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Dom Jean-Baptiste Gustave Chautard Anima di ogni Apostolato IntraText CT - Lettura del testo |
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c) Compimento delle funzioni liturgiche Il compiere bene le funzioni liturgiche è un dono della vostra munificenza, o mio Dio. «Omnipotente e misericordioso Iddio, alla cui generosità dobbiamo che i tuoi fedeli possano servirti degnamente e lodevolmente...»56. Degnatevi di concedermi questo dono, o Signore; durante l’atto liturgico voglio rimanere adoratore. Questa parola riassume tutti i metodi. La mia volontà ha gettato e mantiene il mio cuore davanti alla Maestà di Dio. Io racchiudo tutto il mio lavoro in quelle tre parole – digne, attente, devote – della preghiera «Aperi»57, che esprimono molto bene quale dev’essere l’atteggiamento del mio corpo, della mia intelligenza e del mio cuore. Digne. – Con il contegno rispettoso, con la pronunzia esatta delle parole, pronunciandole con maggior lentezza nelle parti principali, con la scrupolosa osservanza delle rubriche, con il tono di voce, con la maniera di fare i segni di croce, le genuflessioni, eccetera, il mio corpo manifesterà non solo che sono ben conscio della Persona alla quale mi rivolgo, di ciò che dico e di quale apostolato posso talvolta esercitare58, ma anche che è il mio cuore ad agire. Nelle corti dei sovrani terreni, anche i semplici servitori stimano grandi le minime cariche e prendono, inconsciamente, un contegno maestoso e solenne. Questa distinzione, che si manifesta nell’atteggiamento d’animo e nella dignità del comportamento nell’esercizio delle funzioni, non potrò forse arrivare ad acquistarla, io che faccio parte della guardia d’onore del Re dei re e del Dio di ogni maestà? Attente. – Il mio spirito sarà pieno di ardore per succhiare dalle parole e dai sacri riti tutto ciò che potrà nutrire il mio cuore. A volte la mia attenzione si fermerà al senso letterale dei testi; sia seguendo ogni frase, sia meditando a lungo per tutto il tempo della recita su di una parola che più mi ha colpito, finché non sentirò il bisogno di scoprire in un altro fiore il miele della devozione, in entrambi i casi io resto fedele al «mens concordet voci». A volte la mia intelligenza si occuperà del mistero del giorno o dell’idea principale del tempo liturgico. Ma il suo ruolo resterà secondario, se paragonato a quello della volontà, di cui sarà soltanto la provveditrice, per aiutarla a mantenersi in adorazione o a ritornare a questo atteggiamento. Anche se sopraggiungeranno frequenti distrazioni, senza stizza né impacci né precipitazione, ma soavemente, come tutto ciò che si fa col vostro aiuto, o Gesù, e fortemente, come tutto ciò che vuol restare generosamente fedele a questo aiuto, io voglio ritornare all’atto di adorazione. Devote. – Questo è il punto capitale. Tutto deve contribuire a rendere l’Ufficio e ogni funzione liturgica un esercizio di pietà e perciò un atto del cuore. «La fretta è la morte della devozione»: parlando del Breviario e più ancora della Messa, S. Francesco di Sales dà come principio questa massima. M’impongo quindi di consacrare circa mezz’ora alla mia Messa, affinché non solamente il Canone, ma anche tutte le altre parti vengano recitate piamente. Allontanerò, senza pietà, qualunque pretesto per compiere alla svelta questo atto centrale della mia giornata. Se l’abitudine mi fa troncare certe parole o cerimonie, mi sforzerò di procedere con molta calma in queste parti difettose, anche esagerando nei tempi59. Fatte le debite proporzioni, estenderò questa risoluzione a tutte le altre funzioni liturgiche: Sacramenti, benedizioni, sepolture, eccetera. Quanto al Breviario, avrò cura di prevedere in quali momenti lo reciterò; giunto quel momento, mi ci atterrò ad ogni costo. A qualunque prezzo, voglio che questa recita sia veramente una preghiera del cuore. Ah sì, o mio divino Mediatore! Mantenete in me l’orrore della precipitazione, quando tengo il vostro posto o agisco in nome della Chiesa. Persuadetemi che la precipitazione paralizza quel gran sacramentale che è la Liturgia e m’impedisce di conservare quello spirito di orazione senza il quale, pur sembrando un sacerdote molto zelante, ai vostri occhi non potrò esser altro che un tiepido, o meno ancora. Scolpite nella mia coscienza questa