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Mary Eloise Hughes Smith, prima classe, 18 anni.
L’Europa le era piaciuta molto: se avesse potuto
decidere da sola, ci sarebbe rimasta un altro mese. Purtroppo non sempre si può
decidere da soli. Ad ogni modo, le piaceva l’idea di tornarsene a casa col suo
giovane marito sulla nave più moderna e lussuosa del mondo. Mary Eloise era una
ragazza allegra, bella, ottimista e, per quei tempi, spregiudicata. Non che
commettesse azioni improprie, no no, questo proprio no: però, ecco, questo suo
amore per la vita la portava a volta ad eccedere nell’entusiasmo. Quando perse
il marito nel naufragio, non le sembrò di aver perso la vita. A bordo del Carpathia,
infreddolita e attonita e incredula, Mary Eloise s’interrogava su quanto le era
accaduto e su quanto ora le sarebbe potuto ancora accadere. Aveva diciott’anni.
Amava il suo Lucien, questo è certo: ma ora che Lucien era in fondo al mare e
lei, invece, sul ponte del Carpathia, la sua vita fin’allora le sembrò
diversa da come la credeva. Le sembrò, mentre scrutava le onde che avevano
inghiottito il suo Lucien, che quella che s’era appena conclusa non era l’unica
vita possibile per lei. Robert Daniel, sopravvissuto come lei al naufragio e
come lei infreddolito e incredulo, le si avvicinò sul ponte e le chiese come
stava. Mary Eloise non ricordava di aver notato quell’uomo sul Titanic.
Cominciarono a chiacchierare, lei eccitata nel rievocare gli ultimi momenti
della grande nave, lui premuroso e insieme spensierato. Sì: Robert era, o
almeno sembrava, spensierato: come se dicesse in ogni sguardo e in ogni gesto:
“Suvvia, la vita continua”. Si sposarono non molti mesi dopo, e fu un bel
matrimonio.
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