6. Importanza
della formazione delle élites e della direzione spirituale
Ritorno ancora sull’avvincente conversazione,
riportata più sopra, che ebbi con il reverendo canonico Timon-David. Una parola
uscita dal labbro di questo così esperto direttore di opere giovanili avrà
certamente colpito il lettore.
Usando la pittoresca e metaforica parola di
«stampelle», il venerando canonico riassumeva il suo pensiero sull’uso di certi
divertimenti moderni per la gioventù (teatro, fanfara, cinema, giochi costosi e
complicati, eccetera). Tali divertimenti, peraltro spesso occasione di
strapazzo e di logoramento, più che a riposare e a dilatare l’animo o a
conservare la salute fisica, tendono a lusingare la vanità e a sovreccitare
l’immaginazione e la sensibilità. D’altra parte, la parola «stampelle» non si
applica affatto a quei giochi assai ricreativi, benché molto semplici, che
distraggono l’animo, fortificano il corpo e hanno accontentato tante cristiane
generazioni.
Se paragoniamo, ma senza intenderlo bene, il
parere di quel saggio canonico con quello di altri eccellenti organizzatori di
apostolato, si può pensare che egli generalizzi troppo il caso in cui le
«stampelle» possono essere buttate via.
Tralasciando le opere create soprattutto per
alleviare le miserie corporali, le altre istituzioni per i giovani possono
essere divise in due classi: quelle che accettano solo i migliori e quelle che
escludono solo le pecore rognose.
Ma noi riteniamo che anche in quest’ultimo caso
si debba formare un nucleo di soggetti scelti capaci, con il loro fervore, di
evidenziare agli occhi degli altri il fine principale dell’istituzione: guidare
tutti i suoi membri ad una vita non superficialmente ma profondamente
cristiana. Altrimenti sarà una «opera profana diretta da un ecclesiastico»,
secondo la maliziosa espressione di un ottimo professore di liceo, il quale
sospettava che la facciata clericale nascondesse quelle stesse miserie che
condanniamo nelle istituzioni sottratte all’influenza della Chiesa.
I direttori che allontanano facilmente dalle
loro associazioni i soggetti riconosciuti incapaci di essere incorporati
nell’élite, trovano che sia perfetto il termine «stampelle» per esprimere fino
a che punto considerano secondari certi mezzi di cui sanno fare a meno o usano
quasi a malincuore. E certamente essi sono ben lungi dal mancare di argomenti
in difesa della loro tesi.
Per loro, la restaurazione della società, e
della Patria in particolare, potrà venire solo mediante una più intensa
irradiazione della santità della Chiesa. E’ appunto con questo mezzo, più che
con le conferenze di apologetica, che il cristianesimo si sviluppò tanto
rapidamente nei primi secoli della sua storia, nonostante la potenza dei suoi
nemici, le prevenzioni di ogni sorta e la generale corruzione.
Essi troncano ogni discussione con risposte di
questo genere: «Potete citare un fatto, anche uno solo, che dimostri che la
Chiesa, in tutto quel periodo, abbia avuto bisogno di inventare nuovi
divertimenti per strappare dalla turpitudine degli spettacoli pagani le anime
che doveva conquistare?»
Uno di questi direttori, alludendo alla sete di
danaro e alla frenesia per il cinema che oggi appassiona le folle avide di
divertimento, mi diceva: «Quel detto dei Romani – panem et circenses – oggi
potremmo tradurlo così: merenda e cinematografo». Considerate invece un
sant’Ambrogio e un sant’Agostino, per esempio, entrambi prodigiosi trascinatori
di anime. Si potrà forse scoprire nella loro vita un solo tratto che ce li
mostri nell’organizzare istituzioni tese a procurare alle loro pecorelle
divertimenti capaci di far dimenticare i piaceri offerti dal paganesimo? E dove
si potrà leggere che san Filippo Neri, per convertire Roma tanto intorpidita
dallo spirito del Rinascimento, abbia avuto bisogno delle «stampelle» che
suscitavano il buonumore del canonico Timon-David?
E’ certo invece che la Chiesa primitiva, come
abbiamo già accennato, seppe organizzare un’incomparabile e numerosa élite le
cui virtù stupivano i pagani e strappavano l’ammirazione alle anime leali,
anche a quelle più prevenute per i loro princìpi, tradizioni e costumi contro
la religione cristiana. E le conversioni fiorivano, anche negli ambienti
inaccessibili al clero.
