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Thomas Andrews Jr., prima classe, 39 anni.
Thomas Andrews era un ingegnere navale di grandi
capacità. Da molti anni lavorava alla Harland & Wolff, il cantiere che
costruiva i più grandi e i più lussuosi transatlantici del mondo, e da molti
anni li accompagnava in mare, nel loro viaggio inaugurale. Controllava che
tutto fosse in ordine, supervisionava il lavoro dei tecnici, prendeva appunti,
osservava e commentava e interveniva. Non si accorse neppure dell’urto con
l’iceberg, ma, quando ne fu avvertito e ispezionò la prua, fu lui ad annunciare
al capitano Smith che il Titanic non sarebbe sopravvissuto e che in capo
a due ore sarebbe andato a picco. Si sbagliò di qualche minuto appena. Fu visto
l’ultima volta nel fumoir della prima classe. Aveva il giubbotto
salvagente slacciato, un’espressione triste ma non angosciata, le mani poggiate
su un tavolo, gli occhi immobili a fissare un quadro. Il quadro era un olio del
secolo scorso, un paesaggio inglese con alberi e nuvole e prato e cielo e un
paio di pecore, in un angolo, placide e tranquille e silenti. Andrews si
concentrò sulle pecore. Erano decisamente belle. Come molti gentiluomini del
suo tempo, avrebbe desiderato ritirarsi in campagna, raggiunta una certa età, e
lì trascorrere gli ultimi anni della sua vita. Pensava a questo quando una
violenta scossa prima inclinò e poi staccò dalla parete il dipinto. Andrews lo
raccolse e continuò ad osservarlo. L’acqua gli bagnava i piedi. Guardò a terra.
Faticava a tenersi eretto, perché il pavimento era vistosamente inclinato. Il
mondo stava finendo. Tornò a guardare le sue pecore, silenziose e calme e
bianchissime.
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