7. La vita
interiore mediante l’Eucaristia compendia tutta la fecondità dell’apostolato
Il fine dell’Incarnazione, e perciò di ogni apostolato,
consiste nel divinizzare l’umanità: «Cristo si è fatto uomo affinché l’uomo
potesse diventare Dio» (S. Agostino). «L’unigenito Figlio di Dio, volendo farci
partecipare alla sua divina natura, assunse la nostra, affinché, una volta
diventato uomo, noi diventassimo dèi» (S. Tommaso, Officio del Corpus Domini)
Ora, è nell’Eucaristia, o meglio nella Vita
eucaristica, e cioè nella vita interiore robusta, alimentata dal divino
banchetto, che l’apostolo assimila la vita divina. Ecco la parola del Maestro,
perentoria, che non lascia luogo ad equivoci: «Se non mangerete il Corpo del
Figlio dell’Uomo e non berrete il suo Sangue, non riceverete la Vita» (Gv. 6,
54). La vita eucaristica è la vita del Signore in noi, non solo per
l’indispensabile stato di grazia, ma anche per una sovrabbondanza della sua
azione: «Sono venuto affinché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv.
10, 10). Se l’apostolo deve sovrabbondare di vita divina per riversarla nei
fedeli, e se può trovarne la sorgente solo nell’Eucaristia, come si potrà
supporre che sue opere siano efficaci senza l’azione svolta da questo
Sacramento in coloro che – direttamente o indirettamente – devono essere i
dispensatori di quella vita per mezzo di queste opere?
E’ impossibile meditare sulle conseguenze del
dogma della Presenza reale, del Sacrificio dell’altare o della Comunione, senza
concluderne che il Signore ha voluto istituire questo Sacramento per farne un
focolare di ogni attività, di ogni dedizione, di ogni apostolato veramente
utile alla Chiesa.
Se tutta la Redenzione gravita attorno al
Calvario, tutte le grazie di questo mistero derivano dall’Altare. Ma allora
l’operaio della parola evangelica che non viva dell’Altare non avrà che una
parola morta, una parola che non salva, perché procedente da un cuore che non è
abbastanza impregnato del Sangue che redime.
Realizzando un profondo disegno, sùbito dopo
l’ultima cena, nella sua parabola della vite e dei tralci, il Signore sviluppa
con insistenza e precisione l’inutilità dell’azione che non è animata dallo
spirito interiore: «Come il tralcio non può dare frutto se non rimane unito
alla vite, così nemmeno voi lo potete, se non rimanete in me» (Gv. 15, 4).
Ma sùbito dopo Egli ci mostra quanto valore avrà
invece l’azione esercitata dall’apostolo che vive di vita interiore, della vita
eucaristica: «Se uno rimane in me e io in lui, costui porterà molti frutti»
(Gv. 15, 5). «Costui», lui solo; Dio agisce potentemente solo per mezzo di
lui poiché, come scrisse sant’Atanasio, «noi siamo fatti altrettanti dèi dalla
carne di Cristo». Quando il predicatore o il catechista mantengono in loro il
Sangue divino, quando il loro cuore è bruciato dal fuoco che consuma il Cuore
eucaristico di Gesù, com’è allora viva, ardente ed infiammata la loro parola! E
quando gli eletti da Dio per queste opere ravvivano il loro zelo nella
Comunione e diventano i portatori di Cristo, come s’irraggiano gli effetti
dell’Eucaristia in una scuola o in un ospedale o in un oratorio, eccetera!
Per quanto il demonio sia abile nel mantenere le
anime nell’ignoranza, o lo spirito superbo e impuro cerchi d’inebriarle di
orgoglio o di affogarle nel fango, l’Eucaristia, vita del vero apostolo, fa
sentire la sua azione superiore ad ogni altra contro il nemico della salvezza.
Per mezzo dell’Eucaristia si perfeziona l’amore.
Questo vivente memoriale della Passione ravviva nell’apostolo il fuoco divino
quando tende a spegnersi; gli fa rivivere il Gethsemani, il Pretorio, il
Calvario; gli comunica la scienza del dolore e dell’umiliazione. L’operaio
apostolico parla agli afflitti un linguaggio capace di farli partecipare alle
consolazioni attinte a questa scuola sublime.
Egli parla il linguaggio delle virtù di cui Gesù
Cristo rimane il Modello, poiché ognuna delle sue parole è come una goccia di sangue
eucaristico versata sulle anime. Se però non ha questo riflesso di vita
eucaristica, la parola dell’uomo di azione non produrrà che un effetto
momentaneo. Si potrà forse scuotere le facoltà secondarie od occupare gli
accessi della piazzaforte, ma la rocca – cioè il cuore, la volontà – rimarrà
per lo più inespugnabile.
