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Nina Harper, seconda classe, 6 anni.
C’è una foto che probabilmente è la più bella delle
foto del Titanic. Di certo, è la più tenera. È stata scattata sul ponte
di seconda classe quando la nave era in rada a Queenstown, in Irlanda, prima di
lasciare per sempre l’Europa. Sulla sinistra c’è una lunga panchina vuota, e
dietro un groviglio di tubi, fumaioli, condutture, boccaporti, ringhiere.
Sull’estrema destra si scorgono quattro scialuppe allineate. In mezzo, fra le
scialuppe e la panchina vuota, la gente passeggia come la domenica dopo la
messa: sono volti sereni e passi lenti, i loro, appena increspati dalla
curiosità. Al centro della fotografia un uomo con un lungo cappotto nero che
gli scende fino ai piedi tiene per mano una bambina. Anche la bambina ha un
cappotto, e in testa porta una cuffietta scura. Il piede sinistro della bambina
poggia saldamente a terra, la gamba destra è lievemente sollevata. Le due
figure pendono leggermente verso la destra della fotografia, là dove si
allineano le scialuppe. I volti sono poco più che una macchia chiara e sfocata,
riconoscerne i lineamenti è impossibile. La bambina si chiama Nina Harper, ha
sei anni, e suo padre la sta accompagnando per la nave più grande e più
lussuosa del mondo. È un’immagine felice e ignara quella che stiamo guardando;
è l’amore quotidiano di un padre e di una figlia. Non c’è altro, nella
fotografia, se non la tristezza del nostro sguardo che si posa e non riesce ad
allontanarsi. Il padre di Nina la svegliò, la notte del naufragio, la avvolse
in una coperta, l’accompagnò alla scialuppa e la baciò. Nina non capiva perché
mai papà la lasciasse sola.
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