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Dom Jean-Baptiste Gustave Chautard
Anima di ogni Apostolato

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  • La vita interiore è condizione della fecondità delle opere
    • 7. La vita interiore mediante l’Eucaristia compendia tutta la fecondità dell’apostolato
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7. La vita interiore mediante l’Eucaristia compendia tutta la fecondità dell’apostolato

Il fine dell’Incarnazione, e perciò di ogni apostolato, consiste nel divinizzare l’umanità: «Cristo si è fatto uomo affinché l’uomo potesse diventare Dio» (S. Agostino). «L’unigenito Figlio di Dio, volendo farci partecipare alla sua divina natura, assunse la nostra, affinché, una volta diventato uomo, noi diventassimo dèi» (S. Tommaso, Officio del Corpus Domini)

Ora, è nell’Eucaristia, o meglio nella Vita eucaristica, e cioè nella vita interiore robusta, alimentata dal divino banchetto, che l’apostolo assimila la vita divina. Ecco la parola del Maestro, perentoria, che non lascia luogo ad equivoci: «Se non mangerete il Corpo del Figlio dell’Uomo e non berrete il suo Sangue, non riceverete la Vita» (Gv. 6, 54). La vita eucaristica è la vita del Signore in noi, non solo per l’indispensabile stato di grazia, ma anche per una sovrabbondanza della sua azione: «Sono venuto affinché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv. 10, 10). Se l’apostolo deve sovrabbondare di vita divina per riversarla nei fedeli, e se può trovarne la sorgente solo nell’Eucaristia, come si potrà supporre che sue opere siano efficaci senza l’azione svolta da questo Sacramento in coloro che – direttamente o indirettamentedevono essere i dispensatori di quella vita per mezzo di queste opere?

E’ impossibile meditare sulle conseguenze del dogma della Presenza reale, del Sacrificio dell’altare o della Comunione, senza concluderne che il Signore ha voluto istituire questo Sacramento per farne un focolare di ogni attività, di ogni dedizione, di ogni apostolato veramente utile alla Chiesa.

Se tutta la Redenzione gravita attorno al Calvario, tutte le grazie di questo mistero derivano dall’Altare. Ma allora l’operaio della parola evangelica che non viva dell’Altare non avrà che una parola morta, una parola che non salva, perché procedente da un cuore che non è abbastanza impregnato del Sangue che redime.

Realizzando un profondo disegno, sùbito dopo l’ultima cena, nella sua parabola della vite e dei tralci, il Signore sviluppa con insistenza e precisione l’inutilità dell’azione che non è animata dallo spirito interiore: «Come il tralcio non può dare frutto se non rimane unito alla vite, così nemmeno voi lo potete, se non rimanete in me» (Gv. 15, 4).

Ma sùbito dopo Egli ci mostra quanto valore avrà invece l’azione esercitata dall’apostolo che vive di vita interiore, della vita eucaristica: «Se uno rimane in me e io in lui, costui porterà molti frutti» (Gv. 15, 5). «Costui», lui solo; Dio agisce potentemente solo per mezzo di lui poiché, come scrisse sant’Atanasio, «noi siamo fatti altrettanti dèi dalla carne di Cristo». Quando il predicatore o il catechista mantengono in loro il Sangue divino, quando il loro cuore è bruciato dal fuoco che consuma il Cuore eucaristico di Gesù, com’è allora viva, ardente ed infiammata la loro parola! E quando gli eletti da Dio per queste opere ravvivano il loro zelo nella Comunione e diventano i portatori di Cristo, come s’irraggiano gli effetti dell’Eucaristia in una scuola o in un ospedale o in un oratorio, eccetera!

Per quanto il demonio sia abile nel mantenere le anime nell’ignoranza, o lo spirito superbo e impuro cerchi d’inebriarle di orgoglio o di affogarle nel fango, l’Eucaristia, vita del vero apostolo, fa sentire la sua azione superiore ad ogni altra contro il nemico della salvezza.

Per mezzo dell’Eucaristia si perfeziona l’amore. Questo vivente memoriale della Passione ravviva nell’apostolo il fuoco divino quando tende a spegnersi; gli fa rivivere il Gethsemani, il Pretorio, il Calvario; gli comunica la scienza del dolore e dell’umiliazione. L’operaio apostolico parla agli afflitti un linguaggio capace di farli partecipare alle consolazioni attinte a questa scuola sublime.

