Un sacerdote
vale quanto la sua orazione.
Vi sono due categorie di sacerdoti:
1. I sacerdoti la cui risoluzione è così decisa,
che la loro orazione non potrebbe essere ritardata nemmeno da pretesti di
convenienza, di occupazioni, eccetera. Solamente un caso rarissimo di forza
maggiore potrà farla rinviare ad un altro momento della mattinata, ma nulla di
più.
Questi veri sacerdoti si preoccupano di ottenere
buoni risultati dalla loro orazione e vogliono ch’essa sia distinta dal
ringraziamento della Messa, dalla lettura spirituale e più ancora dalla
preparazione di una predica. Essi desiderano efficacemente la santità; finché
persevereranno così, la loro salvezza è moralmente certa.
2. I sacerdoti che, avendo preso solo una mezza
risoluzione, rinviano la loro orazione e perciò la tralasciano facilmente,
snaturandone il fine oppure non imponendosi nessun vero sforzo per riuscirvi.
Conseguenze: fatale tiepidezza, sottili illusioni, coscienza addormentata o
falsata... un cammino che scivola verso l’abisso.
E io, a quale delle due categorie voglio
appartenere? Se esito a scegliere, è segno che ho fallito i miei esercizi
spirituali.
Tutto si connette. Se tralascio la mia mezz’ora
di orazione, finirà che perfino la Santa Messa – e quindi la mia Comunione –
diventeranno presto senza frutti personali e potranno essermi imputate di
peccato; la recita penosa e quasi macchinale del mio Breviario non sarà più
calda e gioiosa espressione della mia vita liturgica. Poca vigilanza, mancanza
di raccoglimento e quindi niente più giaculatorie, niente più lettura
spirituale, ahimé!; apostolato sempre meno fecondo; nessun esame leale delle
mie colpe e tanto meno esame particolare; confessioni per abitudine e talvolta
dubbie... in attesa del sacrilegio!
La rocca, sempre meno difesa, è abbandonata
all’assalto di una legione di nemici; dapprima si aprono solo brecce... ma ben
presto crollano le rovine.
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