1. E’ necessaria
questa fedeltà?
Sacerdote! Negli esercizi spirituali della mia
ordinazione ho udito queste gravi parole: «Sacerdos alter Christus!» Ho allora capito
che, se non vivo specialmente di Gesù, non sono affatto un sacerdote secondo il
suo Cuore, non sono affatto un’anima sacerdotale. Come sacerdote, io devo
vivere nell’intimità di Gesù, Egli lo esige da me: «Non vi chiamerò più servi,
ma vi chiamerò amici» (Gv. 15, 15).
Ma la mia vita con Gesù Principio, Mezzo e Fine,
si sviluppa nella misura in cui Egli è la Luce della mia intelligenza e di
tutti i miei atti interni ed esterni, l’Amore regolatore di tutte le affezioni
del mio cuore, la Forza nelle mie prove, lotte e fatiche, l’Alimento di quella
Vita soprannaturale che mi fa compartecipe della vita stessa di Dio. Ebbene,
questa vita con Gesù, assicurata dalla mia fedeltà all’orazione, è senza questo
mezzo moralmente impossibile.
Come oserei offendere con un rifiuto il Cuore di
Colui che mi offre questo mezzo di vivere in amicizia con Lui?
Altro aspetto importante, benché privativo,
della necessità della mia orazione: secondo l’economia del piano divino, essa è
efficace contro i pericoli inerenti alla mia debolezza, ai miei rapporti col
mondo, a certi miei doveri.
Se prego, sono come rivestito di un’armatura di
acciaio e sono invulnerabile alle frecce del nemico; ma se la tralascio, ne
sarò certamente colpito. Perciò molte colpe, che io non avverto o avverto a
mala pena, mi saranno imputate nella loro causa.
«O orazione o gravissimo pericolo di dannazione
per il sacerdote a contatto col mondo», dichiarava senza esitazioni il pio,
dotto e prudente padre Desurmont, uno dei più sperimentati predicatori di
esercizi agli ecclesiastici.
«Per l’apostolo, non c’è via di mezzo tra il
progressivo pervertimento e la santità» (se non acquisita, almeno desiderata e
ricercata soprattutto con l’orazione quotidiana), diceva a sua volta il
cardinale Lavigerie.
Ogni Sacerdote può applicare alla sua orazione
queste parole ispirate dallo Spirito Santo al Salmista: «Se la tua legge non
fosse stata la mia meditazione, io sarei già morto nell’afflizione» (Ps. 118,
92). Questa legge arriva fino al punto di obbligare il sacerdote a riprodurre
in sé lo spirito di Nostro Signore.
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