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Charles Hallace Romaine, prima classe, 42 anni.
Charles Hallace Romaine, alias Harry Romine, alias Mr.
C. Rolmane, era un giocatore professionista. Lavorava, cioè giocava, nei grandi
alberghi e sulle grandi navi. Soprattutto sulle navi: perché lì il tempo è più
lento. Charles conosceva la psicologia del passeggero di transatlantico, e
sapeva bene che allo stupore e all’ammirazione per le meraviglie della nave
presto subentrava un sentimento di noia tanto persistente quanto
inconfessabile. Anche chi non amava il gioco, e addirittura chi non aveva mai
giocato poteva esser tentato, su una nave, di prendere un mazzo di carte e
tentare la sorte. Erano questi, naturalmente, i giocatori più facili: e l’unica
fatica era sopportarne la conversazione. Charles per la verità, che del gioco
era innamorato, preferiva i “semi-professionisti”, come usava chiamarli: gente
cioè che sapeva sedere ad un tavolo verde e che era capace di regalargli
qualche brivido e un sincero piacere. Per giocare bene – era questo il credo di
Charles – bisognava sì essere bravi e fortunati; ma, soprattutto, bisognava
credere nelle carte. Se non si ha fede, non si vince: questo credeva Charles.
Bisogna aver fede non già nella vittoria (è da ingenui, diceva Charles, perché
la vittoria va dove le pare, e non sta certo lì ad ascoltare le tue preghiere),
bensì nel gioco: è nel gioco che si deve credere ciecamente; e se si crede
ciecamente nel gioco, allora sì che si diventa imbattibili, e la vittoria può
resistere quanto vuole, ma prima o poi deve infine capitolare e venirsene buona
buona da te. Era questo il credo di Charles: che si salvò, e continuò a giocare
e a vincere e a viaggiare per mare.
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