Egli parla il linguaggio delle virtù di cui Gesù Cristo rimane il Modello, poiché ognuna delle sue parole è come una goccia di sangue eucaristico versata sulle anime. Se però non ha questo riflesso di vita eucaristica, la parola dell’uomo di azione non produrrà che un effetto momentaneo. Si potrà forse scuotere le facoltà secondarie od occupare gli accessi della piazzaforte, ma la rocca – cioè il cuore, la volontàrimarrà per lo più inespugnabile.

La fecondità dell’apostolato di un’anima corrisponde quasi sempre al grado acquisito di vita eucaristica. Il contrassegno di un apostolato efficace, infatti, sta nel riuscire a comunicare alle anime la sete di partecipare frequentemente e praticamente al banchetto divino. Ma questo risultato non viene ottenuto, se non nella misura in cui è l’apostolo stesso a vivere veramente di Gesù-Ostia.

Come san Tommaso d’Aquino, che infilava la testa nel Tabernacolo per trovare la soluzione di una problema, così anche l’apostolo va a confidare tutto all’Ospite divino, e la sua azione sulle anime è la realizzazione delle sue confidenze all’Autore della vita.

Il grande Pontefice e padre san Pio X, il Papa della Comunione frequente, è anche il Papa della vita interiore. La sua prima parola, rivolta specialmente agli uomini di azione, fu «restaurare tutto in Cristo» (Ef. 12, 19). Questo è il programma d’un apostolo che vive dell’Eucaristia e che vede i progressi della Chiesa solo in proporzione ai progressi che le anime fanno nella vita eucaristica.

O voi, opere del nostro tempo, tanto numerose eppure così spesso sterili! Come mai non avete rigenerato la società? Voi siete ben più numerose che nei tempi passati, certo, eppure non avete saputo impedire che l’empietà devastasse, e con gravi danni, la vigna del padone (Mt. 13, 24-30). Com’è potuto succedere?

E’ successo perché non siete sufficientemente radicate nella vita interiore, nella vita eucaristica, nella vita liturgica ben compresa. Gli uomini di azione che vi dirigono hanno forse potuto irradiare razionalità, ingegno ed anche una certa qual pietà; sono riusciti a gettar fasci di luce e a promuovere certe pratiche di devozione: risultati apprezzabili, certo. Ma, non avendo attinto a sufficienza alla Sorgente della vita, essi non hanno potuto propagare quell’ardore che muove le volontà. Invano avrebbero preteso di far nascere quelle abnegazioni nascoste ma irresistibili, quei fermenti attivi dei popoli, quegl’ insostituibili focolai d’attrazione soprannaturale che – senza chiasso, ma anche senza sostapropagano l’incendio tutt’intorno e penetrano lentamente ma sicuramente in tutte le classi di persone alle quali possono arrivare. La loro vita in Gesù era troppo debole per ottenere simili risultati.

Per preservare le anime dal contagio del male, nei secoli passati bastava opporvi una pietà ordinaria. Ma oggi, a un virus cento volte più violento e inoculato dalle attrattive del mondo, bisogna contrapporre una medicina vivificante ben più energica. Mancardo i laboratori capaci di produrre efficaci antidoti, le opere si sono limitate a produrre un fervore sentimentale, grandi slanci che poi si sono spenti più rapidamente di quanto si erano accesi; oppure esse sono riuscite a coinvolgere solo infime minoranze. I seminari e i noviziati non hanno più dato quegli sciami di sacerdoti, di religiosi e religiose abbastanza inebriati del Vino eucaristico. E così quel fuoco, che mediante queste anime elette avrebbe dovuto propagarsi ai pii laici dediti all’azione, è rimasto nascosto. La Chiesa ha ricevuto pii apostoli, certo, ma rarissimamente operai evangelici che, in forza della loro vita eucaristica, avessero quella pietà integrale fatta di custodia del cuore e di zelo, quella pietà ardente, attiva, generosa e pratica, che si chiama vita interiore.

Alle volte si ode valutare come «buona» o addirittura «ottima» una parrocchia, solo perché i suoi fedeli salutano rispettosamente il parroco, lo trattano con deferenza, gli manifestano una certa simpatia, all’occorrenza gli prestano perfino qualche servizio, sebbene la maggior parte di loro trascuri l’assistenza alla Messa della domenica per lavorare, abbandoni i Sacramenti, rimanga nell’ignoranza in materia di religione, nell’intemperanza e nella bestemmia e lasci molto a desiderare quanto a condotta morale. Che pena! Sarebbe dunque «ottima» questa parrocchia? Si potrà chiamare «cristiana» questa gente dalla vita completamente pagana?