La fecondità dell’apostolato di un’anima
corrisponde quasi sempre al grado acquisito di vita eucaristica. Il
contrassegno di un apostolato efficace, infatti, sta nel riuscire a comunicare
alle anime la sete di partecipare frequentemente e praticamente al banchetto
divino. Ma questo risultato non viene ottenuto, se non nella misura in cui è
l’apostolo stesso a vivere veramente di Gesù-Ostia.
Come san Tommaso d’Aquino, che infilava la testa
nel Tabernacolo per trovare la soluzione di una problema, così anche l’apostolo
va a confidare tutto all’Ospite divino, e la sua azione sulle anime è la
realizzazione delle sue confidenze all’Autore della vita.
Il grande Pontefice e padre san Pio X, il Papa
della Comunione frequente, è anche il Papa della vita interiore. La sua prima
parola, rivolta specialmente agli uomini di azione, fu «restaurare tutto in
Cristo» (Ef. 12, 19). Questo è il programma d’un apostolo che vive
dell’Eucaristia e che vede i progressi della Chiesa solo in proporzione ai
progressi che le anime fanno nella vita eucaristica.
O voi, opere del nostro tempo, tanto numerose
eppure così spesso sterili! Come mai non avete rigenerato la società? Voi siete
ben più numerose che nei tempi passati, certo, eppure non avete saputo impedire
che l’empietà devastasse, e con gravi danni, la vigna del padone (Mt. 13,
24-30). Com’è potuto succedere?
E’ successo perché non siete sufficientemente
radicate nella vita interiore, nella vita eucaristica, nella vita liturgica ben
compresa. Gli uomini di azione che vi dirigono hanno forse potuto irradiare
razionalità, ingegno ed anche una certa qual pietà; sono riusciti a gettar
fasci di luce e a promuovere certe pratiche di devozione: risultati apprezzabili,
certo. Ma, non avendo attinto a sufficienza alla Sorgente della vita, essi non
hanno potuto propagare quell’ardore che muove le volontà. Invano avrebbero
preteso di far nascere quelle abnegazioni nascoste ma irresistibili, quei
fermenti attivi dei popoli, quegl’ insostituibili focolai d’attrazione
soprannaturale che – senza chiasso, ma anche senza sosta – propagano l’incendio
tutt’intorno e penetrano lentamente ma sicuramente in tutte le classi di
persone alle quali possono arrivare. La loro vita in Gesù era troppo debole per
ottenere simili risultati.
Per preservare le anime dal contagio del male,
nei secoli passati bastava opporvi una pietà ordinaria. Ma oggi, a un virus
cento volte più violento e inoculato dalle attrattive del mondo, bisogna
contrapporre una medicina vivificante ben più energica. Mancardo i laboratori
capaci di produrre efficaci antidoti, le opere si sono limitate a produrre un
fervore sentimentale, grandi slanci che poi si sono spenti più rapidamente di
quanto si erano accesi; oppure esse sono riuscite a coinvolgere solo infime
minoranze. I seminari e i noviziati non hanno più dato quegli sciami di
sacerdoti, di religiosi e religiose abbastanza inebriati del Vino eucaristico.
E così quel fuoco, che mediante queste anime elette avrebbe dovuto propagarsi
ai pii laici dediti all’azione, è rimasto nascosto. La Chiesa ha ricevuto pii
apostoli, certo, ma rarissimamente operai evangelici che, in forza della loro
vita eucaristica, avessero quella pietà integrale fatta di custodia del cuore e
di zelo, quella pietà ardente, attiva, generosa e pratica, che si chiama vita
interiore.
Alle volte si ode valutare come «buona» o
addirittura «ottima» una parrocchia, solo perché i suoi fedeli salutano
rispettosamente il parroco, lo trattano con deferenza, gli manifestano una
certa simpatia, all’occorrenza gli prestano perfino qualche servizio, sebbene
la maggior parte di loro trascuri l’assistenza alla Messa della domenica per
lavorare, abbandoni i Sacramenti, rimanga nell’ignoranza in materia di religione,
nell’intemperanza e nella bestemmia e lasci molto a desiderare quanto a
condotta morale. Che pena! Sarebbe dunque «ottima» questa parrocchia? Si potrà
chiamare «cristiana» questa gente dalla vita completamente pagana?
