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Francis Allan, lift, 17 anni.
Sono lucidi e levigati, gli ascensori della nave; e
veloci, velocissimi: basta un attimo e dal ponte G sei sul ponte A, ed è come scalare
un grattacielo, e all’ultimo piano c’è l’orizzonte e il cielo e l’oceano giù in
fondo. Sono di ferro e di bronzo e di cristallo, gli ascensori della nave, e
neppure il più lussuoso degli alberghi di Southampton ne ha di così lussuosi:
un grande specchio ti guarda mentre manovri la leva, e una lucina verde ti
avverte che sei già arrivato – in un attimo, davvero in un baleno. Francis
Allan è felice del suo lavoro: sono tre anni che porta gli ascensori, e adesso
che ne ha diciassette non gli par vero di portarne di così belli e veloci. Un
buon lift è come uno specchio: nessuno deve accorgersi della sua
presenza, però può tornar comodo buttarci un’occhiata e controllare il nodo
della cravatta o l’inclinazione del cappellino – e se torna comodo al colonnello
o alla contessa, Francis Allan volentieri scambia due parole, risponde cortese,
suggerisce la via migliore per la palestra o per il Café Parisien. Del suo
ascensore, però, Francis Allan non ama soprattutto la composta eleganza del bel
mondo che vi transita, né la ricchezza degli ornamenti, e neppure la velocità.
No, Francis Allan ama del suo ascensore l’istante in cui muove verso l’alto, si
stacca da terra e prende velocità, l’istante in cui una lieve pressione dal
basso sembra sollevarlo e spingerlo in su, l’istante insomma in cui gli pare di
volare, e per un attimo innalzarsi sopra tutto. Questo gli piace del suo
ascensore: e gli piace molto. Francis Allan perì nel naufragio; il suo corpo
non fu mai recuperato.
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