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Caroline Bonnell, prima classe, 30 anni.
“Beh, grazie a Dio, Natalie, finalmente riusciremo a
vedere il nostro iceberg”: Caroline Bonnell divideva la cabina con Natalie
Wick. Erano parenti, seppur alla lontana, e le loro famiglie stavano ritornando
negli Stati Uniti. Degli iceberg Caroline aveva sentito parlare un mucchio di
volte, ma non ne aveva mai visto uno. Sapeva che erano grandi montagne di
ghiaccio, che potevano essere pericolosi, e che la nave su cui stava viaggiando
era inaffondabile. Quando sentirono qualcuno dire che il Titanic aveva
urtato una di queste grandi montagne, Caroline e Natalie si precipitarono sul
ponte per osservarla finalmente da vicino. Troppo tardi, però: la notte
immobile dell’oceano aveva già riassorbito nel suo silenzio la grande montagna,
e con una punta di delusione le due ragazze se ne tornarono a dormire. Furono
richiamate sul ponte da un marinaio, che le invitò ad indossare il salvagente.
“Nessuno – ricorda Caroline – sembrava veramente eccitato. Si conversava
amabilmente, e tutti erano convinti che saremmo presto potuti tornare nelle
nostre cabine”. Non andò così, come sappiamo. Caroline trovò posto sulla
scialuppa n° 8, e all’alba dell’indomani fu issata sul Carpathia. Patì
molto freddo, patì un freddo terribile: questa fu la prima cosa che raccontò
quando raggiunse New York. La seconda fu ciò che vide dal ponte del Carpathia,
oramai al sicuro e avvolta in una spessa coperta di lana. Caroline guardava il
mare: sotto di lei, il berretto di un bambino e un guanto di pelle
galleggiavano nell’oceano. Non vide nessun iceberg, e la cosa, un poco, le
dispiacque.
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