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Walter John Perkis, timoniere, 36 anni.
Perkis era nato sull’isola di White e conosceva il
mare da quand’era un bambino. Lavorava in mare da sedici anni: come marinaio,
come vedetta, come timoniere. Sul Titanic fu assunto come timoniere.
Lavorava insieme al cognato, che si chiamava Olliver e che, a conti fatti, era
un buon amico: e Perkis, bisogna dirlo, era un tipo difficile, soprattutto
quando si trattava di uomini. Col mare Perkis s’intendeva a meraviglia, e mai
aveva avuto un problema o una paura o una difficoltà; ma con gli uomini spesso
litigava, e in generale preferiva lasciarli perdere, preferiva che gli uomini
se ne stessero da una parte mentre lui se ne stava da un’altra, lui e il suo
amico mare. Era fatto così, Perkis. Quando avvenne la collisione, Perkis, che
si trovava giù in camerata, raggiunse subito il ponte delle scialuppe e
cominciò a lavorare. Era una persona disciplinata e di poche parole. “No, non
ho sentito proprio nulla”, dichiarò più tardi ai giornalisti che gli chiedevano
quale sensazioni avesse provato una volta saputo che un iceberg aveva colpito
il Titanic e che il Titanic di lì a non molto sarebbe affondato.
Fece il suo dovere, Perkis, e non disse una parola. La sua scialuppa fu una
delle poche a tornare indietro, una volta che la nave era scomparsa, per
raccogliere i naufraghi. Ne tirarono su otto, due dei quali purtroppo morirono.
“Dopo aver raccolto quegli uomini – raccontò più tardi – non sentimmo più
nulla. Era tutto finito”. Del Titanic ciò che ricorderà con più
soddisfazione sarà la disciplina che regnava a bordo: “Sì, era proprio così:
ognuno sapeva dove andare e che cosa fare e ci andava e la faceva”.
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