5. Poiché la
vita interiore genera altra vita interiore, i suoi risultati sulle anime sono
profondi e duraturi
Bisognerebbe che questo capitolo, che ho
aggiunto alle prime edizioni del libro, fosse scritto in forma di lettera
indirizzata al cuore di ognuno dei miei confratelli.
Già abbiamo considerato che le opere dipendono
soprattutto dalla vita interiore dell’operaio evangelico. Ma la preghiera e la
riflessione mi hanno spinto ad analizzare l’infecondità delle opere sotto un
altro aspetto, e credo di essere nel vero formulando la seguente proposizione:
Un’opera non mette profonde radici, non è
veramente stabile né si perpetua, se l’operaio evangelico non ha generato anime
alla vita interiore. Ora, questo non può farlo se non è egli stesso fortemente
nutrito di vita interiore.
Nel paragrafo 3 della seconda parte, ho citato
le parole del canonico Timon-David sulla necessità di formare in ogni
istituzione un gruppo di ferventissimi cristiani che esercitino, a loro volta,
un vero apostolato sui loro compagni. Tutti comprendono quanto sia prezioso
questo fermento e fino a qual punto questi collaboratori possano moltiplicare
la potenza di azione dell’apostolo. Egli non lavora più da solo, ma i suoi
mezzi d’azione sono centuplicati.
Mi affretto a ripetere che soltanto l’uomo di
azione veramente interiore ha vita sufficiente per produrre altri focolai di
vita feconda. Ad ottenere zelatori capaci di far propaganda e di esercitare
un’influenza per cameratismo, per spirito di corpo o per rivalità, riescono
anche le opere laiche, alle quali basta far perno su fanatismo o rivalità, su
settarismo o una misera gloria, su interesse o ambizione. Ma per suscitare
degli apostoli secondo il Cuore di Gesù Cristo, apostoli che partecipino alla
sua dolcezza e alla sua umiltà, alla sua disinteressata bontà e al suo zelo
esclusivo per la gloria di Dio, non si può sperare in altra leva che l’intensa
vita interiore.
Finché un’istituzione non ha potuto produrre
questo risultato, la sua esistenza è effimera ed è quasi certo che non
sopravviverà al suo fondatore. Per contro, non c’è da dubitare che la ragione
della continuità di certe istituzioni sta ordinariamente nel solo fatto che la
vita interiore ha potuto generare altra vita interiore.
Ne porto un esempio.
Il padre Allemand16, morto in
odore di santità, al tempo della Rivoluzione Francese aveva fondato a Marsiglia
l’Opera Giovanile per gli studenti e gli operai. Questa istituzione conserva
ancora il nome del Fondatore e continua, dopo oltre un secolo, a godere di
un’ammirabile prosperità. Ben poco dotato dal punto di vista naturale, quasi
cieco, timido e senza talento oratorio, questo sacerdote, umanamente parlando,
era incapace della prodigiosa attività richiesta dalla sua impresa.
I lineamenti sgraziati del suo volto avrebbero
portato i giovani a burlarsi di lui, se la bellezza della sua anima non si
fosse manifestata nello sguardo e in tutto il suo contegno. In virtù di questa
bellezza, l’uomo di Dio aveva su quella irrequieta gioventù un tale ascendente
da dominarla e imporle rispetto, stima ed affetto. Allemand volle tutto
costruire solamente sulla vita interiore e fu capace di formare, in seno alla
sua opera, un gruppo di giovani ai quali non esitava a domandare, in tutta la
misura permessa dalla loro condizione, una vita interiore integrale,
un’assoluta custodia del cuore, la meditazione mattutina, eccetera; insomma la
completa vita cristiana quale la comprendevano e la praticavano i cristiani dei
primi secoli.
Questi giovani apostoli, succedendosi,
continuarono davvero ad essere in Marsiglia l’anima di quell’istituzione che
diede alla Chiesa tanti Vescovi e dà tuttora tanti sacerdoti, missionari,
religiosi e migliaia di padri di famiglia, che sono in quella città marittima
il maggior cardine delle opere parrocchiali e formano una schiera che non solo
è l’onore del commercio, dell’industria e delle professioni, ma costituisce un
vero focolaio di apostolato.
Padri di famiglia, ho detto; queste parole mi
richiamano il solito ritornello che si ode un po’ovunque: «L’apostolato è
relativamente facile sui giovani, sulle ragazze e sulle madri di famiglia, ma
quando lo si vuole esercitare sugli uomini, diventa spesso impossibile. Eppure,
finché non avremo ottenuto che i capi di famiglia diventino non solo cristiani
ma apostoli anche loro, l’influenza pur tanto apprezzabile della madre
cristiana sarà paralizzata o effimera e non giungeremo mai ad assicurare il
regno sociale di Gesù Cristo. Orbene, in questa parrocchia, in questo sobborgo,
in questo ospedale, in questa officina, non c’è nulla da fare per portare gli
uomini a divenire profondamente cristiani».