Davanti a queste lezioni del passato, dobbiamo
domandarci se noi, nel nostro secolo, non abbiamo un’eccessiva fiducia non solo
in certi divertimenti frastornanti, ma anche in molti altri mezzi
(pellegrinaggi, feste, congressi, discorsi, pubblicazioni, sindacati, azione
politica, eccetera), impiegati oggi su larga scala e indubbiamente utilissimi,
ma che sarebbe deplorevole mettere al primo posto. La predicazione per mezzo
dell’esempio sarà sempre la leva principale: solo gli esempi trascinano.
Le conferenze, i buoni libri, le riviste cattoliche e perfino le eccellenti
prediche devono gravitare attorno a questo programma fondamentale: organizzare
l’apostolato sul popolo mediante l’esempio di cristiani ferventi che fanno
rivivere Gesù Cristo ed emanano il profumo delle sue virtù.
I sacerdoti che si lasciano assorbire da tutte
le altre funzioni del loro ministero, dedicandosi insufficientemente a quella
principale – cioè alla formazione delle élites mediante la gran propaganda
svolta dal buon esempio – non possono poi meravigliarsi se dai noi i tre quarti
degli uomini (e, in moltre altre nazioni, una parte anche maggiore) rimangono
rigidi nella loro indifferenza e credono che la Chiesa sia solo una
rispettabile istituzione, socialmente utile, certo, ma non l’insostituibile
risorsa di ogni esistenza individuale, la chiave di volta delle famiglie e
delle nazioni, e soprattutto il grande Faro della Verità e della Vita eterna!
«Qual è dunque questa religione capace d’
illuminare, di fortificare e d’infiammare così il cuore umano?», esclamavano i
pagani davanti ai meravigliosi effetti prodotti dalla silenziosa lega
dell’azione con il buon esempio.
Ma la forza di quella lega che esisteva tra i
primi cristiani non proveniva soltanto dal praticare il motto «evita il male»
(Ps. 36). La fuga dalle azioni condannate dal Decalogo non sarebbe bastata per
suscitare, insieme all’ammirazione, un potente desiderio d’imitare. Il
trascinamento operato dagli esempi si ricollega soprattutto al motto «fa’ il
bene» (Ps. 36). Ci voleva tutto lo splendore delle virtù evangeliche, quali
furono proposte al mondo nel discorso della montagna.
Un uomo di stato, illustre ma miscredente, mi
diceva un giorno: «Se la Chiesa sapesse scolpire più profondamente nei cuori il
testamento del suo Fondatore – Amatevi a vicenda – essa diventerebbe la grande
potenza indispensabile alle nazioni». Non si potrebbe fare la stessa
riflessione a proposito di altre virtù?
Con la sua profonda comprensione dei bisogni
della Chiesa, San Pio X aveva spesso vedute di una rara esattezza. L’ Ami du
Clergé17 riportava un interessante colloquio del Santo
Pontefice con un gruppo di Cardinali. Chiese il Papa: «Qual’è la cosa oggi più
necessaria per la salvezza della società?» «Fondare scuole cattoliche», rispose
uno. «No». «Moltiplicare le chiese», rispose un altro. «Neppure». «Promuovere
le vocazioni ecclesiastiche», disse un terzo. «No, no – replicò San Pio X – Ciò
che attualmente è più necessario, è avere in ogni parrocchia un gruppo di laici
che siano ad un tempo molto virtuosi, illuminati, risoluti e veramente
apostoli»18.
Altri particolari mi permettono di affermare che
questo santo Papa, alla fine della sua vita, attendeva la salute del mondo solo
dalla formazione, per mezzo del clero zelante, di fedeli che traboccassero di
apostolato, con la parola e con l’azione, ma soprattutto con l’esempio. Nelle
diocesi in cui esercitò il suo ministero prima di diventare Papa, egli dava
meno importanza al registro de statu animarum che non all’elenco delle
persone che sapevano fare dell’apostolato. Egli era dell’avviso che si potevano
formare élites in ogni ambiente. Perciò classificava i suoi sacerdoti secondo
il risultati che il loro zelo e la loro capacità avevano ottenuto su questo
punto.
