Seconda Verità
Per mezzo di questa vita, Gesù Cristo mi
comunica il suo Spirito, divenendo così un principio di attività superiore che,
se non l’ostacolo, mi porta a pensare, a giudicare, ad amare, a volere, a
soffrire, a lavorare con Lui, in Lui, mediante Lui e come Lui. Le mie azioni
esteriori diventano la manifestazione della vita di Gesù in me ed in tal modo
io tendo a realizzare l’ideale della vita interiore formulato da san Paolo:
«Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me» (Gal. 2, 20).
Vita cristiana, pietà, vita interiore, santità,
non sono cose essenzialmente diverse, ma gradi di un medesimo amore; sono il
crepuscolo, l’aurora, la luce, lo splendore di un medesimo sole.
Quando in questo libro usiamo l’espressione
«vita interiore», non intendiamo tanto la vita interiore abituale, cioè – se
così possiamo esprimerci – «il capitale della vita divina» che è in noi con la
grazia santificante; intendiamo piuttosto la vita interiore attuale, ossia la
valorizzazione di questo capitale con l’attività dell’anima e la sua fedeltà
alle grazie attuali.
Posso pertanto così definire la vita interiore:
lo stato di attività di un’anima che reagisce per regolare le sue naturali
inclinazioni, e si sforza d’acquistare l’abitudine di giudicare e governarsi in
tutto secondo le luci del Vangelo e gli esempi di Nostro Signore.
Ci sono dunque due movimenti. Col primo, l’anima
si allontana da ciò che il creato può avere in opposizione alla vita
soprannaturale e cerca di essere continuamente presente a se stessa: aversio
a creaturis. Col secondo, l’anima va verso Dio per unirsi a Lui: conversio
ad Deum.
Quest’anima vuole perciò essere fedele alla
grazia che il Signore le offre in ogni momento; in una parola, vive unita a
Gesù e realizza in se stessa le parole: «Se uno rimane in me e io in lui,
costui porta gran frutto» (Gv. 15, 4).
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