Ma confessando così la nostra incapacità, non
forniamo forse il più delle volte una patente d’insufficienza a quella vita
interiore che da sola potrebbe ispirarci i mezzi per impedire che un così gran
numero di uomini sfugga all’azione della Chiesa? Alle fatiche di una intensa
preparazione, alle prediche capaci di far nascere la convinzione, l’amore e
profonde risoluzioni nelle menti e nei cuori degli uomini, non preferiamo forse
i facili successi oratori davanti alla gioventù o alle donne? Solo la vita
interiore ci potrebbe sostenere nelle fatiche delle semine ignote, ardue e a
lungo infruttuose, in apparenza. Solo essa ci farebbe comprendere quanta
potenza darebbe alla nostra azione la fatica della preghiera e della penitenza,
e quanto i nostri progressi nell’imitazione di tutte le virtù di Gesù Cristo
moltiplicherebbero l’efficacia del nostro apostolato fra gli uomini.
Rimasi così sorpreso dai particolari che si
raccontavano intorno ad un circolo militare di una grande città della
Normandia, che stentavo a credere a tali successi. Come mai, per esempio, i
soldati andavano al circolo molto più numerosi quando vi si teneva una lunga
serata d’adorazione in riparazione delle bestemmie e delle dissolutezze
commesse in caserma, che non quando si dava un concerto musicale o una
rappresentazione teatrale? Ma dovetti arrendermi all’evidenza e cessò anche la
sorpresa, quando mi venne descritto fino a qual punto il cappellano militare
comprendeva il Tabernacolo e quali apostoli aveva saputo formare attorno a sé.
Dopo un tal esempio, che pensare di certi
apostoli per i quali cinema, teatro e ginnastica sembrano quasi formare il
programma di un quinto vangelo annunciato per la conversione dei popoli?
In mancanza d’altro, l’uso di questi mezzi per
attirare i giovani o per tenerli lontani dal male otterrà certamente qualche
risultato, ma troppo spesso così limitato ed effimero! Dio mi guardi dal
raffreddare lo zelo di quei cari confratelli che non possono né concepire né
usare altro metodo e – come ho verificato da giovane – temono sùbito che i loro
istituti diventino deserti, non appena gli si propone di consacrare meno tempo
a preparare quei moderni divertimenti che considerano come condizione sine
qua non del successo. Mi limito dunque a metterli in guardia contro il
pericolo di dar troppa importanza a questi mezzi ed auguro a loro la grazia di
comprendere la tesi del canonico Timon-David, di cui già ho riportato una
conversazione.
Un giorno (avevo appena due anni di sacerdozio)
quel venerando sacerdote era costretto a dirmi fraternamente, ma non senza una
certa pietà, alla fine di una conversazione:
«Non potestis portare modo; solo più
tardi, quando lei sarà progredito nella vita interiore, mi comprenderà meglio.
Tutto considerato, oggi lei non può trascurare tali mezzi; li adoperi dunque
senza esitare, in mancanza d’altro. Per conto mio, conservo senza problemi i
miei giovani operai e impiegati e ne attiro altri, benché da noi non ci sia
quasi altro che quei giochi antichi e sempre nuovi che, oltre non costare
nulla, distendono l’animo con la loro stessa semplicità».
Aggiunse poi argutamente: «Le avevo mostrato
relegati nel solaio gli strumenti di musica che anch’io in principio
consideravo indispensabili; guardate che proprio ora viene verso di noi la
nostra fanfara, giudicatela voi». Infatti, dopo alcuni minuti, sfilava davanti
a noi un folto gruppo di quaranta o cinquanta giovani dai dodici a diciassette
anni. Che baccano! Chi non sarebbe scoppiato dalle risa alla vista di quella
buffa schiera che lo sguardo allegro del vecchio canonico contemplava con
soddisfazione? Egli mi disse:
«Osservi quello che marcia a ritroso in testa al
gruppo ed agita quella grossa bacchetta come un direttore d’orchestra e poi la
porta comicamente alle labbra quasi fosse un clarinetto. E’ un sott’ufficiale
in licenza, uno dei nostri migliori apostoli. Per quanto può, fa la Comunione
quotidiana, ma soprattutto non tralascia mai la mezz’ora di orazione mentale.
