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Dom Jean-Baptiste Gustave Chautard Anima di ogni Apostolato IntraText CT - Lettura del testo |
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VI. Risposta ad una seconda obiezione: la vita interiore è egoistica? Non parliamo qui del pigro né del goloso spirituale, che fanno consistere la vita interiore nelle gioie di una piacevole oziosità e cercano più le consolazioni di Dio che il Dio delle consolazioni: costoro non hanno che una falsa pietà. Ma colui che, per leggerezza o per pregiudizio, definisce egoistica la vita interiore, non l’ha certo compresa meglio. Abbiamo già detto che questa vita è la sorgente pura e ricca delle più generose opere di carità verso le anime e della carità che allieva le miserie terrene. Ora esaminiamo l’utilità di questa vita sotto un altro aspetto. Egoistica e sterile sarebbe dunque la vita interiore di Maria e di Giuseppe? Che bestemmia e che assurdità! Eppure, a loro non viene attribuita nessuna opera esteriore. Ma l’irradiazione sul mondo di una intensa vita interiore e i meriti delle preghiere e dei sacrifici applicati all’estensione dei benefici della Redenzione, sono bastati da soli a costituire Maria Regina degli Apostoli e san Giuseppe Patrono della Chiesa Universale16. Lo sciocco presuntuoso, che solo vede le sue opere esteriori ed i loro risultati, non fa che ripetere le parole di Marta: «Mia sorella mi ha lasciata sola a servire!» (Lc. 10, 40). La sua fatuità e la sua scarsa comprensione delle vie divine non arrivano al punto di fargli supporre che Dio non sappia quasi fare a meno di lui. Ma intanto ripete volentieri con Marta, incapace di apprezzare la vita contemplativa della sorella: «Dille dunque che mi aiuti» (Lc. 10, 40), e magari giunge ad esclamare: «A che pro tutto questo spreco?» (Mt. 24, 8), rimproverando come uno perdita di tempo i momenti che i suoi fratelli di apostolato, i quali fan più vita interiore di lui, si riservano per assicurare la loro unione con Dio. «Io santifico me stesso per loro, affinché essi pure siano santificati nella verità» (Gv. 17, 19): ecco come risponde l’anima che ha compreso tutta la portata della parola del Maestro. Conoscendo il valore della preghiera, alle lacrime ed al sangue del Redentore quest’anima unisce le lacrime dei suoi occhi e il sangue di un cuore che si purifica ogni giorno di più. Con Gesù, l’anima di vita interiore sente la voce dei delitti del mondo salire verso il cielo e domandare sui loro autori un castigo di cui essa ritarda l’esecuzione con l’onnipotenza della supplica, capace di trattenere la mano di Dio pronta a scagliare i fulmini. «Coloro che pregano – diceva dopo la sua conversione l’eminente statista Juan Donoso Cortés – fanno per il mondo più di quelli che combattono, e se il mondo va di male in peggio, ciò è dovuto al fatto che vi sono più battaglie che preghiere». «Le mani alzate – diceva Bossuet – sbaragliano più battaglioni di quelle che colpiscono». E i solitari della Tebaide, anche in mezzo al deserto, avevano spesso nel cuore il fuoco che bruciava San Francesco Saverio. Sembrava – dice Sant’Agostino – che avessero abbandonato il mondo più di quanto era necessario: «Videntur nonnullis res humanas plus quam oportet, deseruisse»; ma non si riflette – aggiungeva – che le loro preghiere, rese più pure dal loro grande distacco dal mondo, diventavano più efficaci e più necessarie a questo mondo corrotto. Una preghiera breve, ma fervente, di norma affretterà una conversione ben più che lunghe discussioni e discorsi. Colui che prega tratta con la Causa prima e agisce direttamente su di essa, ed ha in mano tutte le cause seconde, perché queste ricevono la loro efficacia unicamente da questo Principio superiore. Perciò l’effetto desiderato viene allora ottenuto più sicuramente e più presto. Secondo un’attendibile rivelazione, diecimila eretici furono convertiti da una sola preghiera infuocata della serafica Santa Teresa, la cui anima incendiata per