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Johann Markim, terza classe, 36 anni.
Il signor Markim, impiegato di concetto presso
l’Ufficio del catasto di Graz, suddito devoto di Sua Maestà imperial-regia l’Imperatore
Francesco Giuseppe, marito esemplare, padre di tre figli, uomo pio e ammodo,
giunto all’età di trentasei anni decise che ne aveva abbastanza. Ne aveva
abbastanza della moglie, che non mancava di tormentarlo ogni sera con il più
futile dei pretesti; ne aveva abbastanza dei tre figli, che crescevano sempre
più estranei e che si rivolgevano a lui esclusivamente con richieste di denaro;
ne aveva abbastanza di Graz, cittadina ordinata e pulita ed elegante ma, ahimé,
terribilmente noiosa e, soprattutto, pettegola. E ne aveva abbastanza
dell’Ufficio del catasto, dove aveva servito per vent’anni e dove ogni mattina,
da un po’ di tempo in qua, gli riusciva terribilmente faticoso entrare.
Dell’Imperatore no, dell’Imperatore il signor Markim non ne aveva abbastanza:
ma sapeva anche che, ovunque fosse andato, l’avrebbe portato nel cuore e ne
sarebbe sempre stato un suddito più che devoto. Quando decise di partire per
l’America, dove non conosceva nessuno e dove era sua ferma intenzione non
conoscere nessuno, si dimise dall’impiego con una lettera di due righe e senza
alcun brindisi d’addio. I colleghi non s’accorsero di nulla. Alla moglie
comunicò con concisione non minore la sua scelta irrevocabile, che pregò di
trasmettere ai tre figli. Consegnò una parte dei propri risparmi al fratello,
perché li amministrasse in favore della famiglia; acquistò un biglietto di
terza classe per New York; s’imbarcò; tre giorni dopo fece naufragio.
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