c) Compimento
delle funzioni liturgiche
Il compiere bene le funzioni liturgiche è un
dono della vostra munificenza, o mio Dio. «Omnipotente e misericordioso Iddio,
alla cui generosità dobbiamo che i tuoi fedeli possano servirti degnamente e
lodevolmente...»56.
Degnatevi di concedermi questo dono, o Signore;
durante l’atto liturgico voglio rimanere adoratore. Questa parola riassume
tutti i metodi.
La mia volontà ha gettato e mantiene il mio
cuore davanti alla Maestà di Dio. Io racchiudo tutto il mio lavoro in quelle
tre parole – digne, attente, devote – della preghiera «Aperi»57,
che esprimono molto bene quale dev’essere l’atteggiamento del mio corpo, della
mia intelligenza e del mio cuore.
Digne.
– Con il contegno rispettoso, con la pronunzia esatta delle parole,
pronunciandole con maggior lentezza nelle parti principali, con la scrupolosa
osservanza delle rubriche, con il tono di voce, con la maniera di fare i segni
di croce, le genuflessioni, eccetera, il mio corpo manifesterà non solo che
sono ben conscio della Persona alla quale mi rivolgo, di ciò che dico e di
quale apostolato posso talvolta esercitare58, ma anche che è
il mio cuore ad agire.
Nelle corti dei sovrani terreni, anche i
semplici servitori stimano grandi le minime cariche e prendono, inconsciamente,
un contegno maestoso e solenne. Questa distinzione, che si manifesta
nell’atteggiamento d’animo e nella dignità del comportamento nell’esercizio
delle funzioni, non potrò forse arrivare ad acquistarla, io che faccio parte
della guardia d’onore del Re dei re e del Dio di ogni maestà?
Attente.
– Il mio spirito sarà pieno di ardore per succhiare dalle parole e dai sacri
riti tutto ciò che potrà nutrire il mio cuore.
A volte la mia attenzione si fermerà al senso
letterale dei testi; sia seguendo ogni frase, sia meditando a lungo per tutto
il tempo della recita su di una parola che più mi ha colpito, finché non
sentirò il bisogno di scoprire in un altro fiore il miele della devozione, in
entrambi i casi io resto fedele al «mens concordet voci».
A volte la mia intelligenza si occuperà del
mistero del giorno o dell’idea principale del tempo liturgico. Ma il suo ruolo
resterà secondario, se paragonato a quello della volontà, di cui sarà soltanto
la provveditrice, per aiutarla a mantenersi in adorazione o a ritornare a
questo atteggiamento.
Anche se sopraggiungeranno frequenti
distrazioni, senza stizza né impacci né precipitazione, ma soavemente, come tutto
ciò che si fa col vostro aiuto, o Gesù, e fortemente, come tutto ciò che vuol
restare generosamente fedele a questo aiuto, io voglio ritornare all’atto di
adorazione.
Devote.
– Questo è il punto capitale. Tutto deve contribuire a rendere l’Ufficio e ogni
funzione liturgica un esercizio di pietà e perciò un atto del cuore.
«La fretta è la morte della devozione»: parlando
del Breviario e più ancora della Messa, S. Francesco di Sales dà come principio
questa massima. M’impongo quindi di consacrare circa mezz’ora alla mia Messa,
affinché non solamente il Canone, ma anche tutte le altre parti vengano
recitate piamente. Allontanerò, senza pietà, qualunque pretesto per compiere
alla svelta questo atto centrale della mia giornata. Se l’abitudine mi fa
troncare certe parole o cerimonie, mi sforzerò di procedere con molta calma in
queste parti difettose, anche esagerando nei tempi59.
Fatte le debite proporzioni, estenderò questa risoluzione
a tutte le altre funzioni liturgiche: Sacramenti, benedizioni, sepolture,
eccetera. Quanto al Breviario, avrò cura di prevedere in quali momenti lo
reciterò; giunto quel momento, mi ci atterrò ad ogni costo. A qualunque prezzo,
voglio che questa recita sia veramente una preghiera del cuore.
Ah sì, o mio divino Mediatore! Mantenete in me
l’orrore della precipitazione, quando tengo il vostro posto o agisco in nome
della Chiesa. Persuadetemi che la precipitazione paralizza quel gran
sacramentale che è la Liturgia e m’impedisce di conservare quello spirito di
orazione senza il quale, pur sembrando un sacerdote molto zelante, ai vostri
occhi non potrò esser altro che un tiepido, o meno ancora. Scolpite nella mia
coscienza questa frase tanto terribile, capace di farmi tremare: «maledetto
colui che compie con negligenza l’opera di Dio!» (Ger. 48, 10).
A volte, con uno slancio del cuore, abbraccerò
in una sintesi di fede il senso generale dei mistero ricordato dal ciclo
liturgico e ne nutrirò la mia anima.
Altre volte compirò un atto lungamente
assaporato, un atto di fede o di speranza, di desiderio o di pentimento,
d’offerta o d’amore.
Altre volte invece mi basterà un semplice
sguardo: sguardo intimo e costante su un mistero, su una perfezione di Dio, su
uno dei vostri attributi, o Gesù, sulla vostra Chiesa, sul mio nulla, sulle mie
miserie e sui miei bisogni, sulla mia dignità di cristiano, di sacerdote, di
religioso; questo sguardo sarà del tutto diverso dall’atto dell’intelligenza
durante uno studio teologico; sarà uno sguardo che accresce la fede, ma
soprattutto l’amore; uno sguardo che è solo un pallido riflesso della visione
beatifica, certo, ma che realizza già su questa terra quello che Voi avete
promesso alle anime pure e ferventi: «Beati i puri di cuore, perché vedranno
Dio» (Mt. 5, 8).
Così ogni cerimonia diventerà una rasserenante
diversione, vero respiro di quella mia anima che tendeva ad essere soffocata
dalle occupazioni.
O sacra Liturgia, qual balsamo fornisci alla mia
anima con le diverse funzioni! Bel lungi dall’essere una onerosa servitù, esse
costituiranno una delle più grandi consolazioni della mia vita.
Come potrebbe essere altrimenti, dal momento che
io, continuamente richiamato da te alla dignità di figlio e ambasciatore della
Chiesa, di membro e ministro di Gesù Cristo, andrò sempre più rivestendomi di
Colui che è la gioia degli eletti?
Unendomi a Lui, imparerò a trarre profitto dalle
croci di questa vita mortale per seminare le future messi della mia eterna felicità;
con la mia vita liturgica, più efficace di qualunque apostolato, avrò la
coscienza di trascinare dietro di me altre anime nella via della salvezza e
della santità.
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