Straordinario trascinatore, quest’angelo di pietà s’ingegna di utilizzare tutti
i suoi talenti perché i giochi dei ragazzi non vengano a languire. Magnifico
nello scovare risorse per riuscirci, egli tiene vivo l’entusiasmo di questi
fanciulli; ma nulla sfugge al suo occhio di aiutante e al suo cuore di
apostolo».
Non potevo trattenere le risa dinanzi a quel
gruppo di musicisti che eseguivano i canti più in voga a quei tempi: Un
canard déployant ses ailes; As-tu vu la casquette, eccetera. Quando
il direttore d’orchestra dava l’attacco, si cambiava ritornello. Ogni esecutore
simulava uno strumento: alcuni con le mani alla bocca a forma di conchiglia,
altri con un foglio di carta che vibrava tra le labbra, pochi altri con uno zufolo,
eccetera; in prima fila c’era un trombone e una grancassa: il primo era imitato
da due bastoni ad uno dei quali la mano imprimeva un regolare movimento
avanti-indietro; la seconda era costituita da un vecchio bidone da petrolio. I
volti raggianti di tutti quei ragazzi mostravano che erano letteralmente presi
dal gioco. «Seguiamo la fanfara», mi disse il canonico. In fondo al viale
s’alzava una statua della Vergine. «In ginocchio, amici! – ordinò il direttore
di banda.- Un’Ave maris Stella alla nostra buona Madre e poi un po’ di
Rosario». Quel piccolo mondo rimase qualche minuto in silenzio, poi cominciò a
rispondere alle Avemaria con raccoglimento, come fosse stato in chiesa. Quei
piccoli meridionali, quasi tutti con gli occhi bassi, che fino a qualche minuto
prima erano veri folletti, s’erano mutati improvvisamente in angioletti degni
dei quadri del Beato Angelico. «Non dimenticate – soggiunse la mia guida – che
questo è il termometro dell’istituzione. Trattenere con giochi semplici ed
entusiasmanti i nostri giovani anche oltre i vent’anni; ottenere che desiderino
riprendere qui, nelle ore di preghiera e di orazione, uno spirito innocente
divertendosi con un nonnulla; giungere soprattutto a far pregare, ma pregare
davvero, anche in mezzo ai giochi. Ecco a quanto mirano i nostri apostoli». La
banda si alzò per nuovi saggi artistici, dei quali risuonò l’ampio cortile.
Poco dopo era il gioco delle aste a furoreggiare. Notai intanto che il
sottufficiale, alzandosi dopo l’Ave maris stella, aveva sussurrato alcune
parole all’orecchio di due o tre, i quali sùbito, allegramente e come obbedendo
ad un’usanza praticata da tutti, andarono a posare giubbotto e scarpe da gioco
e si diressero verso la cappella per passarvi un quarto d’ora davanti al divin
Prigioniero.
Aggiunse allora il canonico con profonda
soddisfazione: «La nostra ambizione deve mirare a formare zelatori che abbiano
un amore di Dio così intenso che, anche quando avranno lasciato l’istituto e
fondato una famiglia, rimangano apostoli premurosi di comunicare gli ardori
della loro carità al maggior numero possibile di anime. Se il nostro apostolato
mirasse solo a formare dei bravi cristiani, ah quanto sarebbe angusto il nostro
ideale! Dobbiamo creare legioni di apostoli, affinché quella cellula matrice della
società che è la famiglia diventi a sua volta un centro di apostolato. Ora,
solo una vita di sacrificio e d’intimità con Gesù ci darà la forza e il segreto
di realizzare questo programma integrale. Soltanto a questa condizione la
nostra azione sarà potente in mezzo alla società e si compirà la parola del
Maestro: Sono venuto per portare il fuoco sulla terra e che posso desiderare se
non che divampi?» (Lc. 12, 49).
Solamente molto più tardi, purtroppo, riuscii a
comprendere la portata delle viventi lezioni del canonico, così profondo nella
sua psicologia e nella sua tattica, e a fare un confronto sotto lo sguardo di
Dio – per il quale i successi apparenti non sono nulla – tra i risultati dei
diversi mezzi adoperati. Secondo che sono semplici come il Vangelo o complessi
come tutto ciò che è troppo umano, questi mezzi possono servire a valutare
un’opera e coloro che l’animano.
Contro Golia, con cui avevano già vanamente
combattuto bene armati i potenti d’Israele, si avanzò il giovane David. Una
fionda, un bastone e cinque pietre del torrente: il fanciullo non richiedeva di
più. Ma quel suo grido: «Nel nome del Dio degli eserciti!» (1 Re, 27, 45), era
lanciato da un’anima già capace di arrivare alla santità.