Piangiamo dunque tali tristi risultati, noi operai evangelici, perché non siamo andati alla scuola in cui il Verbo istruisce i predicatori, perché non abbiamo attinto più profondamente la parola di vita, cuore a cuore col Dio dell’Eucarestia! Dio non ha più parlato attraverso la nostra bocca; questo è fatale. Smettiamola di stupirci se la nostra umana parola è rimasta quasi sterile.

Noi non siamo apparsi alle anime come un riflesso di Gesù e della sua vita nella Chiesa. Perché il popolo credesse in noi, bisognava che brillasse sulla nostra fronte un raggio di quell’aureola che illuminava Mosè quando, scendendo dal Sinai, ritornava dagli israeliti. Agli occhi degli ebrei, quell’aureola era una testimonianza dell’intimità del loro capo con Colui che lo mandava. Alla nostra missione, era necessario non solo che apparissimo uomini retti e convinti, ma anche che un raggio dell’Eucarestia lasciasse intravvedere al popolo quel Dio vivo al quale nulla può resistere.

Predicatori, oratori, conferenzieri, catechisti, professori! Se abbiamo ottenuto solo risultati imperfetti, è perché non abbiamo riflettuto in noi la vita divina.

Apostoli che ci lamentiamo per gl’insuccessi delle nostre opere! Noi che sappiamo che, in ultima analisi, l’uomo è ordinariamente mosso solo dal desiderio di essere felice; domandiamoci allora se gli uomini hanno visto in noi quell’irraggiamento della felicità eterna ed infinita di Dio che avremmo ricevuto dall’unirci a Colui che, pur nascosto nel Tabernacolo, costituisce la gioia della Corte celeste. Il Divino Maestro non dimenticò questo nutrimento necessario ai suoi apostoli: «Vi dico queste cose affinché la vostra gioia sia piena» (Gv. 15, 11), disse dopo l’ultima Cena, per ricordarci fino a qual punto l’Eucarestia sarà la sorgente di tutte le grandi gioie di questa vita.

Ministri del Signore! Per vostra colpa il Tabernacolo è rimasto muto, la pietra dell’Altare fredda, l’Ostia un memoriale rispettato ma quasi inerte, e le anime abbandonate nelle loro vie perverse. Ma come avremmo potuto sottrarle dal fango dei loro illeciti piaceri? Abbiamo parlato a queste anime delle gioie della religione e della retta coscienza, certo; ma poiché non abbiamo saputo dissetarci a sufficienza alle acque vive dell’Agnello, siamo riusciti solo a balbettare nel descrivere quelle gioie ineffabili il cui desiderio avrebbe spezzato le catene della triplice concupiscenza più efficacemente delle terribili parole sull’inferno. Di quel Dio che è tutto amore, le anime hanno visto in noi soprattutto il severo legislatore e il giudice tanto inesorabile nei suoi decreti quanto rigoroso nei suoi castighi. Le nostre labbra non hanno saputo parlare il linguaggio del Cuore di Colui che ama gli uomini, perché i nostri colloqui con questo Cuore sono stati tanto rari quanto poco intimi.

Non scarichiamo la nostra colpa sullo stato di profonda corruzione della società. Possiamo infatti vedere – in parrocchie da gran tempo scristianizzate, ad esempio – quanto ha potuto operare la presenza di sacerdoti saggi, attivi, dedicati e capaci, ma soprattutto amanti dell’Eucarestia. Nonostante tutti gli sforzi dei ministri di Satana, questi sacerdoti, purtroppo rari, «diventati terribili agli occhi del diavolo»19, attingendo la forza da quel focolare di forza che è il braciere del Tabernacolo, hanno saputo forgiare armi invincibili che la congiura di tutti i diavoli non ha potuto spezzare.

Per loro la preghiera all’Altare non è stata sterile, perché sono diventati capaci di comprendere quelle parole di San Francesco d’Assisi: «L’orazione è la sorgente della grazia; la predicazione è il canale che distribuisce le grazie che noi abbiamo ricevuto dal Cielo; i ministri della Parola di Dio sono scelti dal gran Re perché portino al popolo quanto essi stessi hanno appreso e raccolto dalla sua bocca, soprattutto davanti al Tabernacolo».

Il grande motivo di speranza sta nel vedere attualmente una generazione di uomini di azione che non si accontentano più di promuovere solo comunioni da parata, ma sanno facilitare la fioritura delle anime dei veri comunicanti.




19 «Quando torniamo dalla Mensa eucaristica, siamo come leoni che emettono fiamme: diventiamo terribili agli occhi del demonio» (S. Giovanni Crisostomo, Ad popolum antiochenum homiliae, Homilia LXI).






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