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Isidor Straus, prima classe, 67 anni.
“N. 96 – maschio – età stimata: 65 – incisivo d’oro
(parte) – capelli grigi e baffi. Abbigliamento: cappotto bordato di pelliccia;
pantaloni grigi, giacca e gilet; camicia a righe sottili; scarpe marroni;
calzini di seta neri. Effetti personali: quaderno da tasca; orologio d’oro;
catena di platino e perle; portapenne in oro; fiaschetta d’argento; ampolla
d’argento per i sali; 40 sterline in banconote; 4 sterline, 2 scellini e 3
pence in monete”. Di Isidor Straus non rimase altro, dopo il naufragio. Era nato
in Baviera e la sua famiglia era emigrata negli Stati Uniti quando lui aveva
nove anni. Lazarus Straus, il padre, aveva aperto una drogheria a Talbotton,
Georgia. Isidor vi lavorava come commesso. Era il 1860. Trentasei anni dopo
Isidor Straus acquistò i grandi magazzini Macy’s. Chiunque sia stato a New York
li ha visitati con la curiosità e la meraviglia con cui si visita un grande
museo, un museo davvero speciale: da Macy’s, infatti, in mostra ci siamo noi,
c’è la nostra vita, ci sono le nostre cose e le cose che vorremmo avere e le
cose che non compreremmo mai, mai per nessun motivo, e che però ci piace vedere
e toccare e guardare per poi dire: “Ah, gli americani…”. Macy’s è il museo
della contemporaneità ed è il tempio della contemporaneità, dove le scolaresche
curiosano fra gli scaffali senza fine e dove i fedeli celebrano ogni giorno il
rito febbrile ed eccitante dello shopping. Jacqueline Kennedy Onassis
faceva shopping da Macy’s, e con un’allegria molto simile alla sua ogni
giorno qualche ragazzo portoricano ne varca le grandi porte a vetri. Non ci
sono differenze apparenti, da Macy’s: e neanche sul Titanic.
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