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Dom Jean-Baptiste Gustave Chautard Anima di ogni Apostolato IntraText CT - Lettura del testo |
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, , I. Le opere di apostolato, mezzo di santità per le anime di vita interiore, divengono per le altre un pericolo per la loro salvezza 1. Mezzo di santità Alle anime che Egli associa al suo apostolato, il Signore domanda formalmente che non solo si conservino nella virtù ma vi progrediscano. Lo provano le lettere di San Paolo a Tito e a Timoteo e le esortazioni dell’Apocalisse ai Vescovi dell’Asia. D’altra parte, fin da principio abbiamo accertato che le opere sono volute da Dio. Vedere perciò nelle opere, in quanto tali, un ostacolo alla santificazione, ed affermare che, pur emanando dalla divina volontà, esse rallenteranno inevitabilmente il cammino verso la perfezione, sarebbe un’ingiuria ed una bestemmia contro la Sapienza, la Bontà e la Provvidenza divine. Non si può sfuggire a questo dilemma. O l’apostolato, sotto qualunque forma si presenti, se è voluto da Dio, non solo non produce di suo l’effetto di alterare l’atmosfera di solida virtù in cui deve trovarsi un’anima sollecita della sua salvezza e del suo progresso spirituale, ma anzi costituisce sempre per l’apostolo un mezzo di santificazione, qualora lo eserciti nelle debite condizioni. Oppure la persona scelta da Dio come cooperatrice, e perciò tenuta a rispondere alla divina chiamata, avrebbe il diritto di addurre l’attività, le fatiche e le preoccupazioni spese a favore dell’azione imposta, come legittime scusanti della sua negligenza nel santificarsi. Ora, in conseguenza dell’economia e del disegno divini, Dio, per riguardo a se stesso, deve concedere all’apostolo che ha eletto le grazie necessarie per realizzare l’unione delle occupazioni assorbenti non solo con la sicurezza della sua salute, ma anche con l’acquisto delle virtù fino alla santità. Gli aiuti che Egli concesse a un Bernardo, a un Francesco Saverio, è tenuto a concederli nella misura necessaria al più modesto operaio evangelico, al più umile religioso insegnante, alla più ignota suora ospedaliera. Questo è un vero e proprio debito del cuore di Dio verso lo strumento che si è scelto: non abbiamo timore a dirlo. Ed ogni apostolo che soddisfi alle condizioni richieste, deve avere un’assoluta fiducia nel suo rigoroso diritto a ricevere grazie necessarie a un genere di occupazioni che gli concedono come un’ipoteca sull’immenso tesoro di quegli aiuti divini. «Chi si occupa delle opere di carità – dice Alvarez De Paz – non deve pensare ch’esse gli precludano la via alla contemplazione e lo rendano meno capace di potervisi dedicare. Deve invece star ben sicuro che ve lo dispongono in modo mirabile. Questa verità non ce la insegnano solo la ragione e l’autorità dei Padri, ma anche la nostra esperienza quotidiana. Vediamo infatti anime dedite alle opere di carità verso il prossimo – confessando, predicando, insegnando il catechismo, visitando gli ammalati, eccetera – le quali sono elevate da Dio a un così alto grado di contemplazione, da poter a buon diritto essere paragonate agli antichi anacoreti»1. Con le parole «grado di contemplazione», l’eminente gesuita, come del resto tutti i maestri di vita spirituale, designa il dono dello spirito di orazione che caratterizza la sovrabbondanza della carità in un’anima. I sacrifici richiesti dall’azione attingono dalla gloria di Dio e dalla santificazione delle anime un tale valore soprannaturale, una tale fecondità di meriti, che l’uomo votato alla vita attiva, se lo vuole, può ogni giorno elevarsi di un grado nella carità e nell’unione con Dio, in una parola, nella santità. Indubbiamente in alcuni casi, in cui c’è pericolo grave e prossimo di peccato formale, particolarmente contro la fede e la purezza, Dio vuole che ci si allontani dalle opere. A parte questi casi, però, Egli dà ai suoi operai, mediante la vita interiore, il mezzo d’immunizzarsi e di progredire nella virtù. Individuiamo dunque in cosa consiste tale progresso. Ci aiuterà a precisare il nostro pensiero una frase paradossale di S. Teresa, così saggia e spirituale: «Dacché sono Priora, carica di numerose occupazioni e obbligata a frequenti viaggi, commetto molte più mancanze. Ciononostante, siccome combatto generosamente e non mi prodigo che per amor di Dio, sento che mi avvicino a Lui sempre di