frase tanto terribile, capace di farmi tremare: «maledetto colui che compie con negligenza l’opera di Dio!» (Ger. 48, 10). A volte, con uno slancio del cuore, abbraccerò in una sintesi di fede il senso generale dei mistero ricordato dal ciclo liturgico e ne nutrirò la mia anima. Altre volte compirò un atto lungamente assaporato, un atto di fede o di speranza, di desiderio o di pentimento, d’offerta o d’amore. Altre volte invece mi basterà un semplice sguardo: sguardo intimo e costante su un mistero, su una perfezione di Dio, su uno dei vostri attributi, o Gesù, sulla vostra Chiesa, sul mio nulla, sulle mie miserie e sui miei bisogni, sulla mia dignità di cristiano, di sacerdote, di religioso; questo sguardo sarà del tutto diverso dall’atto dell’intelligenza durante uno studio teologico; sarà uno sguardo che accresce la fede, ma soprattutto l’amore; uno sguardo che è solo un pallido riflesso della visione beatifica, certo, ma che realizza già su questa terra quello che Voi avete promesso alle anime pure e ferventi: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt. 5, 8). Così ogni cerimonia diventerà una rasserenante diversione, vero respiro di quella mia anima che tendeva ad essere soffocata dalle occupazioni. O sacra Liturgia, qual balsamo fornisci alla mia anima con le diverse funzioni! Bel lungi dall’essere una onerosa servitù, esse costituiranno una delle più grandi consolazioni della mia vita. Come potrebbe essere altrimenti, dal momento che io, continuamente richiamato da te alla dignità di figlio e ambasciatore della Chiesa, di membro e ministro di Gesù Cristo, andrò sempre più rivestendomi di Colui che è la gioia degli eletti? Unendomi a Lui, imparerò a trarre profitto dalle croci di questa vita mortale per seminare le future messi della mia eterna felicità; con la mia vita liturgica, più efficace di qualunque apostolato, avrò la coscienza di trascinare dietro di me altre anime nella via della salvezza e della santità.
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56 Orazione della Domenica XII dopo Pentecoste. 57 E’ la preghiera che prepara alla recita del Breviario. 58 Apostolato... oppure scandalo! In molte anime che vedono la religione attraverso un vago intellettualismo o ritualismo, una predica data da un prete mediocre è spesso ben meno efficace che l’apostolato di un vero prete la cui grande fede, compunzione e pietà s’irraggiano in occasione di un Battesimo, di un funerale e soprattutto di una Messa. Parole e riti sono le frecce capaci di commuovere quei cuori. La Liturgia così vissuta riflette a loro il Mistero certo, l’Invisibile esistente, e li invita a invocare quel Gesù da loro quasi sconosciuto, ma col quale sentono che quel prete è in intima comunicazione. Per contro, ci sarà attenuazione o perdita della fede, quando i presenti esclamano disgustati: «No, non è proprio possibile che questo prete creda in Dio e lo tema, dato che celebra, battezza, recita preghiere e cerimonie in questo modo!» Che responsabilità! Chi oserebbe sostenere che tali scandali non siano oggetto di un severo giudizio? Quale influenza possono avere sui fedeli la manifestazione del timore riverenziale o al contrario la sciatteria nelle funzioni sacre! Quand’ero studente universitario e sottratto a ogni influenza del clero, io ebbi casualmente occasione di osservare a sua insaputa un sacerdote che recitava il suo Breviario. Il suo contegno pieno di rispetto e di pietà fu per me una rivelazione e avvertii fortemente il bisogno di pregare, anzi di pregare cercando d’imitare quel prete. La Chiesa mi appariva come concretizzata in quel suo degno ministro che era in comunione con Dio. All’opposto, un’anima leale mi confidò: «vedendo fino e che punto il mio parroco sbrigava la sua Messa, ne fui sconvolta e convinta ch’egli non poteva avere la fede; da allora, smisi di pregare e perfino di credere, e sono stata tenuta lontana dalla Chiesa da una sorta di disgusto causato dal timore di riveder celebrare quel prete». 59 Volendo caricaturare una persona che parla capricciosamente e senza badare a ciò che dice, uno scrittore del secolo scorso, famoso tanto per la sua empietà quanto per l’efficacia delle sue descrizioni, non trovava miglior paragone che questo: «come un prete che sbriga la sua Messa». |
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