signore – ma lo fa solo con le labbra,
perché il suo cuore è lontano da me» (Mt. 15, 8, che cita Is. 29, 13).
«Inimicos Crucis Christi!», nemici della Croce,
quei cristiani rammolliti che ritengono indispensabile circondarsi di tutte le
comodità, piegarsi a tutte le esigenze del mondo, abbandonarsi ai suoi
disordinati piaceri, seguire appassionatamente tutte le mode... e poi si
sentono urtati da quella parola ch’essi non comprendono più, ma che pure Gesù
disse a tutti: «Se non farete penitenza, perirete tutti allo stesso modo» (Lc.
13, 3). La croce è divenuta per loro uno scandalo, conformemente
all’espressione di san Paolo (1 Cor. 1, 23). Eppure, senza la vita interiore,
può l’apostolo produrre dei cristiani diversi da questi?
Una numerosa partecipazione popolare a certe
funzioni religiose soddisferà senza dubbio il cuore del vero sacerdote. Ma lo
lascerà senza entusiasmo, se non potrà attribuire tale partecipazione che
all’abitudine, ad una fedeltà rispettabile verso certe usanze di famiglia, a
certe usanze che non scomodano per nulla il corso della vita; oppure se ne
troverà la causa nel piacere di gustare una buona musica, di ammirare un
magnifico apparato liturgico, oppure di assistere ad un esercizio di eloquenza
ammirato solo per il suo aspetto formale.
Almeno, sembrerebbe, non potrà rifiutare questo
entusiasmo davanti alla Comunione frequente.
Mi torna alla mente un ricordo del mio viaggio
negli Stati Uniti. Attraversando certe parrocchie, ero entusiasta
nell’apprendere che numerosi uomini erano fedeli alla Comunione del primo
venerdì del mese. Ma un santo prete di New York mi disse: «L’uomo guarda la
faccia ma Dio scruta il cuore12. Non dimenticate che siete
in un Paese in cui il rispetto umano è sconosciuto e dove dappertutto regna il
gusto del sensazionale. Riservate la vostra ammirazione per quelle parrocchie
in cui l’accorto osservatore può constatare che le Comunioni frequenti
manifestano davvero, se non la completa emendazione della vita, almeno sforzi
sinceri di vita cristiana e un desiderio leale di non venire a compromesso con
l’intemperanza, la sfrenata ricerca del denaro, eccetera».
Lungi da me il pensiero di svalutare le più
minime tracce di vita cristiana, di qualsiasi tipo. Con queste mie parole
intendo piuttosto deplorare quella triste incapacità – in cui potremmo cadere,
per la mancanza di vita interiore – di non produrre altro che risultati molto
miseri, benché non disprezzabili.
Il Signore vuole da noi soltanto il cuore: per
conquistarlo, per possedere la nostra volontà, per animarci a seguirlo nella
via della rinunzia, Egli è venuto a rivelare all’uomo le sublimi verità della
fede.
Di far nascere questa rinunzia, base di ogni
perfezione morale, ne sarà capace solo l’apostolo abituato alla vita
interiore, ch’è tutta fondata sul «rinneghi se stesso» (Mt. 16, 24); ne sarà
invece incapace colui che segue troppo da lontano il Salvatore carico della
croce: «Nessuno può dare ciò che non ha».
Se egli stesso è codardo nell’imitare Gesù
Crocifisso, come potrà predicare al suo popolo quella guerra santa contro le
passioni, alla quale Nostro Signore ci chiama?
Solo l’apostolo disinteressato, umile e casto
può trascinare le anime a lottare contro le ondate sempre crescenti della
cupidigia, dell’ambizione e dell’impudicizia. Soltanto colui che conosce la
scienza del Crocifisso è abbastanza potente da opporre una diga a quella
continua ricerca delle comodità, a quel culto del piacere che minacciano di
sommergere tutto e di rovesciare le famiglie e le nazioni.
