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Gerda Elin Lindell, terza classe, 30 anni.
Di Gerda Elin rimane l’anello di matrimonio; di suo
marito Edvard Lindell nulla. I corpi non furono mai recuperati; niente restò di
loro su questa terra. Poco prima di morire, quando la nave era ad un passo
dall’inabissarsi per sempre e la morte era più vicina della vita, Gerda si
tolse l’anello e lo diede a Edvard – un pegno d’amore, chissà, al confine
incerto fra la certezza rifiutata di esser prossimi alla morte e la speranza
irreale di potersi salvare e, presto, rivedere. Gerda e Edvard ora sono in
acqua; la nave è scomparsa; prossima è invece una scialuppa. Edvard riesce a
salire, sebbene sia già piena, e crolla esausto in un cantuccio. È semisvenuto,
l’anello gli cade di mano. Gerda s’aggrappa e un amico l’afferra per il
braccio; sta cercando di issarla sulla scialuppa; sono entrambi molto stanchi;
il freddo è spaventoso e blocca i movimenti e paralizza le mani. Gerda lascia
l’appiglio, scivola fra le onde, forse è già morta quando ancora s’intravvede
il suo corpo nella semioscurità del naufragio. Muore anche Edvard; il suo corpo
è gettato in mare. L’anello rimane sul fondo umido della scialuppa. I marinai
del Carpathia che salvano i naufraghi non se ne accorgono. Saranno
quelli dell’Oceanic, un mese dopo la tragedia, a recuperarlo. Un lungo
carteggio fra il Ministero degli Affari esteri del Regno di Svezia, il
consolato svedese di New York e la White Star stabilisce infine che l’anello
appartiene a Gerda Elin Lindell. La White Star soltanto dopo altri mesi
acconsente a che sia il padre di Gerda a ritirarlo, non prima però di aver
dimostrato in sede legale il proprio diritto all’eredità.
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