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Amy Elsie Stanley, terza classe, 24 anni.
Quando ci si salva da un naufragio, e si arriva a
terra, e il mare è un ricordo lontano o un incubo che non se ne va, e ci si
riscalda e ci si riprende e ci si sfama, viene il momento di scrivere a casa.
Amy Elsie Stanley adesso è a New York, e la sua famiglia (il padre Thomas
James, droghiere, la madre Eliza Agnes, casalinga, e i fratelli John, William,
Alfred e Fredrick) è a Oxford, dall’altra parte dell’oceano. Amy prende la
penna in mano e la prima frase che scrive è: “Non ho mai sofferto il mal di
mare durante tutto il viaggio”. Non sul Titanic, dunque, non sulla
scialuppa gonfiabile “C” che le salvò la vita, e neppure sul Carpathia
che portò i naufraghi spaventati in America. È questa la prima frase che Amy
scrive ai suoi genitori: “Non ho mai sofferto il mal di mare”. L’ultima – in
mezzo c’è il racconto del naufragio e del salvataggio e del freddo e della
paura –, l’ultima frase che Amy scrive ai suoi genitori è: “Non vi pare che sia
stata davvero fortunata?”. Poi salta una riga, e si firma “la vostra amata
figlia”. Qualche giorno dopo, ricevuti 200 dollari dalla Croce rossa, partirà
per New Haven, Connecticut, dove una famiglia sta aspettando la nuova bambinaia
venuta dall’Inghilterra. Ma la lettera non è finita. C’è un post scriptum. Nei post scriptum si annidano piccole verità
finallora taciute, oppure brillano i dettagli davvero essenziali, o magari c’è
una tenerezza, una breve confessione, un velo che si solleva e caccia via la
timidezza e lascia che per un attimo s’affacci una gran verità. Nel suo post
scriptum post naufragio Emy scrive: “Avevo quasi perso la nave a
Southampton”.
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