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Dom Jean-Baptiste Gustave Chautard Anima di ogni Apostolato IntraText CT - Lettura del testo |
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Quarta tappa Tutto si concatena: l’abisso chiama l’abisso. I Sacramenti! Essi vengono ancora ricevuti e amministrati con rispetto, senza dubbio, ma non si sente più palpitare la vita che contengono. La presenza di Gesù Cristo nel tabernacolo o nel sacro tribunale della Confessione non è più capace di far vibrare le corde della fede fino al midollo dell’anima. La Messa stessa, che è il sacrificio del Calvario, è come un giardino isolato. L’anima certamente è ancor lontana dal sacrilegio, vogliamo crederlo, ma non sente più il calore del sangue divino. Le sue consacrazioni sono fredde e le sue comunioni tiepide, distratte, superficiali: già l’insidiano la familiarità irrispettosa, l’abitudine e forse il disgusto. L’apostolo così deformato vive fuori di Gesù e non è più favorito da quelle parole intime che Egli vuol dire solo ai suoi veri amici. Di tanto in tanto, tuttavia, l’Amico celeste gl’invia un rimorso, una luce, un richiamo: «vieni a me, povera anima ferita, vieni, ché io ti guarirò» – «Venite ad me omnes et ego reficiam vos» (Mt. 11, 28) – perché io sono la tua salute – «Salus tua ego sum» (Ps. 34) – «sono venuto a salvare ciò che era perduto»: «Venit Filius hominis quaerere et salvum facere quod perierat» (Lc. 19, 10). Questa voce tanto dolce, tenera, discreta e premurosa, procura momenti di emozione, velleità di migliorare; ma siccome la porta del cuore viene appena socchiusa, Gesù non può entrare, e questi buoni movimenti dell’anima rimangono senza effetto. La grazia passa invano e finisce col ritorcersi contro l’anima stessa. Può darsi pure che Gesù, nella sua misericordia, per non ammassare cumuli di collera, cessi dal parlare: «Temi Gesù che passa ma più non torna» (S. Agostino). Ma andiamo avanti e penetriamo nell’intimo di quest’anima di cui stiamo facendo il ritratto. Il ruolo dei pensieri è preponderante nella vita soprannaturale, come lo è per quella intellettuale e morale. Ma quali sono i pensieri che occupano quest’anima, e a quale corrente obbediscono? Umani, terreni, vani, superficiali ed egoistici, questi pensieri convergono sempre più verso l’io o verso le creature, spesso presentandosi con apparenze di abnegazione e di sacrificio. A questo disordine nell’intelligenza corrisponde il disordine nell’immaginazione. Nessuna potenza dell’anima va repressa quanto questa; eppure qui non si pensa nemmeno di frenarla. Sicché, a briglia sciolta, essa corre come una pazza verso tutti i traviamenti, tutte le follie. La progressiva soppressione della mortificazione degli occhi permette alla «pazza di casa» di trovare un po’ dovunque abbondante pascolo. Il disordine segue il suo corso: dall’intelligenza e dall’immaginazione discende negli affetti. Il cuore si pasce ormai solo d’illusioni. Cosa diventerà questo cuore dissipato che non si preoccupa quasi più del Regno di Dio in lui e che è divenuto insensibile agl’intimi colloqui con Gesù, alla sublime poesia dei misteri, alle austere bellezze della liturgia, agli appelli ed alle attrattive del Dio Eucaristico, che è insomma diventato insensibile agli influssi del mondo soprannaturale? Si chiuderà in se stesso? Ma questo sarebbe un suicidio. No: egli ha bisogno di affetto. Perciò, non trovando più felicità in Dio, amerà le creature. Rimane in balìa della prima occasione e vi si getta imprudentemente, perdutamente, forse senza preoccuparsi più dei voti più sacri, né del maggior bene della Chiesa e nemmeno della propria reputazione. Forse la prospettiva dell’apostasia lo sgomenta ancora, e profondamente, ma lo