Cristo non poteva comprendere una vita contemplativa che si disinteressasse della sollecitudine del Salvatore per la conversione delle anime. «Accetterei il purgatorio fino al giorno del Giudizio universale – diceva – pur di liberare una sola di esse. Poco importa la durata delle mie sofferenze, se così potrò liberare una sola anima (e, meglio ancora, parecchie anime) per la maggior gloria di Dio». E alle sue religiose diceva: «Figlie mie, indirizzate a questo fine totalmente apostolico le vostre orazioni, le vostre discipline, i vostri digiuni e i vostri desideri». Appunto questa è l’opera di Carmelitani, Trappisti, Clarisse. Essi seguono le orme degli Apostoli, sostenendoli con la sovrabbondanza delle loro preghiere e delle loro penitenze. Le loro preghiere piombano dall’alto e giungono, fin dove cammina la Croce e splende il Vangelo, sulle anime, su questi bottini di guerra del Signore. O per meglio dire, è il loro amore nascosto ma attivo che suscita ovunque, nel mondo dei peccatori, la voce della misericordia. Nessuno quaggiù conosce il perché di quelle lontane conversioni di pagani, dell’eroica fermezza di quei cristiani perseguitati, della gioia celeste di quei missionari martirizzati. Tutto questo è invisibilmente legato alla preghiera di un’umile claustrale. Con le dita poste sulla tastiera delle divine misericordie e dei lumi soprannaturali, la sua anima silenziosa e solitaria presiede alla salute delle anime e alle conquiste della Chiesa17. Diceva Mons. Favier, vescovo di Pechino: «Io voglio dei Trappisti in questo Vicariato Apostolico; anzi, desidero che si astengano da qualunque ministero, affinché nulla possa distrarli dalle opere di preghiera, di penitenza e degli studi sacri; so bene infatti quale aiuto porterà ai missionari l’esistenza di un monastero di ferventi contemplativi in mezzo ai nostri miseri Cinesi». E in seguito testimoniava: «Siamo finalmente riusciti a penetrare in una regione sinora inavvicinabile. Attribuisco questo successo ai nostri cari Trappisti». «Dieci Carmelitani che pregano – diceva un Vescovo della Cocincina al Governatore di Saigon – mi daranno maggior aiuto di venti missionari che predicano». I sacerdoti secolari, i religiosi e le religiose votati alla vita attiva, ma anche alla vita interiore, partecipano allo stesso potere che le anime del chiostro hanno sul cuore di Dio. Ne sono esempi magnifici un Padre Chevier, un Don Bosco e un S. Antonio Maria Zaccaria. La Beata Anna Maria Taigi, nelle sue funzioni di povera massaia, era un’apostola, come lo era S. Benedetto Giuseppe Labre che schivava le vie battute. Il signor Dupont, il santo di Tours, il colonnello Pacqueron ecc., divorati dalla medesimo ardore, erano potenti nelle loro opere in quanto uomini di vita interiore. Il generale De Sonis, tra una battaglia e l’altra, trovava il segreto del suo apostolato nell’unione con Dio. Egoistica e sterile la vita del Santo Curato d’Ars? Il silenzio sarebbe l’unica risposta meritata da una tale affermazione. Ogni mente saggia attribuisce precisamente alla sua perfetta intimità con Dio lo zelo ed i magnifici successi di questo prete povero di talenti ma che, contemplativo quanto un certosino, era divorato da una grande sete di anime, resa inestinguibile dai suoi progressi nella vita interiore, e riceveva dal Signore, di cui viveva, una certa partecipazione della potenza divina nell’operare le conversioni. Infeconda la sua vita intima? Ma supponiamo un Curato d’Ars in ogni diocesi. In meno di dieci anni, la nazione sarebbe completamente rigenerata, e lo sarebbe più profondamente che non da una moltitudine di opere insufficientemente basate sulla vita interiore e per quanto organizzate con l’aiuto di grandi mezzi finanziari, dell’ingegno e dell’attività di migliaia di apostoli. Non dubitiamone: la principale ragione di sperare nella risurrezione della nostra Patria, sta nel fatto che, come si può constatare da alcuni anni, in nessun altro tempo forse vi furono, anche tra i semplici