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Hulda Amanda Adolfina Veström, terza classe, 14 anni.
“Che la mia bambina devotamente amata Hulda Amanda
Adolfina sia morta nella tristemente nota collisione del ‘Titanic’ avvenuta
nell’Oceano Atlantico, che sia ora profondamente e intimamente pianta da me,
dalle sue due sorelle, dall’anziano nonno, dai parenti e dai cari amici, che
sia morta in età di anni quattordici, mesi nove e giorni quattro in quella
terribile sciagura, spetta a me sottoscritta tristemente e dolorosamente
annunciare. – Salmunds i Vänge, addì 27 aprile dell’anno 1912. – Firmato: Emma
Weström nata Löfqvist. – ‘Il Signore dà e il Signore prende, sia benedetto il
nome del Signore’”. L’annuncio apparve sul quotidiano Gotlands Allehanda
la mattina del 29 aprile, due giorni dopo esser stato scritto e due settimane
dopo l’accaduto. Le comunicazioni erano lente, in quei tempi, e il dolore
maturava adagio, come un frutto prelibato o un amore lungamente atteso e curato
e desiderato, e l’attesa stemperava un poco la sofferenza, come spalmandola e
slungandola attraverso le ore e i giorni e le notti, senza per questo
alleviarne il peso – ma come ingentilendo, come smussando le asperità che un
ritmo più veloce avrebbe inevitabilmente inferto ad una madre disperata, e lontana,
e sola. Il tempo lento aiuta il dolore a prendere possesso del campo, a
insediarsi in una vita altrimenti lieta e fino ad allora serena; aiuta non a
sopportare, ma a convivere: le lacrime accompagnano le occupazioni quotidiane,
come se le ornassero e lievemente le trasformassero, e un silenzio immenso, un
silenzio immenso scandisce il tempo – il tempo della morte inconsolabile di una
bambina.
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