Il giudizio di questo santo Pontefice dà
un’autorità particolare al sentimento di coloro che dirigono le istituzioni
della prima categoria da me classificata. Se nella formazione delle élites sta
la sola e vera strategia per agire sulle masse, è dunque uno sbaglio conservare
soggetti di cui non si ha più seria speranza di rendere ferventi, quando in tal
modo ci si espone al pericolo di abbassare il livello delle élites, fino al
punto che restano tali soltanto di nome.
Gli altri direttori, quelli che si limitano a
scartare i soggetti contagiosi, non restano però privi di argomenti per
protestare contro l’espressione «stampelle» usata per certi mezzi da loro
ritenuti non poco efficaci.
Essi evidenziano a quali pericoli si
esporrebbero le anime che venissero escluse dalle loro istituzioni; la
necessità di accontentarsi di un infimo numero di reclute qualora si badasse
soltanto alle élites; l’atmosfera avvelenata dall’ambiente in cui vivono coloro
che debbono essere evangelizzati, eccetera. Sarebbe ingiusto e crudele, dicono,
trascurare le masse e volerle raggiungere solo con l’esempio dei migliori,
senza tentare di agire direttamente sui mediocri, non fosse altro che per
impedir loro di cadere più in basso, e preparare così dei candidati alle
élites.
Ho ascoltato con gran rispetto queste diverse
opinioni, espresse da direttori o direttrici di opere per la gioventù, persone
di sicura buona fede e di indiscutibile zelo. Non cercherò di conciliare queste
opinioni. Dato però che scrivo soprattutto per i miei venerabili confratelli nel
sacerdozio, preferisco domandarmi quale sarebbe la risposta del santo sacerdote
Allemand o quella del canonico Timon-David, se fossero invitati ad armonizzare
le due tesi scegliendo un giusto mezzo. Entrambi avevano questo progetto:
1) Tra le centinaia di giovani cristiani
appartenenti all’istituzione, selezionare una minoranza, anche infima, capace
di desiderare vivamente e praticare seriamente la vita interiore.
2) Riscaldare poi fino all’incandescenza quelle
anime, facendole amare appassionatamente il Signore, ispirandole l’ideale delle
virtù evangeliche, isolandole il più possibile dal contatto degli altri
studenti, impiegati, operai eccetera, finché la loro vita interiore non fosse
giunta al punto da renderli veramente immuni dal contagio.
3) Infine, giunto il momento, comunicare a
questi giovani lo zelo per le anime, onde utilizzarli per meglio agire sui loro
compagni.
Mi porterebbe troppo lontano lo stabilire con
precisione quel minimo che i due sacerdoti esigevano dai non ferventi per mantenerli
per qualche tempo nell’istituzione. Preferisco attirare l’attenzione sul
considerevole ruolo che’essi attribuivano alla direzione spirituale nella
realizzazione del loro progetto.
Dirigendo personalmente ciascun giovane, il
padre Allemand eccelleva nel suscitare in lui un santo entusiasmo per la
perfezione e nel convincerlo che la miglior prova della devozione al Sacro
Cuore è l’imitazione delle virtù del divino Modello.
Quanto al canonico Timon-David, ottimo
confessore, abile nello scoprire e curare le piaghe delle anime, era inoltre un
eccellente direttore spirituale. Nessuno più di lui sapeva infiammare i cuori
di amore per la virtù ed esortare i suoi collaboratori a non accontentarsi,
nella direzione delle anime, dei princìpi della teologia morale propri della
via purgativa, ma a servirsi della direzione per orientare verso la via
illuminativa. Nulla eguagliava la sua sollecitudine nel trasformare i suoi
sacerdoti collaboratori in direttori di anime.
Entrambi consideravano come insufficienti le
brevi esortazioni prima dell’assoluzione nella confessione settimanale, le
prediche nella riunione generale dei giovani, l’ordinamento della vita
liturgica e persino le così attraenti conferenze tenute ai migliori. Ritenevano
cosa indispensabile la direzione mensile data a ciascuno in particolare.
Erano convinti che, dopo la preghiera e
l’immolazione, il mezzo più efficace per ottenere dalla grazia da Dio quelle
élites che possono rigenerare il mondo, fosse l’azione del vero sacerdote con
tutto il suo ministero, ma specialmente con la direzione spirituale.
