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Dom Jean-Baptiste Gustave Chautard
Anima di ogni Apostolato

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  • II. L’uomo d’azione senza la vita interiore
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II. L’uomo d’azione senza la vita interiore

Lo si può caratterizzare con questa frase: se non è ancora tiepido, sta fatalmente diventandolo. Orbene, esser tiepido – parliamo di una tiepidezza non di sentimento o di fragilità, ma di volontà – significa venire a patti con la dissipazione e la negligenza abitualmente acconsetite o non combattute, significa patteggiare col peccato veniale deliberato e, allo stesso tempo, togliere all’anima la sicurezza dell’eterna salvezza, disponendola al peccato mortale ed anzi conducendovela6. Questa è la dottrina di sant’Alfonso sulla tiepidezza, così bene illustrata dal suo discepolo il Padre Desurmont.

Ebbene, in qual modo l’uomo di azione, privo di vita interiore, scivola necessariamente nella tiepidezza? Sì, necessariamente: per provarlo bastano le parole di un vescovo missionario ai suoi sacerdoti, parole tanto più tremendamente vere, in quanto uscite da un cuore divorato dallo zelo per le opere e da uno spirito le cui tendenze erano diametralmente opposte a tutto ciò che rassomiglia al quietismo.

«Bisogna esserne ben persuasi – diceva il cardinale Lavigerie – Per un apostolo non vi è via di mezzo tra la sua santità compiuta, o almeno desiderata e perseguita con fedeltà e coraggio, e la perversione assoluta».

Ricordiamoci innanzitutto del germe di corruzione che la concupiscenza mantiene nella nostra natura, della guerra senza quartiere che ci fanno i nostri nemici interni ed esterni, dei pericoli che ci minacciano da ogni parte. Cerchiamo poi d’immaginare quel che avviene in un’anima che si dà all’apostolato senza premunirsi abbastanza contro i suoi pericoli.

Un tale sente nascere in sé il desiderio di dedicarsi alle opere, ma non ha alcuna esperienza. La sua brama di apostolo ci permette di credere che abbia ardore e una certa foga nel carattere, d’immaginarcelo entusiasta per l’azione e forse anche per la lotta. Lo supponiamo retto nella sua condotta, pio ed anche devoto, ma di una pietà più di sentimento che di volontà, di una devozione che non è riflesso di un’anima risoluta a non cercare altro che il beneplacito di Dio, ma è una pia pratica, dovuta a lodevoli abitudini. La meditazione, se ancora la pratica, non è che una sorta di fantasticheria, le letture spirituali non sono che un esercizio di curiosità privo di reale influenza sulla sua condotta. Può anche darsi che Satana lo induca a gustare – con l’illusione d’un senso artistico che la povera anima scambia per vita interiore – le letture che trattano le vie elevate e straordinarie dell’unione con Dio, ammirandole con entusiasmo. Ma in realtà ben poco, per non dir nulla, c’è di vita spirituale in quest’anima alla quale, concediamolo pure, rimangono numerose buone abitudini, molte qualità naturali e un certo desiderio sincero, ma troppo vago, di rimanere fedele a Dio.

Ed ecco il nostro apostolo che si dedica a questo ministero nuovo per lui, pieno del desiderio di lavorare alle opere. Ma ben presto, in forza delle stesse circostanze nate da queste nuove occupazioni (e lo sanno bene le persone abituate alle opere) sorgono mille occasioni per farlo vivere sempre più fuori di se stesso, mille allettamenti per la sua ingenua curiosità, mille occasioni di cadute, dalle quali possiamo credere che fino ad allora era stato protetto dall’atmosfera tranquilla del focolare domestico, del seminario, della comunità, del noviziato, o almeno la vigilanza di una saggia guida.

Non soltanto la crescente dissipazione o la pericolosa curiosità di tutto conoscere, le impazienze o le suscettibilità, la vanità o la gelosia, la presunzione o l’abbattimento, la parzialità o la denigrazione, ma anche il progressivo avanzamento delle debolezze del cuore e di tutte le forme più o meno sottili della sensualità, costringeranno ad una lotta senza tregua quest’anima mal preparata a così duri e continui assalti. Perciò frequenti saranno le ferite.

Ma penserà almeno a resistere, quest’anima dalla pietà superficiale, mentre è tutta assorbita dalla soddisfazione già troppo naturale di spendere la sua attività e i suoi talenti per una eccellente causa? Satana poi è sempre in agguato, fiuta già la preda e, lungi dal contrariare tale soddisfazione, l’eccita con tutta sua forza.

