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Dorothy Gibson, prima classe, 22 anni.
Era bella, era giovane, era ricca: e aveva deciso di
dedicarsi ad un lavoro che, in quegli anni, cominciava a regalare una popolarità
sconosciuta. Aveva cominciato col fare la modella, poi aveva scoperto il cinema
– e il cinema la faceva impazzire, impazziva a rivedersi sul grande schermo
scintillante e impazziva quando per strada la riconoscevano e la salutavano e
le chiedevano un autografo. Terminate le riprese del Berretto di Pasqua,
s’imbarcò con la madre per l’Europa. Era il suo secondo film. Il primo
s’intitolava La vendetta delle maschere di seta, e le aveva dato la
popolarità che cercava. S’imbarcò sul Titanic a Cherbourg, in Francia, e
si salvò sulla scialuppa n° 7. Era appena arrivata a New York quando la casa di
produzione che aveva realizzato i suoi due primi film, la Eclair, le chiese se
voleva lavorare in un film sul naufragio. Avrebbe dovuto recitare la parte di se
stessa, e naturalmente avrebbe collaborato alla sceneggiatura. Dorothy accettò
subito: le parve naturale portare sullo schermo ciò che aveva vissuto; la fama,
ne era certa, non sarebbe mancata. Étienne Arnaud, che del film doveva essere
lo sceneggiatore e il regista, si chiuse con Dorothy in una stanza d’albergo e
in capo a cinque giorni cominciò le riprese. Dorothy, nella parte di Miss
Dorothy, indossava sul set lo stesso abito che indossò la notte del naufragio.
Il 14 maggio 1912, un mese appena dopo la tragedia, Salvata dal Titanic
apparve sugli schermi di New York. Fu un successo. Ma la carriera di Dorothy
rapidamente declinò; negli anni successivi ottenne qualche particina, poi più
nulla. Il sogno era finito anzitempo.
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