Usciamo ora dal ristretto campo delle opere per
la gioventù ed abbracciamo con lo sguardo tutto il vasto campo che la Chiesa
deve coltivare: istituzioni di ogni sorta, parrocchie, seminari, comunità e missioni.
Nessuno è capace di guidare se stesso. Tutti
hanno debolezze da vincere, tendenze da regolare, doveri da compiere, rischi da
correre, occasioni pericolose da evitare, difficoltà da superare e dubbi da
chiarire. Se per tutto questo è necessario un aiuto, tanto più lo sarà per
camminare verso la perfezione.
Il sacerdote mancherebbe, e talvolta gravemente,
al suo dovere di maestro e medico delle anime, se le privasse del grande aiuto
supplementare del confessionale e di quell’indispensabile propulsore di vita
interiore che è la direzione spirituale.
Disgraziate quelle istituzioni nelle quali i
confessori, sempre a corto di tempo, prima dell’assoluzione non riescono a dare
altro che una pia ma vaga esortazione, spesso uguale per tutti, invece di offrire
la cura specifica che un medico esperto e zelante avrebbe saputo scegliere
secondo lo stato di ciascun malato. Nonostante la sua fede nell’efficacia del
Sacramento, il penitente è allora esposto al rischio di ridurre il ministro a
un «distributore automatico», simile a quegli apparecchi delle stazioni
ferroviarie che lasciano cadere meccanicamente dolciumi.
Fortunati invece gli oratori, le scuole, gli
orfanotrofi, eccetera, in cui il confessore conosce l’arte della direzione
spirituale ed è convinto che bisogna prima di tutto mettere in pratica
quest’arte, se vuole ottenere che tutte le anime capaci di vibrare per un
ideale si lancino risolutamente negli esercizi della vita interiore.
Quanti padri e madri di famiglia hanno visto
straordinariamente accresciuta la loro influenza su figli ed amici, perché
avevano trovato un vero direttore!
Quali tesori da valorizzare nell’anima di un
fanciullo! Questa è l’età in cui l’albero va prendendo la sua piega, e spesso
definitivamente, o da una parte o dall’altra.
Essendo mancata nei teneri anni una direzione
adatta alla loro età e alle loro disposizioni, molti saranno gli adulti che non
potranno più essere annoverati tra i bei fiori del giardino di Gesù. Quante
vocazioni sacerdotali e religiose avrebbero potuto sbocciare!
Talvolta, in una parrocchia o in una missione,
anche per parecchie generazioni, continuerà l’impulso dato da un sacerdote che
era ben altro che un mediocre distributore di assoluzioni. Insieme ad Ars e a
Mesnil-Saint-Loup, si potrebbero citare altre località che sono veri focolai di
vita spirituale in mezzo alla generale tiepidezza, perché ebbero la fortuna di
avere un direttore zelante, prudente e pieno di esperienza.
Provai una profonda e commossa ammirazione
quando, nel mio viaggio in Giappone, circa 15 anni fa, ebbi la fortuna
d’incontrare alcuni membri di numerose famiglie cristiane ritrovate, circa
mezzo secolo fa, nella regione di Nagasaki. Cosa inaudita! Circondati da
pagani, costretti a nascondere la loro religione, privi di sacerdoti da più di
tre secoli, questa élite di fedeli aveva ricevuto dai loro padri non solo la
fede ma anche il fervore. Dove trovare uno slancio iniziale tanto potente da
poter spiegare la forza e la durata d’una fedeltà così straordinaria? La
risposta è facile. I loro antenati avevano avuto in San Francesco Saverio un
meraviglioso formatore di élites.
Come potranno certi seminari minori diventare
vivai di futuri sacerdoti, se mancano di direttori spirituali? La maggior parte
dei loro scolari, se non avranno chi li guidi per tempo alla perfezione, come
potranno elevarsi sopra la mediocrità nell’esercizio del loro sacerdozio?
Queste anime che van cercando la loro via, saranno già fortunate se la loro
aspirazione alla vita sacerdotale non verrà falsata dal fascino abbagliante
delle doti naturali di certi professori che manifestano l’indifferenza per la
vita interiore e il disprezzo di una regolare direzione spirituale.
La prova che in molte comunità religiose, di
vita attiva come di vita contemplativa, molte persone vegetano proprio per la
mancanza di direzione spirituale, sta nel mutamento radicale che spesso ho
potuto constatare in anime tiepide che, dal momento in cui hanno finalmente
avuto un direttore coscienzioso, sono ritornate al fervore della loro professione.
