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Dom Jean-Baptiste Gustave Chautard Anima di ogni Apostolato IntraText CT - Lettura del testo |
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Con la vita interiore l’apostolo irradia la mortificazione Un altro principio che feconda le opere è lo spirito di mortificazione. Tutto si riassume nella Croce. Finché non avremo fatto penetrare nelle anime il mistero della Croce, le avremo soltanto sfiorate. Ma chi potrà far accettare un mistero che ripugna a quell’orrore della sofferenza tanto naturale all’umana creatura? Solo colui che potrà dire col grande Apostolo: «Sono crocifisso insieme a Cristo» (Gal. 2, 19), solo coloro che portano in loro stessi Gesù mortificato: «Portiamo sempre nel nostro corpo il martirio di Gesù, affinché anche la Sua vita si manifesti nel nostro corpo» (2 Cor. 4, 10). Mortificarsi è riprodurre il «Cristo non cercò la propria soddisfazione» (Rom. 15, 3), significa rinunziare a se stessi in ogni circostanza, significa giungere ad amare ciò che non piace, significa infine tendere all’ideale di essere una vittima continuamente immolata. Ma senza la vita interiore non è possibile giungere a questo radicale rovesciamento dei nostri più tenaci istinti. Mentre il Poverello di Assisi, attraversando in silenzio le vie della città, predica col suo solo aspetto il mistero della Croce, l’apostolo non mortificato ripeterebbe invano gli splendidi accenti di Bossuet nel suo discorso sul Calvario. Il mondo è talmente impantanato nelle concupiscenze che, per demolire la sua cittadella, non bastano davvero gli argomenti comuni e neppure gli spunti grandiosi. Ci vuole la Passione resa come percepibile per opera della mortificazione e del distacco del ministro di Dio. «Inimicos Crucis Christi!», ripeterebbe San Paolo, «nemici della Croce di Cristo» quei numerosi cristiani che concepiscono la religione come una forma di snobismo, un’abitudine a pratiche esteriori trasmesse per tradizione, compiute regolarmente e con rispetto, certo, ma senza collegarle affatto all’emendazione della vita, alla lotta contro le passioni e all’introduzione dello spirito del Vangelo nei costumi. «Questo popolo fa finta di onorarmi – potrebbe ripetere il Signore – ma lo fa solo con le labbra, perché il suo cuore è lontano da me» (Mt. 15, 8, che cita Is. 29, 13). «Inimicos Crucis Christi!», nemici della Croce, quei cristiani rammolliti che ritengono indispensabile circondarsi di tutte le comodità, piegarsi a tutte le esigenze del mondo, abbandonarsi ai suoi disordinati piaceri, seguire appassionatamente tutte le mode... e poi si sentono urtati da quella parola ch’essi non comprendono più, ma che pure Gesù disse a tutti: «Se non farete penitenza, perirete tutti allo stesso modo» (Lc. 13, 3). La croce è divenuta per loro uno scandalo, conformemente all’espressione di san Paolo (1 Cor. 1, 23). Eppure, senza la vita interiore, può l’apostolo produrre dei cristiani diversi da questi? Una numerosa partecipazione popolare a certe funzioni religiose soddisferà senza dubbio il cuore del vero sacerdote. Ma lo lascerà senza entusiasmo, se non potrà attribuire tale partecipazione che all’abitudine, ad una fedeltà rispettabile verso certe usanze di famiglia, a certe usanze che non scomodano per nulla il corso della vita; oppure se ne troverà la causa nel piacere di gustare una buona musica, di ammirare un magnifico apparato liturgico, oppure di assistere ad un esercizio di eloquenza ammirato solo per il suo aspetto formale. Almeno, sembrerebbe, non potrà rifiutare questo entusiasmo davanti alla Comunione frequente. Mi torna alla mente un ricordo del mio viaggio negli Stati Uniti. Attraversando certe parrocchie, ero entusiasta nell’apprendere che numerosi uomini erano fedeli alla Comunione del primo venerdì del mese. Ma un santo prete di New York mi disse: «L’uomo guarda la faccia ma Dio scruta il cuore12. Non dimenticate che siete in un Paese in cui il rispetto umano è sconosciuto e dove dappertutto regna il gusto del sensazionale. Riservate la vostra ammirazione per quelle parrocchie in cui l’accorto osservatore può constatare che le Comunioni frequenti manifestano davvero, se non la completa emendazione della vita, almeno sforzi sinceri di vita cristiana e un desiderio leale di non venire a compromesso con l’intemperanza, la sfrenata ricerca del denaro, eccetera». Lungi da me il pensiero di svalutare le più minime tracce di vita cristiana, di qualsiasi tipo. Con queste mie parole intendo piuttosto deplorare quella triste incapacità – in cui potremmo cadere, per la mancanza di vita interiore – di non produrre altro che risultati molto miseri, benché non disprezzabili. Il Signore vuole da noi soltanto il cuore: per conquistarlo, per possedere la nostra volontà, per animarci a seguirlo nella via della rinunzia, Egli