- 146 -
Henry Sleeper Harper, prima classe, 48 anni.
Dieci anni prima di imbarcarsi sul Titanic
aveva viaggiato su una nave che colpì un iceberg, nell’Atlantico del nord. Era
dunque un esperto della materia, se così si può dire. Suo nonno, Joseph Wesley
Harper, aveva fondato la casa editrice omonima, oggi fra le più grandi del
mondo. Ma Henry amava la vita più dell’azienda, e la gran parte del tempo la
trascorreva girando il mondo. Né gli iceberg lo spaventavano. Quando, oramai
tratto in salvo, si trovava a bordo del Carpathia, notò per prima cosa
che la nuova nave era assai più piccola, più scomoda e più rumorosa di quella
appena andata a fondo. Il che, naturalmente, era vero. Sul ponte del Carpathia
in rotta verso New York incontrò un vecchio amico, Louis Ogden, sopravvissuto
come lui al naufragio più spettacolare del secolo. Non gli chiese come stava,
né come si era salvato, e neppure commentò i terribili accadimenti di poche ore
prime. Harper si avvicinò invece a Ogden, sorrise, gli tese la mano e disse:
“Louis, ma come diavolo fai a mantenerti così giovane?”. Era fatto così, e a
dire il vero era un tipo simpatico. La realtà gli appariva come una delle tante
possibilità cui un gentiluomo decide se attingere o meno; non aveva, ai suoi
occhi, la pesantezza che spesso schiaccia persone meno fortunate, e meno bon
vivant, di lui. Rimase vedovo due anni dopo il naufragio: aveva amato sua
moglie nel modo un poco distratto con cui s’era salvato in mare, e non troppo
tempo dopo si risposò. Prese anche a lavorare nell’azienda di famiglia, fece un
figlio e, a modo suo, mise la testa a posto. Morì che aveva più di ottant’anni.
|