Certi confessori sembrano dimenticare che le
anime consacrate che dirigono sono obbligate a tendere alla perfezione, ed
hanno un reale bisogno di essere aiutate e stimolate per realizzare quei
continui progressi ai quali possono applicarsi le parole del Salmo – «Ha deciso
in cuor suo di elevarsi, passando di virtù in virtù» (Ps. 83) – e per diventare
allora veri apostoli della vita interiore.
Quanti sacerdoti sarebbero ben più fervorosi e
troverebbero tutta la loro felicità nella vita eucaristica e liturgica e nel
progresso delle anime, se il confessore che hanno scelto si dimostrasse
veramente amico guidandoli alla direzione mensile, con tatto e con decisione,
orientandoli verso quella perfezione alla quale egli stesso dovrebbe tendere
ancor più che i religiosi!
Non abbiamo forse evidenziato quale importante
ruolo viene attribuito dagli agiografi al direttore spirituale della maggior
parte di coloro di cui narrano la vita?
La Chiesa non conterebbe forse un maggior numero
di Santi, se le anime generose, soprattutto le anime sacerdotali e religiose,
fossero più seriamente dirette?
Senza la direzione intima svolta dal sacerdote
sui genitori di santa Teresa del Bambin Gesù e, più tardi, senza l’azione
diretta dei rappresentanti di Dio su questa eletta del Signore, riceverebbe la
terra quella pioggia di rose di cui è inondata dal Cielo?
Nei suoi scritti, il padre Desurmont ritorna
sovente su questo pensiero: per certe anime, la salvezza è legata alla santità;
o tutto o nulla; o l’amore ardente per Gesù o il culto del mondo e la direzione
di Satana; o la santità o la dannazione.
Non sarà dunque arbitrario temere che ricevano
dolorose sorprese, al momento del loro giudizio particolare, quei sacerdoti
che, per non aver studiato l’arte della direzione spirituale e per non aver
accettato la fatica che richiede la sua pratica, sotto certi riguardi sono
responsabili della mediocrità delle anime o anche della loro perdita. Bravi
amministratori, ottimi predicatori, pieni di sollecitudine per i malati e per i
poveri, essi hanno però trascurato questa grande tattica usata dal Salvatore:
trasformare la società mediante le élites. Il piccolo drappello di discepoli
che Gesù stesso scelse e formò e che lo Spirito Santo in seguito infiammò, è
bastato per incominciare la rigenerazione del mondo.
Salutiamo con rispetto quei sempre più numerosi
vescovi che, dietro l’esempio di Pio X, considerano che ai loro seminari
maggiori sia molto più utile tenere un solo corso di ascetica e di mistica che
non tante conferenze di sociologia.
Per evidenziare l’importanza della direzione,
essi esigono che prima di tutto i seminaristi vi si attengano fedelmente per il
loro progresso spirituale e che tutti i professori ne abbiano una stima particolare,
dimostrandola con l’irraggiamento della loro vita interiore.
Di più, essi vogliono che tutti gli aspiranti al
sacerdozio apprendano quanto si riferisce al regimen animarum, a
quest’arte che poggia su principi ben stabiliti e su saggi consigli vissuti da
coloro che ne hanno fatta l’esperienza. E’ soprattutto quest’ars artium
a confermare che il sapere deve necessariamente tradursi nel saper fare.
Se consultiamo gli autori considerati nella
Chiesa come maestri di vita spirituale, quante false nozioni e quanti
pregiudizi dobbiamo sfoltire riguardo la direzione!
Certe persone sanno molto bene deviare la
direzione dal suo scopo, se il sacerdote lascia che il suo zelo ondeggi senza
bussola e non regge il timone con mano ferma.
Talvolta si tratta di una seduta piena di
sterili chiacchiere o di sdolcinate moine che lusingano l’amor proprio oppure
diminuiscono la responsabilità personale, tendendo al quietismo; talvolta
abbiamo una scuola di bigotteria e di sentimentalismo in cui si fomenta il
gusto delle emozioni sensibili o quello di una religiosità ridotta a pratiche
esteriori; ora è una specie di ufficio notarile in cui si viene a consultare
abitualmente per i minimi incidenti della vita, per gli affari temporali e le
brighe familiari. E in quante altre vie possono disgraziatamente smarrirsi e i
direttori e le anime dirette!
