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John Coffey, fochista, 24 anni.
“Vado a trovare mia madre”, disse John al suo vecchio
amico Bobby non appena scorse da un oblò della sala macchine il profilo
familiare di Queenstown. “Per me, puoi fare quel che vuoi”, gli rispose Bobby.
E aggiunse: “Vedi di sbrigarti, però, altrimenti te ne resti a terra”. “A terra
non ci resto – replicò John, che amava sua madre più di ogni altra persona al
mondo – ma mia madre la vado a trovare di sicuro”. John Coffey abitava con la
mamma e un fratello minore al 12 di Sherbourne Terrace, non molto lontano dal
porto, in una villetta con giardino ben ordinata. Quando, dopo aver spinto il
cancelletto bianco e attraversato il prato, bussò alla porta di casa, gli venne
d’un tratto in mente che sua madre, a quell’ora, era sicuramente dalla zia. La
zia di John, una vecchia bizzosa molto malata, era la croce di tutta la
famiglia: andava accudita, ma accudirla era un tormento. La vecchia, poverina,
faceva del suo meglio per morire, rifiutando le cure e mandando al diavolo i
medici, ma senza successo: era sempre lì, viva e malata e bizzosa come poche.
John diede un’occhiata all’orologio, calcolò il tempo necessario a raggiungere
la casa della zia e imboccò il vialetto che, in fondo a Sherbourne
Terrace, si apre sulla destra. La zia era più bizzosa che mai, ma John non ci
badò. Abbracciò sua madre, si fece raccontare le ultime novità di casa, le
raccontò quanto era enorme il Titanic, si fece raccontare di suo
fratello, le raccontò di Bobby, dopodiché presero il tè in veranda. Il tempo
passava senza che John se ne rendesse conto. Sul registro del Titanic
accanto al suo nome scrissero “disertore”.
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