fedeli, tante anime così ardentemente desiderose di vivere unite al Cuore di Gesù e di estendere il suo Regno facendo germogliare attorno a loro la vita interiore. Queste anime elette sono un’infima minoranza, certo; ma che importa il numero quando vi è l’intensità? Se la nostra Patria è risorta dopo la Rivoluzione, lo si deve attribuire a quel gruppo di sacerdoti maturati nella vita interiore mediante la persecuzione. Per mezzo di loro, una corrente di Vita divina venne a riscaldare una generazione, che l’apostasia e l’indifferenza sembravano aver condannato ad una morte che nessuno sforzo umano poteva evitare. Dopo cinquant’anni di libertà d’insegnamento, dopo quel mezzo secolo che ha visto il rifiorire d’innumerevoli opere, e durante il quale noi abbiamo avuto nelle nostre mani tutta la gioventù nazionale e l’appoggio quasi completo dei governanti, come mai, nonostante risultati apparentemente gloriosi, non abbiamo potuto formare in seno alla nazione una maggioranza così profondamente cristiana da poter lottare contro la lega dei ministri di Satana?18. Senza dubbio hanno contribuito a questa impotenza l’abbandono della vita liturgica e la cessazione del suo irraggiamento sui fedeli. La nostra spiritualità è divenuta gretta, arida, superficiale, esteriore o del tutto sentimentale; quindi non ha più quella penetrazione e quel fascino sulle anime che suol dare la liturgia, questa grande forza di vitalità cristiana. Ma non vi è forse un’altra causa in questo fatto? Non sarà che noi sacerdoti ed educatori, mancando di un’intensa vita interiore, non abbiamo potuto creare nelle anime che una pietà superficiale, senza potenza ideale e senza forti convinzioni? Come docenti non ci dimostrammo forse preoccupati più del successo dei diplomi e del prestigio delle scuole, che non di dare alle anime una solidissima istruzione religiosa? Non abbiamo forse speso le nostre energie senza mirare innanzi tutto alla formazione della volontà, per stampare l’impronta di Gesù Cristo su caratteri ben temprati? E questa mediocrità non è stata forse spesso causata dalla banalità della nostra vita interiore? Come si suol dire, a sacerdote santo corrisponde un popolo fervente; a sacerdote fervente un popolo pio; a sacerdote pio un popolo onesto; a sacerdote onesto un popolo empio. In coloro che vengono generati nello spirito, c’è sempre un grado di vita in meno. Non arriviamo ad accettare tale affermazione, ma notiamo che le seguenti parole di Sant’Alfonso esprimono sufficientemente a quale causa dobbiamo attribuire la responsabilità della nostra attuale situazione: «I buoni costumi e la salvezza dei popoli dipendono dai buoni pastori. Se alla testa di una parrocchia c’è un buon pastore, ben presto la devozione fiorirà, i sacramenti saranno frequentati e l’orazione mentale messa in onore. Di qui il proverbio: ‘Quale il pastore, tale la parrocchia’, che riprende il detto dell’Ecclesiastico: ‘Quale il governante della città, tali i suoi abitanti’»19.
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16 In un altro capitolo si vedrà quale sia questa vita interiore che dà alle opere la loro fecondità (parte IV). 17 Cfr. P. Léon, O.F.M.Capp., Lumière et flamme. 18 L’A. si riferisce alla situazione della Francia nel secolo XIX. Passata la tempesta della Rivoluzione Francese, i cattolici riottennero gradualmente le libertà a partire dalla Restaurazione, giungendo negli anni Settanta a riconquistare la piena libertà dell’insegnamento superiore. Ma sùbito dopo tornarono al potere i massoni, e le scuole cattoliche furono sottoposte a vessazioni di vario genere e private gradualmente dei diritti ottenuti con tante lotte; finché si giunse alla legge del 9 dicembre 1905, che sanciva una radicale separazione tra Chiesa e Stato, impediva numerose opere cattoliche e sopprimeva gli ordini religiosi e sequestrava i beni della Chiesa (N. d. T.) 19 S. Alfonso de’ Liguori, Homo apostolicus, VII, 16. |
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