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J. Edward Simpson, assistente medico di bordo, 38
anni.
Il dottor Simpson, fosse dipeso da lui, non avrebbe
mai fatto il dottore. La medicina gli interessava poco; ma, soprattutto, non
sopportava gli ospedali: non ne tollerava l’architettura, prima di tutto, e
neppure gli odori. Le infermiere non gli dispiacevano, questo no: ma non c’era
bisogno di diventare medico per farne la conoscenza. Questa era l’opinione del
dottor Simpson, prima di diventare dottore e dopo che i suoi genitori l’avevano
pressoché costretto ad iscriversi alla facoltà di medicina. Quando ottenne la
laurea e l’abilitazione, consumò la sua personale vendetta ai danni della
famiglia imbarcandosi sulla prima nave che lo accolse con la stessa spensierata
disinvoltura con cui, da ragazzo, avrebbe voluto fare il giro del mondo come
mozzo. Non era un mozzo, ma un medico: il che significò prima di tutto che la
cabina e il rancio erano migliori. Il dottor Simpson cominciò dunque ad
apprezzare la sua condizione di medico. Ai pazienti – su un transatlantico di
norma non ci sono veri e propri pazienti: c’è molto mal di mare, qualche
dolorino, un reuma, due raffreddori – il dottor Simpson riusciva gradito,
nonostante una qualche impertinenza di carattere, per il suo spirito gioviale.
Non risparmiava battute e freddure a nessuno, e con le signore sapeva essere
molto galante. L’ultima notte della sua vita non fu da meno. Se ne stava sul
ponte C con il commissario di bordo, quando vide avvicinarsi il secondo
ufficiale Lightoller, un poco spettinato e molto sudato: “Ciao Lights – gli
disse –. Di’ un po’, senti
caldo?”.
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