Arriva pertanto un giorno in cui si intravede il pericolo: l’angelo custode ha parlato e la coscienza reclama. Bisognerebbe tornare padroni di sé, esaminarsi nella calma di un ritiro spirituale, prendere la risoluzione di attenersi rigorosamente ad un regolamento, che non va tralasciato mai, anche a costo di trascurare per questo certe occupazioni che s’erano prese a cuore. Ma ahimé, ormai è troppo tardi! L’anima, che ha già assaporato il piacere di vedere coronati i suoi sforzi dai più incoraggianti successi, esclama sempre: «domani, domani! Oggi è impossibile: manca il tempo, perché debbo continuare quella serie di discorsi, scrivere questo articolo, organizzare quel sindacato o quell’associazione di carità, preparare quella rappresentazione teatrale, fare quel viaggio, sbrigare la mia corrispondenza, eccetera».

Com’è lieta quest’anima di potersi giustificare con tali pretesti! Il fatto è che il solo pensiero di confrontarsi con la propria coscienza le è divenuto insopportabile. E’ giunto il momento in cui il diavolo può lavorare con piena facilità alla rovina di un cuore che si fa così volentieri suo complice. Il terreno è pronto per questo: l’azione era divenuta per la sua vittima una passione e il diavolo la rende febbricitante. Dimenticare il tumulto degli affari per raccogliersi, le pareva già una cosa insopportabile; il demonio gliene ispira l’orrore, e per giunta non manca d’inebriare quell’anima con nuovi progetti ch’egli abilmente maschera col pretesto della gloria di Dio e del maggior bene delle anime.

Ed ecco che quest’uomo, fino a poco tempo fa pieno di abitudini virtuose, passando da debolezza a debolezza sempre più grave, arriva a porre il piede su un pendio ch’è troppo sdrucciolevole per potersi fermare nella caduta. Ma l’infelice, pur avendo una vaga coscienza che tutta la sua agitazione non è secondo il cuore di Dio, per soffocare i rimorsi, si slancia nel turbine con la massima passione. Le mancanze si accumulano fatalmente e ciò che altre volte turbava la retta coscienza di quest’anima, ora non è più che un vano e spregevole scrupolo. Volentieri essa proclama che bisogna saper esser del proprio tempo e lottare coi nemici ad armi pari; per questo esalta le «virtù attive», dimostrando solo disprezzo per quella che essa chiama sdegnosamente «pietà d’altri tempi». D’altra parte, le sue opere prosperano più che mai, il pubblico le ammira, ogni giorno vede spuntare nuovi successi. «Dio benedice la mia opera», esclama l’anima illusa, sulla quale forse piangeranno domani gli angeli del cielo per le sue gravi colpe.

Come mai quest’anima è caduta in uno stato così deplorevole? Con l’inesperienza, la presunzione, la vanità, l’imprevidenza e la viltà. Essa si è lanciata avventurosamente tra i pericoli, senza valutare le sue scarse risorse spirituali. Una volta esaurite le riserve della vita interiore, si è trovata nella situazione del navigante temerario che non ha più forza di lottare contro corrente e si lascia trascinare verso l’abisso.

Fermiamoci dunque un momento per misurare da vicino la china percorsa e la profondità dell’abisso. Procediamo con ordine e numeriamo le tappe.




6 Dall’insegnamento di san Tommaso risulta che, quando l’anima in stato di grazia pone un atto in sé buono ma privo del grado di fervore che Dio ha diritto di attendersi nello stato in cui ella si trova, questo atto la dispone a diminuire il grado di carità avuto. Così si spiegano i passi della Scrittura: «Maledetto colui che compie l’opera di Dio con negligenza»; «Poiché sei tiepido, ti vomiterò dalla mia bocca».
Inoltre, ogni peccato veniale, pur non diminuendo lo stato di grazia, ne diminuisce tuttavia il fervore, disponendo quindi l’anima al peccato mortale. Ora, senza una seria vita interiore, l’accumularsi di numerosi peccati veniali non combattuti, spesso anzi nemmeno avvertiti, viene tuttavia imputato all’anima dissipata o rammollita che ha cessato di vivere il motto «vigilate e pregate».
Così san Tommaso spiega la citata espressione «maledette occupazioni» e il successivo sviluppo di questo nostro capitolo (cfr. Summa theologica, I-IIae, q. 52, a. 3)






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