Predicare Gesù crocifisso: così san Paolo
riassume il suo apostolato; siccome egli vive di Gesù, e di Gesù crocifisso,
riesce a far gustare alle anime il mistero della Croce e ad insegnar loro a
viverlo. Troppi apostoli moderni non hanno abbastanza vita interiore per
approfondire questo mistero di vita, per esserne penetrati ed irradiarlo
intorno a loro. Troppo esclusivamente essi considerano nella religione gli
aspetti filosofici, sociali o addirittura estetici, capaci solo di interessare
l’intelligenza o di eccitare la sensibilità e l’immaginazione; troppo lusingano
la loro tendenza a vedere nella religione soprattutto una scuola di poesia sublime
e di arte incomparabile. La religione ha certamente tutte queste qualità; ma
vederla soltanto sotto questi aspetti secondari, significa assolutamente
deformare il piano del Vangelo elevando a scopo ciò che è soltanto un mezzo. Il
Cristo del Getsemani, del Pretorio e del Calvario, trasformarlo in un
bellimbusto, è un sacrilegio. Dopo il peccato originale, la penitenza, la
riparazione e la lotta spirituale sono divenute condizioni indispensabili di
vita, e la Croce di Gesù Cristo ce lo ricorda in ogni circostanza. Allo zelo
del Verbo Incarnato per la gloria del Padre Suo, non basta ottenere degli
ammiratori: vuole avere imitatori.
Nella sua enciclica del 1° novembre 191413,
Benedetto XV ha invitato i veri apostoli a tracciare un più profondo solco,
allo scopo di strappare le anime dall’amore delle comodità, dall’egoismo, dalla
leggerezza dei gusti, dall’oblio dei beni soprannaturali. Ciò significa fare
appello alla vita interiore dei ministri del divino Crocifisso.
Quel Dio che tanto ci ha dato esige che il
cristiano, fin dall’età della ragione, unisca alla sanguinosa Passione di Gesù
qualcosa di se stesso, cioè quello che potremmo chiamare il sangue della sua
anima, ossia i sacrifici necessari per osservare le leggi divine. Ma come potrà
il fedele compiere generosamente questi sacrifici dei beni, dei piaceri e degli
onori, se non è attirato dall’esempio di un pastore di anime che sia per primo
abituato allo spirito di sacrificio?
Dinanzi allo spettacolo delle reiterate vittorie
del nemico infernale, ci si domanda ansiosamente: donde verrà la salvezza della
società? Quando toccherà alla Chiesa di trionfare? E’ facile rispondere con le
parole del Maestro divino: «Questo genere di demoni lo si può scacciare solo
con la preghiera e il digiuno» (Mt. 17, 20). Quando dalle schiere del
sacerdozio e della religiosa milizia uscirà una pleiade di uomini penitenti che
facciano risplendere in mezzo ai popoli il mistero della Croce, allora questi
popoli, contemplando nel sacerdote o nel religioso mortificato le riparazioni
per i peccati del mondo, comprenderanno la Redenzione operata dal Sangue di
Gesù Cristo. Solo allora l’esercito di Satana indietreggerà; avendo Dio
finalmente trovato anime riparatrici, solo allora non risuonerà più attraverso
i secoli l’eco terribile del doloroso lamento del Signore oltraggiato: «Ho
cercato fra loro un uomo che vi ponesse rimedio, che si levasse a difesa del
popolo per evitare che lo sterminassi, ma non l’ho trovato!» (Ez. 22, 30).
Oualcuno ha voluto spiegare perché mai un semplice
segno di croce fatto dal padre de Ravignan produceva un effetto così magico
sugli indifferenti e persino sugli stessi empi venuti ad ascoltarlo per mera
curiosità. La conclusione delle domande rivolte a molti uditori, fu che
l’austerità della vita intima del predicatore si manifestava in maniera
avvincente in quel segno di croce che lo univa al mistero del Calvario.
|