- 4 -
Edward John Smith, capitano, 62 anni.
“Quando mi chiedono come potrei descrivere la mia
esperienza di quasi quarant’anni di mare, rispondo semplicemente: nulla da
segnalare. Sì, ci sono state le tempeste e i marosi e la nebbia… Ma non ho mai
visto un naufragio e non ho mai fatto naufragio”. Il capitano Edward John Smith
era un impiegato del mare: navigava come altri vanno in ufficio. E come molti
impiegati, sognava la pensione: ci sarebbe andato non appena toccata terra, a
New York. Proprio da New York era partito alla volta dell’Inghilterra per
prendere il comando del Titanic. Ne era contento e orgoglioso. A cena con
i signori Willie di Flushing, Long Island, la sera prima di imbarcarsi per
l’Europa, il capitano aveva vantato le meraviglie del Titanic. Nessun
danno allo scafo avrebbe potuto affondarlo. Aveva una bella barba bianca da
lupo di mare, il capitano Smith, e una divisa bianca e lucida e un cappello
bianco. L’ultima foto ce lo restituisce a braccia conserte, lo sguardo dritto
davanti a sé, gli occhi socchiusi come a proteggersi da una luce troppo forte e
un’espressione in volto che il tempo, ora, ci descrive malinconica. Si fidava
della nave, e del mare, e del progresso che lo conduceva alla pensione sulla
tolda del transatlantico più grande e più bello del mondo. Per questo non
prestò troppa attenzione agli iceberg che gli venivano segnalati, né alla
velocità che forse era troppa, e neppure al destino che non lo voleva
tranquillamente in pensione a scrutare l’oceano fumando la pipa. “Siate
inglesi”, disse prima di affondare: e con lui affondò anche quel mondo che gli
aveva regalato le sue ultime, orgogliose parole.
|