Il sacerdote deve pertanto vigilare per evitare
che il carattere della direzione venga falsato. Tutto deve convergere verso il
fine tracciato da questa definizione: la direzione spirituale consiste
nell’insieme metodico e regolare di consigli che una persona (specie il
sacerdote), avendo la grazia di stato, la scienza e l’esperienza, dà ad
un’anima retta e generosa per farla progredire verso una solida pietà ed anche
verso la perfezione.
In primo luogo si tratta di un allenamento della
volontà, di questa facoltà maestra che San Tommaso chiama vis unitiva,
la sola, in ultima analisi, in cui risiede l’unione con il Signore e
l’imitazione delle sue virtù.
Il direttore degno di questo nome sa rendersi
conto non solo delle cause intime delle mancanze, ma anche delle diverse
inclinazioni dell’anima. Ne analizza le difficoltà e ripugnanze nel
combattimento spirituale; fa risplendere l’ideale, prova, sceglie e controlla
il mezzo per viverlo; segnala gli scogli e le illusioni; scuote il torpore,
incoraggia, rimprovera e consola, se occorre, ma soltanto per ritemprare la
volontà contro lo scoraggiamento o la disperazione.
Finché l’anima, conservando qualche attaccamento
al peccato, rimane nella via purgativa, la direzione spirituale è
ordinariamente legata alla confessione. Ma quando l’anima è seriamente
orientata verso il fervore, allora la direzione può più facilmente venir
separata dalla confessione. Appunto perché non venga confusa con questa, certi
sacerdoti la vogliono dare soltanto dopo l’assoluzione e di solito la dànno
solo una volta al mese a quelli che si confessano ogni settimana.
Non è nel programma di questo libro trattare il
modo di esercitare la direzione. Essendo però convinto che molti sacerdoti
devono prendere più sul serio quest’arte spirituale, è per me una grande gioia,
lo confesso, il tentare di offrire a certi confratelli, che esitano a studiare
opere voluminose, una breve sintesi di ciò che di meglio è stato scritto su
questo argomento. Questo compendio non solo faciliterà l’osservazione e la
classificazione delle anime, ma suggerirà con precisione i mezzi indicati per
il duc in altum adatto ai principali stati di vita.
Ciascun’anima è come un mondo a sé, con le sue
proprie sfumature. Tuttavia, in base alle comuni caratteristiche, si possono
classificare i cristiani in alcuni guppi. Credo che sia utile tentare questa
classificazione, prendendo come pietra di paragone il peccato o l’imperfezione da
una parte, e la preghiera dall’altra. Con questo schema, mi auguro di portare
qualcuno dei miei confratelli a riflettere sulla necessità di avviare uno
studio che permetta di conoscere le regole pratiche per dirigere ciascun’anima
secondo il suo stato.
Per quanto riguarda le due prime categorie qui
sotto elencate, il sacerdote non potrà agire direttamente sulle loro anime; ma
almeno, se è un buon direttore, potrà guidare ben più efficacemente i parenti e
gli amici che desiderano sottrarre all’indurimento persone che sono a loro care
e che Dio non ha ancora definitivamente respinto.
a) Indurimento
Peccato mortale: ristagnamento in questo peccato, per ignoranza o per
coscienza maliziosamente falsata. Soffocamento o assenza dei rimorsi.
Preghiera:
deliberata soppressione di ogni ricorso a Dio.
b) Verniciatura
cristiana
Peccato mortale: considerato come un male leggero e facilmente
perdonabile; l’anima vi si lascia andare facilmente per qualunque occasione o
tentazione. Confessione quasi senza contrizione.
Preghiera:
macchinale, senza attenzione o sempre fatta per interessi temporali. Rare e
superficiali riflessioni su se medesimo.
c) Pietà
mediocre
Peccato mortale: poco combattuto; rara fuga dalle occasioni; ma serio
pentimento e vere confessioni.
Peccato veniale: patteggiamento con questo peccato, che viene considerato
come un male insignificante; conseguenza: tiepidezza della volontà. Non si fa
nulla per prevenirlo, sradicarlo e scoprirlo.
Preghiera:
abbastanza ben fatta, di tanto intanto. Passeggere velleità di fervore.
d) Pietà
intermittente
Peccato mortale: sinceramente combattuto. Fuga abituale delle occasioni.