è venuto a rivelare all’uomo le sublimi verità della fede. Di far nascere questa rinunzia, base di ogni perfezione morale, ne sarà capace solo l’apostolo abituato alla vita interiore, ch’è tutta fondata sul «rinneghi se stesso» (Mt. 16, 24); ne sarà invece incapace colui che segue troppo da lontano il Salvatore carico della croce: «Nessuno può dare ciò che non ha». Se egli stesso è codardo nell’imitare Gesù Crocifisso, come potrà predicare al suo popolo quella guerra santa contro le passioni, alla quale Nostro Signore ci chiama? Solo l’apostolo disinteressato, umile e casto può trascinare le anime a lottare contro le ondate sempre crescenti della cupidigia, dell’ambizione e dell’impudicizia. Soltanto colui che conosce la scienza del Crocifisso è abbastanza potente da opporre una diga a quella continua ricerca delle comodità, a quel culto del piacere che minacciano di sommergere tutto e di rovesciare le famiglie e le nazioni. Predicare Gesù crocifisso: così san Paolo riassume il suo apostolato; siccome egli vive di Gesù, e di Gesù crocifisso, riesce a far gustare alle anime il mistero della Croce e ad insegnar loro a viverlo. Troppi apostoli moderni non hanno abbastanza vita interiore per approfondire questo mistero di vita, per esserne penetrati ed irradiarlo intorno a loro. Troppo esclusivamente essi considerano nella religione gli aspetti filosofici, sociali o addirittura estetici, capaci solo di interessare l’intelligenza o di eccitare la sensibilità e l’immaginazione; troppo lusingano la loro tendenza a vedere nella religione soprattutto una scuola di poesia sublime e di arte incomparabile. La religione ha certamente tutte queste qualità; ma vederla soltanto sotto questi aspetti secondari, significa assolutamente deformare il piano del Vangelo elevando a scopo ciò che è soltanto un mezzo. Il Cristo del Getsemani, del Pretorio e del Calvario, trasformarlo in un bellimbusto, è un sacrilegio. Dopo il peccato originale, la penitenza, la riparazione e la lotta spirituale sono divenute condizioni indispensabili di vita, e la Croce di Gesù Cristo ce lo ricorda in ogni circostanza. Allo zelo del Verbo Incarnato per la gloria del Padre Suo, non basta ottenere degli ammiratori: vuole avere imitatori. Nella sua enciclica del 1° novembre 191413, Benedetto XV ha invitato i veri apostoli a tracciare un più profondo solco, allo scopo di strappare le anime dall’amore delle comodità, dall’egoismo, dalla leggerezza dei gusti, dall’oblio dei beni soprannaturali. Ciò significa fare appello alla vita interiore dei ministri del divino Crocifisso. Quel Dio che tanto ci ha dato esige che il cristiano, fin dall’età della ragione, unisca alla sanguinosa Passione di Gesù qualcosa di se stesso, cioè quello che potremmo chiamare il sangue della sua anima, ossia i sacrifici necessari per osservare le leggi divine. Ma come potrà il fedele compiere generosamente questi sacrifici dei beni, dei piaceri e degli onori, se non è attirato dall’esempio di un pastore di anime che sia per primo abituato allo spirito di sacrificio? Dinanzi allo spettacolo delle reiterate vittorie del nemico infernale, ci si domanda ansiosamente: donde verrà la salvezza della società? Quando toccherà alla Chiesa di trionfare? E’ facile rispondere con le parole del Maestro divino: «Questo genere di demoni lo si può scacciare solo con la preghiera e il digiuno» (Mt. 17, 20). Quando dalle schiere del sacerdozio e della religiosa milizia uscirà una pleiade di uomini penitenti che facciano risplendere in mezzo ai popoli il mistero della Croce, allora questi popoli, contemplando nel sacerdote o nel religioso mortificato le riparazioni per i peccati del mondo, comprenderanno la Redenzione operata dal Sangue di Gesù Cristo. Solo allora l’esercito di Satana indietreggerà; avendo Dio finalmente trovato anime riparatrici, solo allora non risuonerà più attraverso i secoli l’eco terribile del doloroso lamento del Signore oltraggiato: «Ho cercato fra loro un uomo che vi ponesse rimedio, che si levasse a difesa del popolo per evitare che lo sterminassi, ma non l’ho trovato!» (Ez. 22, 30). Oualcuno ha voluto spiegare perché mai un semplice segno di croce fatto dal padre de Ravignan produceva un effetto così magico sugli indifferenti e persino sugli stessi empi venuti ad ascoltarlo per mera curiosità. La conclusione delle domande rivolte a molti uditori, fu che l’austerità della vita intima del predicatore si manifestava in maniera avvincente in quel segno di croce che lo univa al mistero del Calvario.
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12 «Homo videt in facie, Deus autem in corde» (cfr. Breviarium Romanun). 13 Benedetto XV, Ad beatissimi Apostolorum principis, enciclica del 1° novembre 1914; cfr. A.A.S., VI (1914), pp. 565-581. |
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