più». La sua debolezza si manifesta con maggior frequenza che nel riposo e nel silenzio del chiostro: la Santa lo constata ma non se ne turba. La generosità del tutto soprannaturale della sua dedizione e gli sforzi più accentuati di prima per la lotta spirituale, le forniscono in compenso occasioni di vittorie che controbilanciano largamente le sorprese d’una fragilità ch’esisteva anche prima, sebbene allo stato latente. Afferma S. Giovanni della Croce che la nostra unione con Dio sta tutta nell’unione della nostra volontà con la sua e solo da questa è misurata. Invece di vedere, per un falso concetto della spiritualità, la possibilità di progredire nell’unione con Dio solo nella tranquillità e nella solitudine, Santa Teresa giudica per contro che proprio l’attività imposta veramente da Dio ed esercitata nelle condizioni da Lui volute, alimentando il suo spirito di sacrificio, la sua umiltà, la sua abnegazione, il suo ardore e la sua dedizione per il regno di Dio, veniva ad accrescere l’unione intima dell’anima col Signore, che viveva in lei e animava le sue azioni, per incamminarla così verso la santità. Infatti, la santità consiste principalmente nella carità, e un’opera di apostolato, degna di tal nome, è carità in atto. «Probatio amoris exhibitio est operis», scrisse san Gregorio Magno: l’amore lo si prova con le opere di abnegazione e Dio esige dai suoi operai questa prova di generosità. La forma di carità che il Signore richiede all’apostolo come prova della sincerità delle reiterate testimonianze del suo amore è questa: «Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle». San Francesco d’Assisi credeva di non poter essere amico di Gesù Cristo, se la sua carità non si dedicava salute delle anime: «Non se amicum Chisti reputabat, nisi animas foveret quas ille redemit»2. E se Nostro Signore considera come fatte a lui stesso le opere di misericordia, anche corporali, ciò vuol dire ch’Egli vede in ognuna di queste un’irradiazione di quella medesima carità (Mt. 25, 40) che anima il missionario o sostiene l’anacoreta nelle sue privazioni, nelle lotte e nelle preghiere del deserto. La vita attiva si dedica alle opere di abnegazione. Essa marcia per i sentieri del sacrificio alla sequela di Gesù operaio, pastore, missionario, taumaturgo, medico universale, provveditore tenero ed infaticabile per tutti i bisogni di quaggiù. La vita attiva ricorda e vive di quelle parole del Maestro Divino: «Io sono in mezzo a voi come un servo» (Lc. 23, 27). «Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito ma per servire» (Mt. 20, 28). Essa va per i sentieri dell’umana miseria annunciando la parola che illumina, spandendo attorno una messe di grazie che fioriscono in benefici d’ogni genere. In virtù dei lumi della sua fede illuminata e delle intuizioni del suo amore, nel peggiore dei miserabili, nel più meschino dei sofferenti, essa scopre il Dio nudo, gemente, disprezzato da tutti, il grande lebbroso, il misterioso condannato che la giustizia eterna perseguita ed atterra sotto i suoi colpi, l’uomo dei dolori che Isaia vide innalzarsi nello spaventoso sfarzo delle sue piaghe, nella tragica porpora del suo sangue, talmente disfatto e devastato dai chiodi e dai flagelli, che si contorceva come un verme calpestato. L’abbiamo dunque visto, esclama il profeta, ma non l’abbiamo riconosciuto! (Is. 53, 2-5) «Ma tu, o vita attiva, tu lo riconosci bene e, con le ginocchia piegate a terra, con gli occhi pieni di pianto, lo servi nella persona dei poveri. «La vita attiva migliora l’umanità; fecondando il mondo con le sue generosità, le sue azioni ed i suoi sudori, essa getta nel cielo il seme dei suoi meriti. «Vita santa che Dio ricompensa, perché Egli dà il Paradiso tanto per il bicchiere d’acqua dato al povero, quanto per gli scritti del dottore e per i sudori dell’apostolo. E nell’ultimo giorno, davanti alla terra ed al cielo, canonizzerà tutte le opere di carità»3.
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1 D. Alvarez De Paz, De vita spirituali ejusque perfectioni, tomo III, lib. V. 2 S. Bonaventura, Vita sancti Francisci, cap. IX (trad. it. Vita di San Francesco, Edizioni Paoline, Roma 1988) 3 P. Léon, Lumière et flamme. Si noti che in questa citazione si tratta di una vita attiva piena di spirito di fede, fecondata dalla carità e proveniente da una intensa vita interiore. |
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