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Barone Cosmo Edmund Duff-Gordon, prima classe, 49 anni.
Alle olimpiadi del 1908 aveva servito il suo paese, la
Gran Bretagna, nella squadra di scherma. Non aveva vinto nessuna medaglia, ma
non per questo non s’era fatto onore. Aveva un bel paio di baffi, che curava
ogni giorno, e molti soldi. Cosmo Edmund era il quinto barone Duff-Gordon: il
titolo fu donato al trisnonno esattamente un secolo prima della partenza di
Cosmo per l’America. Fu tra i primi a salvarsi, comprando una salvezza che il
codice d’onore e le regole del Titanic non gli avrebbero concesso.
Avvicinò con la moglie il primo ufficiale William Murdoch, impegnato con la
scialuppa n° 1, e gli chiese se poteva imbarcarsi. “Ne sarei lieto”, replicò
l’ufficiale. Poco dopo l’una di notte, la scialuppa prese il mare semivuota: a
bordo c’erano soltanto dodici persone (sette di loro erano membri
dell’equipaggio). Quando il Titanic era già sott’acqua, il fochista
Hendrickson propose di tornare un poco indietro per raccogliere qualche
naufrago: le loro urla parevano intollerabili. La baronessa Duff-Gordon obiettò
che i naufraghi avrebbero potuto rovesciare la scialuppa, e che allora nessuno
si sarebbe salvato, né loro né gli altri, e che dunque era meglio proseguire
verso quella luce laggiù, all’orizzonte, che se non era un miraggio era
certamente una nave. Furono tutti d’accordo. I marinai però si lamentavano
perché nel naufragio avevano perso tutto: che sarebbe stato di loro, una volta
a terra? Il barone rispose che non era il caso di preoccuparsi: appena in
salvo, avrebbe corrisposto a ciascuno di loro la somma di cinque sterline.
Parola d’onore. I marinai si tranquillizzarono.
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