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William Francis Norman O’ Loughlin, medico di bordo, 61 anni.
Non serve un medico a bordo quando la nave fa naufragio.
Quando la nave fa naufragio, e l’acqua comincia a entrare nello scafo come luce
attraverso le tende e il pericolo è grande e le scialuppe sono poche, un medico
di bordo non serve proprio a nulla. Non serve, un medico, quando il caso
scavalca l’ordinario dipanarsi delle malattie e delle guarigioni e balza a
piedi uniti al cospetto della morte. Quando l’alternativa è secca e tersa come
il cielo di quella notte, e non c’è alternativa alla vita o alla morte, un
medico è perfettamente inutile e può solo consolare e può solo aiutare – come
chiunque altro, del resto. Il dottor O’ Loughlin, che perdette i genitori
quand’era un bambino e fu cresciuto dallo zio e studiò medicina al Trinity e
poi al Royal College di Dublino e per quarant’anni solcò il mare dispensando
consigli e chinino e bende, il dottor O’ Loughlin quella notte era del tutto e
completamente inutile. Ad un’infermiera molto più giovane di lui e molto più
spaventata di lui disse ad un certo punto: “Bambina mia, le cose si mettono
davvero male”. Fece la sua parte, con le altre autorità della nave, per aiutare
i passeggeri a scendere nelle scialuppe: era, come tutti, un gentiluomo. Poi,
nel cuore della notte e quando l’acqua s’era ingoiata già un bel pezzo di nave,
scese nella sua cabina e si bevve un goccetto di whisky. Forse anche più di un
goccetto. Dicono che fosse molto bravo, come medico: accorreva sempre alle
chiamate, sapeva consolare e tranquillizzare, aveva un sorriso bonario e la
lunga esperienza l’aiutava nella diagnosi. Tutto inutile, quella notte. Quella
notte, niente da fare.
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