Piangiamo dunque tali tristi risultati, noi
operai evangelici, perché non siamo andati alla scuola in cui il Verbo
istruisce i predicatori, perché non abbiamo attinto più profondamente la parola
di vita, cuore a cuore col Dio dell’Eucarestia! Dio non ha più parlato
attraverso la nostra bocca; questo è fatale. Smettiamola di stupirci se la
nostra umana parola è rimasta quasi sterile.
Noi non siamo apparsi alle anime come un
riflesso di Gesù e della sua vita nella Chiesa. Perché il popolo credesse in
noi, bisognava che brillasse sulla nostra fronte un raggio di quell’aureola che
illuminava Mosè quando, scendendo dal Sinai, ritornava dagli israeliti. Agli
occhi degli ebrei, quell’aureola era una testimonianza dell’intimità del loro
capo con Colui che lo mandava. Alla nostra missione, era necessario non solo
che apparissimo uomini retti e convinti, ma anche che un raggio dell’Eucarestia
lasciasse intravvedere al popolo quel Dio vivo al quale nulla può resistere.
Predicatori, oratori, conferenzieri, catechisti,
professori! Se abbiamo ottenuto solo risultati imperfetti, è perché non abbiamo
riflettuto in noi la vita divina.
Apostoli che ci lamentiamo per gl’insuccessi
delle nostre opere! Noi che sappiamo che, in ultima analisi, l’uomo è
ordinariamente mosso solo dal desiderio di essere felice; domandiamoci allora
se gli uomini hanno visto in noi quell’irraggiamento della felicità eterna ed
infinita di Dio che avremmo ricevuto dall’unirci a Colui che, pur nascosto nel
Tabernacolo, costituisce la gioia della Corte celeste. Il Divino Maestro non dimenticò
questo nutrimento necessario ai suoi apostoli: «Vi dico queste cose affinché la
vostra gioia sia piena» (Gv. 15, 11), disse dopo l’ultima Cena, per
ricordarci fino a qual punto l’Eucarestia sarà la sorgente di tutte le grandi
gioie di questa vita.
Ministri del Signore! Per vostra colpa il
Tabernacolo è rimasto muto, la pietra dell’Altare fredda, l’Ostia un memoriale
rispettato ma quasi inerte, e le anime abbandonate nelle loro vie perverse. Ma
come avremmo potuto sottrarle dal fango dei loro illeciti piaceri? Abbiamo
parlato a queste anime delle gioie della religione e della retta coscienza,
certo; ma poiché non abbiamo saputo dissetarci a sufficienza alle acque vive
dell’Agnello, siamo riusciti solo a balbettare nel descrivere quelle gioie
ineffabili il cui desiderio avrebbe spezzato le catene della triplice
concupiscenza più efficacemente delle terribili parole sull’inferno. Di quel
Dio che è tutto amore, le anime hanno visto in noi soprattutto il severo
legislatore e il giudice tanto inesorabile nei suoi decreti quanto rigoroso nei
suoi castighi. Le nostre labbra non hanno saputo parlare il linguaggio del
Cuore di Colui che ama gli uomini, perché i nostri colloqui con questo Cuore
sono stati tanto rari quanto poco intimi.
Non scarichiamo la nostra colpa sullo stato di
profonda corruzione della società. Possiamo infatti vedere – in parrocchie da
gran tempo scristianizzate, ad esempio – quanto ha potuto operare la presenza
di sacerdoti saggi, attivi, dedicati e capaci, ma soprattutto amanti dell’Eucarestia.
Nonostante tutti gli sforzi dei ministri di Satana, questi sacerdoti, purtroppo
rari, «diventati terribili agli occhi del diavolo»19,
attingendo la forza da quel focolare di forza che è il braciere del
Tabernacolo, hanno saputo forgiare armi invincibili che la congiura di tutti i
diavoli non ha potuto spezzare.
Per loro la preghiera all’Altare non è stata
sterile, perché sono diventati capaci di comprendere quelle parole di San
Francesco d’Assisi: «L’orazione è la sorgente della grazia; la predicazione è
il canale che distribuisce le grazie che noi abbiamo ricevuto dal Cielo; i
ministri della Parola di Dio sono scelti dal gran Re perché portino al popolo
quanto essi stessi hanno appreso e raccolto dalla sua bocca, soprattutto
davanti al Tabernacolo».
Il grande motivo di speranza sta nel vedere
attualmente una generazione di uomini di azione che non si accontentano più di
promuovere solo comunioni da parata, ma sanno facilitare la fioritura delle
anime dei veri comunicanti.
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