scandalo delle anime lo spaventa sempre meno. Grazie a Dio, l’andare così fino in fondo è per certo una rara eccezione. Ma come non capire che il disgusto di Dio e il cedimento ai piaceri proibiti può portare il cuore alle peggiori sciagure? Dall’ «uomo animale» che «non comprende le cose dello Spirito divino» (1 Cor. 2, 14), si scende necessariamente al livello di «coloro che erano stati allevati nella porpora ma ora sguazzano nello sterco» (Ger., Lam., 4, 5). L’ostinata illusione, l’accecamento della mente, l’indurimento del cuore vanno progredendo, e ci si può attendere di tutto. Per colmo di sventura, benché non sia ancora distrutta, la volontà è ridotta ad uno stato d’indebolimento e di mollezza che equivale quasi all’impotenza. Se gli domandate, non dico di reagire energicamente, il che sarebbe inutile, ma solo di tentare un misero sforzo, non otterrete che questa scoraggiante risposta: «Non posso». Ora, non essere più capace di uno sforzo, significa incaminarsi verso le peggiori catastrofi. Un noto empio osò dire che non poteva credere alla fedeltà ai voti e agli obblighi monastici in certe anime immischiate, per la loro azione, nella vita del secolo. «Esse camminano su una corda tesa – diceva – e le loro cadute sono inevitabili.» A questa ingiuria a Dio ed alla Chiesa, bisogna rispondere senza esitare che tali cadute si evitano sicuramente se si sa ben adoperare il prezioso bilanciere della vita interiore, e che solo all’abbandono di questo mezzo infallibile vanno attribuite le vertigini e i passi falsi e scandalosi verso il precipizio. L’ammirevole gesuita padre Lallemant risale alla causa originale di questa catastrofe quando dice: «Molti uomini apostolici non fanno nulla unicamente per Dio. In tutto essi cercano se stessi e, anche nelle migliori imprese, mescolano sempre segretamente il loro interesse con la gloria di Dio. Passano così la vita in una mescolanza di natura e di grazia. Alla fine viene la morte e solo allora aprono gli occhi, vedendo la loro illusione e tremando all’avvicinarsi del temibile giudizio di Dio»7. Tra gli apostoli che predicano se stessi, sono certo ben lungi dall’annoverare quello zelante e potente missionario che fu il celebre padre Combalot. Non sarà tuttavia fuori luogo citare le parole ch’egli disse in punto di morte. Il sacerdote che gli aveva amministrato l’estrema unzione gli andava dicendo: «Abbiate fiducia, caro amico! Avete mantenuta integra la vostra vita di sacerdote, e le vostre migliaia di prediche vi scuseranno davanti a Dio della insufficienza di vita interiore che lamentate». Il moribondo rispose: «Le mie prediche? Ahimé, sotto qual luce ora le valuto! Se non sarà il Signore a parlarmene, non sarò certo io a farlo!». Al lume dell’eternità, quel venerando sacerdote vedeva, nelle sue migliori opere di zelo, delle imperfezioni che allarmavano la sua coscienza perché le attribuiva a manchevolezza della sua vita interiore. Il cardinale Du Perron, al momento della morte, esprimeva il pentimento per essersi dedicato nella sua vita più a perferzionare l’intelligenza con gli studi scientifici che non la volontà con gli esercizi della vita interiore. O Gesù, Apostolo per eccellenza, chi mai si è prodigato come Voi quando abitavate fra gli uomini? Oggi Vi donate ancora più abbondantemente con la vostra vita eucaristica; tuttavia non abbandonate mai il seno del vostro Padre! Fate che noi non dimentichiamo mai che Voi non vorrete considerare le nostre opere, se non sono animate da un principio veramente soprannaturale e se non sono radicate nel vostro Cuore adorabile!
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7 P. Lallemant, La dottrina spirituale, ed. it. cit. |
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