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John Borie Ryerson, prima classe, 13 anni.
John Ryerson, se fosse dipeso dagli ufficiali del Titanic,
sarebbe andato a fondo insieme a suo padre. Aveva tredici anni, e a tredici
anni non si è più bambini: così almeno sosteneva l’ufficiale cui il padre di
John si rivolse per chiedergli come mai quel ragazzo, anzi, quel “bambino” non
veniva fatto salire sulla scialuppa n° 4 insieme alla madre e alle due sorelle.
La discussione proseguì per un bel pezzo, anche perché un intoppo impediva alla
scialuppa di essere calata in mare, e finalmente il padre di John l’ebbe vinta,
e il “bambino” poté prender posto sulla scialuppa. Fu così che John si salvò.
La nave, in quel momento, era già mezza affondata. John, va detto, non era però
particolarmente spaventato. Pensava che, comunque sia, avrebbe ritrovato suo
padre. Tornato a casa, accompagnò la mamma, divenuta vedova, in numerosi viaggi
in giro per il mondo, dopodiché, proprio su insistenza della madre, si laureò a
Yale. Forse a causa e come conseguenza di quella terribile avventura di mare,
forse perché quando si hanno molti soldi scegliere è più facile, John una volta
laureato decise che avrebbe dedicato tutta la sua vita al golf. Il suo
obiettivo era conquistare il record di campi giocati. Viaggiava e giocava,
giocava e viaggiava e non aveva pensieri se non per il suo record. Giocò
millequattrocento campi, ma sembra che un tizio ne avesse giocati tremila, e
per il record non ci fu nulla da fare. Del Titanic non parlava
volentieri, anzi non ne parlava per niente. A cinquantaquattro anni finalmente
si sposò. Si stabilì a Palm Beach, sotto il sole perenne della Florida, e
continuò a giocare a golf.
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