Pentimenti vivissimi. Penitenze di riparazione.
Peccato veniale: talvolta deliberato. Lotta debole. Pentimenti
superficiali. Esame particolare, ma senza costanza.
Preghiera:
insufficiente risoluzione di essere fedele alla meditazione, che l’anima
tralascia quando prova aridità o vi sono tante occupazioni.
e) Pietà
costante
Peccato mortale: mai. Al massimo, rarissime sorprese violente ed improvvise.
Perciò, spesso peccato mortale dubbio seguìto da ardente compunzione e da
penitenza.
Peccato veniale: vigilanza per evitarlo e combatterlo. Raramente è
deliberato. Vivamente pianto ma poco riparato. Esame particolare continuo, ma
limitato alla fuga dai peccati veniali.
Imperfezioni: l’anima evita di scoprirle per non combatterle, oppure
le scusa facilmente. La rinunzia è ammirata ed anche desiderata ma poco
praticata.
Preghiera:
fedeltà costante a qualunque costo all’orazione, spesso affettiva. Alternanza
di consolazioni e aridità penosamente subite.
f) Fervore
Peccato veniale: mai deliberato. Talvolta per sorpresa o solo mezzo
avvertito. Vivamente pianto e seriamente riparato.
Imperfezioni: condannate, sorvegliate e combattute sinceramente, per
essere più gradito a Dio. Qualche volta deliberate ma subito detestate. Atti
frequenti di rinunzia. Esame particolare che mira al perfezionamento in una
virtù.
Preghiera:
orazione mentale volenterosamente prolungata. Orazione piuttosto affettiva e
anche di semplicità. Alternanza di grandi consolazioni e di prove angosciose.
g) Perfezione
relativa
Imperfezioni: energicamente prevenute con grande amore. Quando
sopravvengono, c’é solo mezza avvertenza.
Preghiera:
vita abituale di orazione, anche se ci si prodiga all’esterno. Sete di
rinunzia, di distacco e di amore divino. Fame dell’Eucaristia e del Cielo.
Grazie di orazione infusa di diversi gradi. Frequenti purificazioni passive.
h) Eroismo
Imperfezioni: solo di primo impulso.
Preghiera:
doni soprannaturali di contemplazione, accompagnati talvolta da fenomeni
straordinari. Accentuate purificazioni passive. Disprezzo di sé fino all’oblio.
Preferenza delle sofferenze alle gioie.
i) Santità
consumata
Imperfezioni: appena apparenti.
Preghiera:
il più delle volte, unione trasformante. Matrimonio spirituale. Purificazioni
di amore. Sete ardente di sofferenze e umiliazioni.
* * *
Sono fin troppo rare le anime elette che
raggiungono gli ultimi tre stati; in loro il peccato veniale diventa sempre più
raro. Per questo si comprende che i sacerdoti aspettino l’occasione di dirigere
tali soggetti prima ancora di studiare quello che i migliori autori
suggeriscono perché la loro direzione sia prudente e sicura.
Ma non si può scusare quel confessore che – per
mancanza di zelo nell’imparare e nell’applicare ciò che si riferisce alle
quattro classi: della pietà mediocre, della pietà intermittente, della pietà
costante o del fervore – lascia ammuffire tante anime in una squallida
tiepidezza o fermarsi molto al di sotto del grado di vita interiore al quale
Dio le destinava.
Per quanto riguarda i punti da toccare nella
direzione dei principianti, possiamo forse ridurle ai quattro seguenti:
1 – Pace:
Esaminare se l’anima è nella vera pace e non in quella che dà il mondo o che
deriva dall’assenza di lotta. Altrimenti, cercare di stabilirla in una relativa
pace nonostante le sue difficoltà. Questo è alla base di ogni direzione: la
calma, il raccoglimento e la fiducia.
2 – Ideale:
Dopo aver riuniti gli elementi necessari per classificare un’anima e per
conoscerne i punti deboli, le forze vive di carattere e di temperamento e il
grado di tendenza alla perfezione, cercare i mezzi adatti a ravvivare il suo
desiderio di vivere più seriamente di Gesù Cristo e ad abbattere tutti gli
ostacoli che in essa si oppongono allo sviluppo della grazia. In una parola,
con questo punto si mira a spingere l’anima a guardare sempre più in alto, semper
excelsior.
