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George Quincy Clifford, prima classe, 36 anni.
George Quincy Clifford era il presidente della filiale
di Stoughton della Belcher Last Company. Prima di partire per l’Europa insieme
a due amici stipulò una nuova e supplementare assicurazione sulla vita di
cinquantamila dollari. Sulla via del ritorno, esattamente due mesi dopo la
partenza da Boston, perì nel naufragio. L’assicurazione si rifiutò di pagare i
cinquantamila. Nel contratto venivano infatti escluse le “catastrofi naturali”:
se la causa della morte fosse stata una “catastrofe naturale”, così recitava la
polizza, nessun rimborso sarebbe stato versato. La compagnia di assicurazione
si appellò a questo comma per evitare il pagamento. Prese così avvio una
piccola e memorabile causa civile intorno al seguente interrogativo: un iceberg
che affonda una nave è una “catastrofe naturale”? La compagnia di assicurazione
naturalmente sosteneva di sì: poiché l’iceberg è naturale, nel senso che è un
prodotto della natura come un fiume o un sasso, un iceberg che provoca una
catastrofe è una “catastrofe naturale” esattamente come una frana o
un’inondazione. Niente affatto, replicavano gli avvocati della famiglia
Clifford: la catastrofe non è l’iceberg, ma la nave: nel senso che è la mancata
resistenza della nave alla collisione con l’iceberg a definire la catastrofe:
se la nave avesse retto all’impatto con l’iceberg, se la nave insomma non fosse
affondata, l’iceberg di per sé non avrebbe causato alcune catastrofe: dunque
non si può parlare di “catastrofe naturale” ma, semmai, di “catastrofe
tecnologica”. Il processo andò avanti per qualche anno, e fu una discussione
davvero appassionante.
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