Oggi si parla molto dei dopo-scuola organizzati
dai laicisti. Ma per quanto essi abbiano a loro disposizione enormi somme
ufficialmente destinate dallo Stato, magnifici locali, eccetera, i
dopo-scuola promossi dalla Chiesa, nonostante la loro povertà, non ne dovranno
temere la concorrenza e attireranno il meglio della gioventù, se sono basati
sulla vita interiore e dotati dell’attrattiva di ciò che innanzitutto affascina
il giovane: cioè il loro ideale.
Chiudo con un ultimo esempio, che servirà ad analizzare
l’uomo di azione che sembra trascinare le anime al Signore fino al punto di
farne degli apostoli, ma che in realtà suscita soltanto entusiasmi nati
dall’umana simpatia per la sua persona e dal magnetico influsso che esercita
intorno a sé. Felici di trattare con un pio ammaliatore, inorgogliti dal vedere
che si occupa di loro, i giovani seguaci si raduneranno attorno a lui come in
una corte e, soprattutto per fargli piacere, faranno a gara per accettare le
pratiche anche più penose che sembrano riflettere una vera devozione.
Una congregazione di ottime suore catechiste era
diretta da un religioso di cui fu poi scritta la vita. Quest’uomo di vita
interiore disse un giorno ad una superiora locale: «Madre, credo opportuno che
suor X tralasci almeno per un anno di fare il Catechismo» – «Ma, padre,
non pensatelo neppure: è la migliore insegnante e i fanciulli accorrono da
tutti i quartieri della città, attirati dai suoi modi meravigliosi! Toglierla
dal Catechismo significherebbe provocare la diserzione della maggior parte di
quei fanciulli!» – «Ho assistito, inosservato, al suo Catechismo – rispose il
Padre.- E’ vero che incanta i fanciulli, ma in modo troppo umano. Faccia prima
un altro anno di noviziato e poi, meglio formata nella vita interiore, con il
suo zelo e l’impiego dei suoi talenti, ella santificherà l’anima sua e quelle
dei fanciulli. Attualmente però, senza accorgersene, ella è un ostacolo
all’azione diretta del Signore su queste anime che si stanno preparando alla
prima Comunione... Vedo, Madre, che la mia insistenza vi rattrista. Ebbene,
accetto un compromesso. Conosco suor Y, anima interiore benché priva di grandi
talenti. Domandate alla vostra superiora generale d’inviarvela per qualche
tempo. La prima andrà ancora a fare il Catechismo per un quarto d’ora, giusto
per calmare i vostri timori di diserzione; poi, a poco a poco, si ritirerà
completamente. Vedrete allora che i fanciulli pregheranno meglio e canteranno
con più devozione. Il loro raccoglimento e la loro docilità avranno un carattere
più soprannatturale: questo sarà il termometro».
Quindici giorni dopo, come poté constatarlo
anche la superiora, suor Y teneva lezione da sola e tuttavia il numero dei
ragazzi aumentava. Era veramente Gesù che insegnava il catechismo per mezzo
suo; con il suo sguardo, con la sua modestia, con la sua dolcezza, con la sua
bontà, con il suo modo di fare il segno di croce, con il suo tono di voce, essa
esprimeva Gesù Cristo. Suor X sapeva spiegare con più talento e rendere
interessanti gli aspetti più aridi; ma suor Y faceva di più. Senza dubbio ella
non trascurava nulla per preparare le sue spiegazioni ed esporle con chiarezza,
ma il suo segreto era ciò che dominava nel suo cuore: l’unzione. Ed è per mezzo
di questa unzione che le anime si trovano veramente a contatto con Gesù.
Nelle lezioni di Catechismo di Suor Y c’erano
molto meno di quelle chiassose esclamazioni, di quegli sguardi attoniti, di
quelle fascinazioni che avrebbero potuto essere ugualmente prodotte
dall’interessante conferenza di un esploratore o dall’emozionante racconto di
una battaglia. C’era invece un’atmosfera di raccolta attenzione: quei fanciulli
stavano nella sala come se fossero in chiesa. Nessun mezzo umano veniva
impiegato per impedire la distrazione o la noia. Quale misterioso influsso
dominava dunque quell’uditorio? Non inganniamoci: era quello di Gesù che agiva
direttamente. Un’anima interiore che spiega le lezioni di Catechismo, è infatti
come una cetra che risuona solo sotto le dita del divino Artista; e nessun’arte
umana, per quanto meravigliosa sia, può paragonarsi all’azione di Gesù.
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