3 – Preghiera: Verificare come l’anima fa le sue preghiere e, in
particolare, esaminare il suo grado di fedeltà alla meditazione, il suo genere
di orazione, gli ostacoli che incontra e i risultati che ne ottiene. Inoltre,
esaminare il profitto che trae dai Sacramenti, dalla vita liturgica, dalle
devozioni particolari, dalle giaculatorie e dall’esercizio della presenza di
Dio.
4 – Rinunzia: Esaminare su che cosa e specialmente in che modo fa
l’esame particolare, come esercita la rinunzia (se per odio del peccato oppure
per amore di una virtù), come pratica la custodia del cuore e perciò la
vigilanza e la lotta spirituale in spirito di orazione, lungo la giornata.
A questi quattro punti principali si può ridurre
l’essenziale della direzione spirituale. Si possono esaminare tutti e quattro
ogni mese, oppure soffermarsi alternativamente su uno di essi per non
dilungarsi troppo.
In tal modo, paralizzando in un’anima i germi di
morte e ravvivando i germi di vita, il sacerdote zelante arriverà ad
appassionarsi per l’esercizio di quest’arte suprema. Lo Spirito Santo poi, di
cui è fedele ministro, non gli sarà avaro di quelle ineffabili consolazioni che
costituiscono una delle maggiori felicità del sacerdozio in questa vita, e
gliele accorderà nella misura in cui egli si sacrificherà per applicare alle
anime i princìpi che ha studiato. Chi più di san Paolo provò le consolazioni
dell’apostolato? Ma quale ardente fuoco doveva consumarlo, se poté scrivere:
«Per tre anni non ho mai smesso, giorno e notte, di ammonire ciascuno di voi
fra le lacrime»! (At. 20, 31).
«Caro dottore, so che vostro figlio vuole
dedicarsi al sacerdozio. Se egli e i suoi confratelli, quando dovranno curare
le anime, prenderanno esempio dalla vostra dedizione e dalla vostra coscienza
professionale nel diagnosticare la malattia e nel prescrivere i rimedi e il
regime che devono restituire al malato una florida salute, credo che né ebrei,
né massoni, né protestanti potranno impedire in mezzo a noi il trionfo della
fede». Tali parole di ammirazione e di riconoscenza erano rivolte, alla mia
presenza, da un prelato al medico che con duri sforzi era riuscito a strapparlo
da una crisi mortale e a restituirlo, poco dopo, a rinnovato vigore.
L’applicazione della scienza e l’esercizio
dell’abnegazione saranno certamente benedetti da Dio. Ma quale potenza
sovrumana acquisteranno questi due fattori, quando il sacerdote che li usa sarà
di quelli che non possono comprendere il loro sacerdozio senza la ricerca della
santità!
Se in ogni parrocchia, in ogni missione, in ogni
comunità e a capo di ogni associazione cattolica vi fossero dei veri direttori
di anime, che santa rivoluzione avverrebbe nel mondo! Allora anche quelle
istituzioni (orfanotrofi, asili, ricoveri, eccetera) in cui si devono ospitare
soggetti appena accettabili, si baserebbero sempre su questo programma: formare
delle élites e isolarle dai mediocri per quanto è possibile, fino a che non si
sia riusciti a lanciarle ad un accorto ma ardente apostolato verso gli altri.
Chiunque voglia giudicare le istituzioni dai
risultati che Gesù se ne attende, giunge necessariamente a questa conclusione:
dovunque c’è un focolare di vera direzione spirituale, non c’è bisogno delle
famose «stampelle» per ottenere in abbondanza frutti meravigliosi. Invece l’uso
simultaneo di tutte le «stampelle» possibili e più in voga, potrà solo
mascherare l’assenza di questa direzione nell’istituto, ma non certo attenuarne
la necessità.
Quanto più i sacerdoti saranno zelanti nel
perfezionarsi nell’arte della direzione e nel dedicarvisi, tanto più diminuirà ai
loro occhi la necessità di usare quei mezzi esteriori che, all’inizio, erano
utili per mettersi in contatto con i fedeli, attirarli, raccoglierli,
coinvolgerli, trattenerli e conservarli sotto l’influenza della Chiesa, la
quale, fedele al suo scopo, non è pienamente soddisfatta se non quando le anime
sono intimamente incorporate a Gesù Cristo.
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